sabato 22 febbraio 2020

Ritorno alle Orobie: Couloir dei ratti

E venne giorno di tornare in Orobie: montagne crude, che non si regalano nulla e ti fanno faticare notevolmente prima di concedersi a te. Dopo innumerevoli tentativi, dopo mesi e mesi finalmente io e Flavio riusciamo a combinare la possibilità di ritrovarsi a fare qualcosa insieme. Flavio, l'orobico conosciuto alla Tour Ronde, un'altra di quelle gite in cui ho bruciato una delle mie sette vite. Flavio poi rivisto in altre occasioni, compresa un'altra dove ho spuntato un'altra delle mie sette vite. Ué Flavio, sarà mica che porti caia come Nicola?
Intanto oggi scopriamo se ho nelle gambe il dislivello che mi propone il ragazzo dall'intercalare "Pota" e "Figa". Il couloir dei Ratti l'avevo già tentato due anni fa, ma per preoccupazioni meteo desistemmo. Oggi la giornata dovrebbe essere perfetta e in effetti così sarà. Ci incamminiamo dalla località Grumetti partendo subito con un piccolo vertical, giusto perché le Orobie devono subito farti vedere chi sono. Sulla successiva forestale tre enormi valanghe devono essere attraversate per proseguire. Quando albeggia ci troviamo nel cosiddetto scarico, anche lui sentiero infido ricoperto di ghiaccio e neve, e che in tutta la sua pendenza ci fa sudare nonostante le temperature fresche.
Al parcheggio abbiamo trovato altri tre ragazzi amici di Flavio con il quale abbiamo condiviso la salita. Giunti al Rifugio Curò loro si fermano a fa fare colazione al sacco nel locale invernale, mentre noi dopo una rapida sosta per mangiare un boccone partiamo subito. Dall'ultimo tentativo ricordavo che poco dopo il rifugio si dovesse tagliare verso destra, ma il mio Cicerone non sembra così sul pezzo e per errore andiamo un pochino troppo avanti per poi ritornare indietro sui nostri passi.
Il paesaggio non è certo invernale come dovrebbe essere in questo periodo, ma almeno lo è molto di più di quello che ho visto in altre scorribande nelle mie zone negli ultimi mesi. Si sale, si avanza, seguendo le tracce cancellate dal vento. Arrivati a una sorta di selletta ecco che scorgiamo la nostra meta. Gli altri ragazzi ci raggiungono e proseguiamo insieme, senza troppa fretta ma neanche con troppa calma.
Ci infiliamo nel couloir dei Ratti senza nemmeno legarci, le condizioni di innevamento hanno abbassato le pendenze e quindi le difficoltà: il salto ghiacciato è corto è appoggiato. L'itinerario è comunque molto piacevole con il paretone roccioso alla propria sinistra e in alcuni tratti un bellissimo panorama alla propria destra. Redorta e Coca completamente al sole e noi completamente all'ombra con pure un po' di freschetto.
Ridendo e scherzando si continua a salire, usciamo dalla parte stretta per ritrovarsi su ampi pendii. La neve non è che sia proprio ottima, ma vecchie tracce l'hanno pestata un po' rendendola salibile.
Giunti alla sella Fabio Flavio si mette a cavalcioni su essa e aldilà riesco a scorgere il traverso dell'effettiva re: non è che sia molto piacevole, e infatti anche quando ci saremo dentro il bergamasco proseguirà con fare guardingo e circospetto.
Gli ultimi delicati passi ci depositano nel canalone Nord e con lo sguardo all'insù vedo che ce ne sono ancora di metri da macinare per arrivarne al termine. Salita costate dove ci alterniamo a darci il cambio: non sono messo così male rispetto agli altri quattro puledri allora..
Sbucare fuori dal canale significa abbandonare l'ombra dello stesso e finire al sole: sole e caldo, panorami ampi ma ancora un po' di fatica per raggiungere la cima tra rocce sfasciumose e una bella cresta nevosa.
