domenica 22 settembre 2019

AR1 in Brenta: Spigolo Gasperi

A volte le cose che capitano per caso sono pure quelle che riescono bene. Dopo un intenso corso AG1 è una propensione sempre maggiore al mondo del Trail, piuttosto che al sempre più affollato mondo dell'arrampicata e dell'alpinismo, la mia disponibilità al corso roccia del CAI di Carpi si era limitata a qualche "Tenetemi come riserva". Una riserva che data l'assenza di tre "Sì" scende in campo per questa piacevole partita a un'unica squadra, squadra sempre vincitrice.
Terza uscita del corso AR1 del CAI di Carpi: destinazione Dolomiti di Brenta, nello specifico Rifugio Tuckett. Dolomiti di Brenta che per quanto riguarda l'arrampicata mi hanno sempre descritto come un mondo a sé stante, con gradi nettamente più stretti della media (cosa che però in quelle poche arrampicate che ho fatto in Brenta non ho riscontrato). Il mio arrugginito stato di forma arrampicatoria mi fa perciò dubitare: ma se come ho imparato dalle endurance è la mente che domina il corpo e non viceversa..mo speriamo che me la cavo.
L'orario di partenza non è dei più mattinieri, riusciamo a incamminarci dal parcheggio di Vallesinella che sono da poco passate le 9. La giornata sembra splendida, ben più del previsto: non c'è una nuvola in cielo e il fresco frizzante del parcheggio viene soppresso dal riscaldamento dovuto alla salita lungo il sentiero, coadiuvata dal peso degli zaini. Cerco subito lo sguardo di Nicola per rimembrargli quell'epica giornata all'assalto del Canalone Neri, al quale ricordo lui mi rimpalla "Stavo giusto parlando con gli allievi di quella volta che ci portasti su Cima d'Asta a sputare sangue senza ciaspole con gli scialpinisti che ci deridevano". Bei ricordi, Bei tempi.
L'ora e 40 di avvicinamento al Rifugio Tuckett vieni alle allietata come sempre succede alle nostre uscite da racconti, aneddoti, prese in giro, scambi di opinione, tra tutti: istruttori e allievi sono sullo stesso piano, gli istruttori si dimostrano essere soltanto degli allievi con un po' di esperienza in più. E non mancano certo le bonarie prese in giro: la scia di speziato indiano che il nasone di Nicola dice di fiutare dietro di me, il racconto di come è nato il nomignolo "Dave l'eterno", e le battute sconce di Nicola che un giorno ci faranno pervenire una denuncia per molestie sessuali.
Dal rifugio è già ben visibile la via alla quale l'eterno ha indirizzato la mia cordata. Il piacevole clima concede pure di mangiarsi un panino a petto nudo nella speranza di asciugare un po' una maglietta bella sudata. Con calma tutti quanti ci dirigiamo verso i relativi attacchi, chi più vicino e chi più lontano. Fortunatamente e inaspettatamente sembriamo essere i soli ad arrampicare qui oggi, tranne una cordata che vedo sulla normale del Castelletto Inferiore, ma già sulla prima cengia