La giornata è stupenda. Il panorama dalla cima è ampio e spazia ovunque. Laggiù la parete del Monte Rosa e dalla parte opposta il Monte Baldo. Solo gli Appennini non si mostrano a causa della foschia della Padania. Questo spettacolo merita una cospicua pausa, e anche la fatica fatta finora merita un cospicuo rifocillamento. Si vede qualcuno sul Monte Gleno, ma altrimenti siamo solo noi cinque le uniche persone a perdita d'occhio.
Come temevo, la discesa si rivelerà più complicata della salita. Scendere per la Val Cerviera non se ne parla non essendo tracciata ed essendo tutto al sole, il che vuol dire con una neve pessima che ci farebbe soltanto faticare e rischiare la pelle sui traversi un po' di ripidi (e nei buchi!). Infilarsi nel canale, guardare in basso e vedere che..ok non essere verticale ma non è nemmeno una passeggiata. Ci vorrà un po' di tempo, almeno per me. Assetto da gambero e via a scendere cercando di sfruttare le peste già presenti ma non sempre riuscendoci per l'inconsistenza della neve.
Mi ritrovo così a essere palesemente il più lento, costante e inesorabile, ma lento. Flavio mi aspetta mentre gli altri tre se ne vanno a cercare il caldo del sole più a valle. Interminabili minuti faccia a monte poi finalmente, quando la pendenza spiana, posso girarmi e iniziare a corricchiare. Al sole ci ricongiungiamo con glia altri tre bergamaschi e ci spogliamo prede e vittime dell'irraggiamento solare.
Il resto della discesa è una chiacchierata, spesso mio malgrado in un idioma incomprensibile: chiacchierata dolce fino al rifugio, e poi una sfasciumosa e brulla discesa per quello che è il sentiero invernale di accesso al Rifugio Curò. Torniamo così alla macchina dopo 10 ore abbondanti e un po' di metri di dislivello. Come diceva Flavio ieri "questo sì che è uno di quei giri che ti appagano e ti fan dire che oggi sì che hai sgambato!".

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sabato 8 febbraio 2020

Un inconsueto Monte Prado: Canale a Z

Le rocambolesche avventure le venerdì pomeriggio a districarsi tra malati e cene, ci porta alla composizione del trio Andrea, Federico, Luca, e a finire in Appennino con ramponi e piccozza. L'inconsueto comincia già con l'avvicinamento: Luca vuole salire in macchia fino alla sbarra, quasi una bestemmia per le mie gambe. Solo una volta tentammo di farlo per questioni di corso, e tra l'altro, non finì neppure benissimo
L'altro aspetto inconsueto è l'orario di partenza: con Luca abbiamo contrattato di ritrovarci alle 6:30 a Gatta, il che vuol dire che la frontale posso pure lasciarla a casa. Con queste premesse, e dopo aver percorso l'interminabile strada ghiaiata è un po' sconnessa che porta alla sbarra di Rio Lama, ci incamminiamo con la proposta, sempre di Luca, di imitare i fungaioli che tagliano tutti i sentieri possibili per tirare dritto verso la Valle dei Porci senza passare per il passo di Lama Lite.
Inconsueta e anche la quantità di gente che c'è in giro con le nostre stesse mire: al parcheggio c'era già una macchina e ne è arrivata un'altra con quattro persone, e infine nella Conca dei Porci conteremo almeno altre 16 persone divise in varie cordate, che vista la (nn) quantità di canali in condizioni a disposizione porteranno ad avere la fila sia sul Canale a Z che sulla Clessidra. L'erboso avvicinamento ci costringe a tallonare e lavorare di punta sul paleo rinsecchito per raggiungere finalmente la zona delle nevi continue. Messi i ramponi ci dirigiamo verso d'attacco del Canale a Z: titubanti fino all'ultimo se salire questo o la clessidra alla fine optiamo per questo perché già altre cordate si dirigono verso la clessidra, col dubbio di un paio di tratti secchi che ci toccherà superare in qualche modo.
Parte Federico. Il primo tiro non presenta particolari difficoltà: uno scivolo di neve ghiacciata continua a 45-50 gradi, che si impenna un pochettino solo verso la fine raggiungendo la base del muretto chiave della via. Ma l'essersi legati alla base è stato provvidenziale perché nella zona della sosta non saremo stati sufficientemente comodi. E pensa se la picozza mi fosse caduta lì invece che all'attacco: non l'avrei ritrovata più. Cosa succede a dimenticare le longe a casa: tutt'oggi sarò "zoppo" a dover stare attento costantemente di non perderle.
E mentre in sosta ci scambiamo le corde in modo da far passare davanti Luca, un'altra cordata giunge alle nostre spalle. Luca parte per quello che potrebbe essere il tiro chiave, visto che dopo pochi metri incontra un muretto di neve deforme con un fronte che si sta staccando e scivolando giù (non certo oggi che la neve è tutta bella dura, ma se dovesse venire una bella botta di caldo qua si stacca tutto). Picca picca rampone rampone, picca picca rampone rampone e il parmigiano (o parmense?) sale, scomparendo ai nostri occhi quando la pendenza si abbatte. Speriamo solo che riesca a superare quel tratto di erba e mirtilli che si vedeva da basso, sennò rischia di toccare a me.
E invece no, 55 metri di tiro non bastano per superare il tratto di giardinaggio. E in effetti quel tratto mi ricorda qualcosa: io infatti questo canale devo averlo già percorso tempo fa senza sapere che fosse lui, e proprio quel tratto che oggi è completamente in erba, l'altra volta che era mezzo in erba mi aveva dato da fare. Nascondendomi tra l'altro la sorpresa una volta superatolo: pendio ripido con poca neve e tanti mirtilli su cui arrampicare. Beh, ma Luca sai cosa c'è? Fatti te anche questo tratto, poi fai sosta più su e io faccio l'ultimo tiro per portarci fuori dal canale. E Luca da vero iron-appenninista non si fa scappare l'occasione di andare a picozzare e ramponare terra ghiacciata, incastrarsi nelle mirtillaie, ma soprattutto piantare sto fenomenale warthdog (che per estrarlo durerò più fatica che ad arrampicare). 
Io e Federico osserviamo la fantasiosa sosta del nostro amico: fantasia che ha i giorni contati visto che anche lui sta per tuffarsi nella famiglia caiana. Io invece osservo lo scivolo nevoso che mi spetta di tirare. Nettamente migliori le condizioni rispetto all'altra volta, ma è già piuttosto chiaro che non riuscirò a mettere giù nemmeno una protezione: c'è solo neve, ma di certo non abbastanza per mettere giù un fittone, anche perché mi serviranno per fare sosta. E infatti va così, salita tutta d'un fiato con un momento di pausa verso la fine quando l'uscita si impenna per gli accumuli presenti, pregando che la qualità della neve non peggiori, come di solito fa a ogni uscita di un canale. Preghiere che vanno in porto, neve ottima in tutto il tratto, sbuco ed è sole. Pianto due fittoni che secondo me oggi potrebbero reggere anche una 500 (magari quella di una volta, non il modello nuovo).
Intanto Federico arriva e mi esclama "cavolo, non mi ricordavo che fosse così", frase che io interpreto come un "Beh, ma dai, è alpinismo, e oggi non c'è neanche da patire così tanto freddo" ma lui mi fredda con un "stavo parlando della andare in montagna". Ed eccoci tutti fuori, ci ritroviamo sui pendii finali che formano la cuspide del panettone Monte Prado, tra tintinni di materiale e vociferare di altre cordate. Si trotterella verso la cima dove ci adagiamo per una paciosa sosta culinaria. L'idea poteva essere di spostarsi al Sassofratto e fare un canale facile in slego, ma gli orari rischiano di essere troppo tirati.
Preso un po' di sole, scendiamo per il Vallone situato tra Monte Prado e Sassofratto osservandone rispettivamente il versante Est e il versante ovest, per poi proseguire a caso seguendo il ruscello e poi andare a incrociare il sentiero. Pensando di far prima giungiamo fino al Rifugio Segheria per poi risalire verso il parcheggio. Chissà se oggi 10 km li abbiamo fatti: ma 10 o non 10, la birra media (da 0,2?!) a Villa Minozzo ci aspetta.

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domenica 8 dicembre 2019

Ma perché ogni volta che ci vengo con te.. : Cresta del Gaino

Dopo la giornata di ieri mi sembra giusto equilibrare andando a fare qualcosa su roccia: Stefania è già carica e mi propone la buona cara e vecchia salita della Cresta del Gaino, che ormai ho salito numerose volte, e in parecchie forme (anche quelle che non si direbbe). Con lei ormai svegliarsi presto non se ne parla, ma questa volta è ragionevole prevedere un orario di attacco dove le temperature siano un po' salite e la partenza abbia concesso un po' di sonno.
Arriviamo all'attacco che siamo solo noi, uno degli avvenimenti più inusuali su itinerari così classici e facili. Facili finché non si prendono varianti.. La leggenda della cordata SGN narra che la salita integrale della cresta del Monte Gaino possa essere compiuta in 3 ore. Ma è una leggenda, che ogni volta che vengo qui continua a essere tale. Tuttavia, per dare una carota alla mia compagna, le dico che se riusciamo a salire in 3 ore e mezza le pago una cena.
E cosa non si farà per non perdere una scommessa? Dopo qualche scaramuccia con la parete prendo io il comando, cercando di salire il più possibile: dai che voglio proprio vedere se questa leggenda ha dei fondi di verità e se riesco a offrire una cena a Stefania! Ogni volta che ho salito il Gaino (almeno a memoria), non mi sono mai ritrovato al 100% su un percorso già salito: e anche oggi sarà così, magari complice il mio precoce Alzheimer.
Al terzo tiro tengo la sinistra in vista di un bel chiodone in parete, che così mi obbliga a qualche passo non proprio di III. Stefania infatti una volta che mi raggiunge in sosta mi cazzia con un "Sul gaino vedere un chiodo vuol dire che lì non si va, è una variante difficile! Cosa sei disposto a fare per non pagarmi la cena?!". Ma anche quando lei prende il comando non mi sembra che abbia tutto questo fiuto nel trovare i tratti più facili e sbrigativi.
Almeno stavolta sulla maledetta placca prima della balena bianca (dove l'altra volta presi una pettinata che non la auguro a nessuno) evito di andare a sinistra sul difficile, sgusciando a destra sul più facile: ma la balena bianca va salita, e al termine di essa sosto osservando tre signori che stanno salendo con le scarpe da avvicinamento in free solo, legandosi solo due o tre volte per 15 m per salire varianti piuttosto difficili.
È ora di iniziare a salire in conserva per minimizzare i tempi e non usare la frontale, così mi imbambolo un po' di corda a tracolla: esatto soltanto io, il mulo da soma, mentre la gattina indifesa invece nulla. Memore della cazziata di pochi minuti fa, in vista di un chiodo su un pilastro me ne guardo bene dall'andargli incontro, e passo nettamente alla sua destra su quello che pare essere una parvenza di sentiero.
Peccato che ben presto finisca nelle sterpaglie e ciò mi obblighi a dover salire su terreno ben più duro di quello dove c'era il chiodo, fino a trovare un friends incastrato (che tra l'altro Stefania toglierà con un sacco di facilità). Il tempo stringe, ma la scommessa ormai è andata: niente cena. Lascio passare avanti Stefania per poter andare esclusivamente in conserva: va bene la conserva, ma anche un po' di protezione ogni tanto..
E invece no, lei stizzita e spazientita prosegue verso l'alto approfittando solamente di spuntoni rocciosi che diventano ancoraggi naturali. Finché non siamo sulla parte di cresta finale dove mentre io all'ombra patisco freddo, lei finalmente inizia a metter giù qualcosina. La croce sembra non arrivare mai, ma almeno la raggiungiamo prima che il sole tramonti.
Ci mangiamo qualcosa alla svelta e ci cambiamo, e poi giù di corsa per raggiungere la macchina fortunatamente senza nemmeno usare luci artificiali. Certo che anche oggi come l'ultima volta "Ma perché quando vengo qua con te succede sempre qualcosa? Non va mai tutto liscio come l'olio?". Chissà, direi che per scoprirlo dobbiamo riprovarci.

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sabato 7 dicembre 2019

Ci sono cose da vedere nella vita: Vajo Bianco con variante

Ci sono alcune cose che nella vita ogni uomo dovrebbe avere la possibilità di vedere. I ghiacciai dell'Islanda, le cascate Vittoria, la grande muraglia cinese, il varano di Komodo, Nicola che si sveglia alle 2:30 di notte per andare a fare un vaio, e manco per un corso! Questo genere di evento va preso al volo senza lasciarselo scappare: non sempre si ha la possibilità di assistere a un accadimento tanto raro, un po' come un'eclissi solare completa durante una giornata di cielo completamente sgombro dalle nuvole.
E così , nonostante l'orario di partenza proposto sia pure in netto anticipo rispetto a quello che avrei proposto io, come non saltare su questo carro eterogeneo che alle 3:00 di notte si avvia verso il paradiso vaittico delle piccole Dolomiti?
Eccoci qua quindi: Nicola che ha appuntamento con quell'altro matto di Mattias per andare in esplorazione aggressiva (che sfocerà in questo link), e io, Federico e Fabio che nemmeno abbiamo ancora parlato di cosa andare a fare. Dovevano esserci anche Anna e Mirco ma all'ultimo momento degli imprevisti gli hanno impedito di esserci. A loro un'eclissi di sole in un cielo terso mai ricapiterà temo.
L'altro spettacolo raro come una pepita d'oro nel letto del fiume Secchia, è vedere Nicola fare colazione al sacco in auto senza nemmeno lamentarsi, lui che è il TomTom delle pasticcerie di tutto il Nord Italia (del Centro e Sud no, semplicemente perchè non li ha mai esplorati, altrimenti..). Tra colazione e preparazione ci mettiamo in moto che manca poco alle 6. Nonostante il sole sia bello lontano dal sorgere la zona inizia a essere già brulicata da parecchi Homo Sapiens che nutrono la nostra stessa passione.
Alla cordata FAF propongo il Vaio Bianco per una serie di motivi: già di partenza non avevo voglia di ingaggiarmi in cose complicate e corde e ferramenta li volevo portare solo per emergenze, inoltre data l'eterogeneità del trio è meglio non esagerare. Poi il Vaio Bianco nessuno degli altri due lo ha mai salito, e vuoi mettere godersi tutto la avvicinamento insieme al sole eclissato?
Questo è uno dei generi di alpinismo che più mi piace: avvicinamento a lume di frontale, immersi in un freddo frizzante che solletica le narici, zaino carico di viveri vestiario materiale e sogni. Mancano solo le stelle in cielo (che mi fanno temere un rigelo non perfetto, ma date le difficoltà del Vaio scelto spero di non incontrare problemi di progressione se non un po' di fatica in più).
Facendo due chiacchiere con Mattias e aspettando il fotografo che deve scattare qualcosa ogni 100-200 passi (ma sta a vedere che lo fa per riprendere fiato?) scorriamo su varie valanghe scese da Giaron della Scala, Pra degli Angeli, e infine quella che si spera scenderemo tra qualche ora, Boale dei Fondi. Il sole spento si è come al solito fatto fregare dai suoi buoni sentimenti, dal suo impermeabile giallo, e ha prestato i suoi bastoncini a Fabio che li ha dimenticati in macchina: così adesso lui si ritrova a cercare l'equilibrio in questi delicati traversi dove un passo falso potrebbe portarlo fino a valle a velocità da Mach 1. Discesone verso l'attacco del Vaio dei Colori in uno spezio di pace e silenzio.
Complice l'essermi fermato per bisogni primari, e averne così approfittato per calzare ramponi e armarmi di picozze, mi perdo Nicole e Mattias che se ne vanno in luoghi remoti e nascosti alla ricerca di alpinismo d'annata. Ritrovo invece i miei due compari ancora in fase di preparazione: dai forza che c'è freddo a star fermi e si alza il sole!
La batteria della mia macchina fotografica patisce troppo il freddo ed è già fuori uso: la brutta notizia  stizzisce quel fighetto fotogenico di Federico, che si calma solo dopo che il buon Fabio mi cede la sua di macchina fotografica. Altre cordate sopraggiungono ma nessuna sembra aver intenzione di percorrere la nostra stessa lingua bianca: meglio così perché di stare in mezzo a del traffico e altre persone non ne ho voglia, altrimenti me ne andavo in piazza.
Risaliamo un breve tratto del Vaio dei Colori, per poi deviare decisamente a destra verso l'imbocco del Vaio Bianco. Le condizioni non sono proprio ottime: sì è vero che ci sono tratti di ottima neve dura dove entrano quasi solo le punte dei ramponi, ma ci sono poi tante altre zone o di riporto da vento farinosa o di neve non trasformata dove il piede affonda fino alla caviglia e oltre.
Seguiamo la traccia di qualche predecessore dei giorni scorsi, ma a volte il vento le ha cancellate, e altre volte le vediamo andarsene a percorrere strane varianti di cui non ho nessuna voglia di conoscere e scoprire con sorpresa grado e difficoltà (storie già viste). Il tutto è sempre molto suggestivo e piacevole, incassati in questo budello nel cuore delle montagne a seguirne una striscia di neve che speriamo ci porti verso l'uscita e spazi ben più ampi, dove gli occhi potranno spaziare su vasti panorami e non soltanto sulle pareti circostanti.
Nel tubo della valanga ci facciamo prendere dall'entusiasmo di trovare un po' di neve dura, entusiasmo che più tardi ci fa risalire un breve tratto sulla destra abbandonando la striscia principale che stava iniziando a stringersi parecchio. Dopo pochi passi scolliniamo e raggiungiamo una zona dove chi ci ha preceduto ha gironzolato a destra e sinistra alla ricerca della via: davanti a noi infatti un muro nevoso sbarra la strada, muro che non sembra neanche difficile da salire (certo, se la neve è buona però), ma ciò che mi preoccupa maggiormente è il non sapere cosa c'è oltre.
Propongo allora di ritornare sui nostri passi e riprendo la striscia principale, che si rivela la scelta corretta. Dopo qualche metro un bel riparo sotto un costone di roccia invoglia a una breve pausa per bere qualcosa. Fabio inizia essere stanchino ma c'è ancora da stringere i denti. Il sole comincia a illuminare cime e creste circostanti sciogliendo neve ghiaccio e facendo precipitare a valle qualche sasso.
Questo vaio non è lineare, gira a destra e sinistra e soltanto all'ultimo consente di vederne l'uscita. Nel durante si ha sempre l'impressione di essere dentro un piccolo labirinto di ignota lunghezza. La qualità della neve è pure peggiorata ora che il vaio si apre a forma di catino, catino che deve aver raccolto tutto ciò che il vento ha spostato ma anche le recenti nevicate ad alta quota. Dritta davanti a noi una parete rocciosa presenta un punto debole dove si vede che qualcuno è andato a cercarne una variante di uscita, Ma noi ci accontentiamo della nostra, che anch'essa scopriremo essere una variante.
Con Federico mi alterno a far traccia davanti mentre Fabio ci segue un po' distanziato. Il pendio nevoso a sinistra mi sembra un po' troppo appoggiato per essere un'uscita, non vorrei che ci portasse su una crestina rocciosa nel vuoto. D'altronde le altre due volte che ho salito questo vaio, sono sempre uscito un po' più su, in mezzo a quelle rocce: direi proprio che oggi faremo uguale.
Continuiamo la salita che proprio nel tratto finale inizia a impennarsi. Mi infilo fiducioso in mezzo alle rocce, con cornice a destra e a sinistra ma non dritto. All'inizio neve ottima per piccozza e ramponi, ma negli ultimi 5 metri pessima: farina dove le picche non fanno presa e dove i piedi indietreggiano a ogni passo. Cercando di sfruttare quel poco che c'è riesco a uscire ed essere baciato da un tiepido sole.
Spettacolo di panorama bianco e candido!
Federico mi segue a ruota. Fabio sta per infilarsi nella strettoia finale, gli lancio una corda cui legarsi facendogli sicura a spalla perché non è che sia proprio piacevole per un neofita questa uscita in free solo.
Una volta che ci raggiunge anche lui, possiamo fare la foto di Vaio e mangiare e bere qualcosa.
Essendo qua non posso non pensare di salire in cima, ma vedo che anche gli altri due non si tirano per nulla indietro. Oggi ho preso i ramponi classici proprio per evitare il problemone dello zoccolo dei Blade Runner rimasti a casa: e invece anche questi qua oggi rompono parecchio le scatole. Altro che scatole, sul traverso che conduce al passo tra Cima Campalani e Rifugio Fraccaroli c'è da ammazzarsi se si scivola giù.
Niente Canalino Sud oggi, e sbucati sopra il Vallone della Teleferica un venticello fresco ci accoglie e invoglia a essere sbrigativi. Ancora voglioso di pendenze ghiacciate salgo per la cresta, e raggiungo la cima poco prima degli altri due: ancora qualche foto e via giù in un posto un po' più accogliente, climaticamente, parlando dove mangiare.
Scendendo, a Bocchetta Mosca ci fermiamo finalmente a mangiare qualcosa un pochino più con calma, cercando accuratamente di sederci sull'unico masso affiorante per non bagnarci il culo. Solo che mannaggia, il cielo si è svelato, il sole non è più potente come prima e il vento solletica le terminazioni nervose che ci fanno percepire una temperatura non proprio idonea a restare fermi . L'ultimo morso al panino e si riprende la marcia verso bocchetta fondi.
Marcia su spettacolare traverso nevoso che lascia assaporare ampi spazi di alta montagna. Ultima risalita verso Bocchetta Fondi e poi sarà discesa, sperando che quelle che erano non proprio buone condizioni in salita diventino buone condizioni in discesa: già perché trovare neve marmorea in salita sarebbe stato piacevole, ma in discesa mica tanto (non siamo mica gli scavigliatori francesi degli anni del dopoguerra!).
E infatti la discesa è più sciabile che ramponabile e ci permette di perdere quota senza spaccarci le gambe. Il sole è ancora abbastanza alto quando arriviamo alla macchina, dove ovviamente Nicola non c'è ancora. Ho quindi tutto il tempo per mettermi in assetto da Trail e correre 10 minuti sulla neve per testare i ramponcini da ultra trail estremi.
Ma soprattutto abbiamo tutta la calma e il tempo per andare in rifugio a berci una birra, fare due chiacchiere, mangiarci una fetta di torta, uscire dal rifugio, andare in macchina a mangiare qualcosa, dormircene un'ora e mezza, svegliarsi per il sole che ormai è calato e l'effetto stalla non è più così potente in auto, cercare di telefonare a quei due disgraziati dispersi nelle rughe del Carega, cercare disperatamente un posto in cui il telefono prenda, e infine finalmente quando ormai il sole è quasi calato non solo dietro le montagne, ma anche sotto l'orizzonte, vederli arrivare nemmeno troppo cotti e brasati. Come non fargli bere un birra che per noi diventa un'altra birra?!

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Nicola e Matthias han fatto questo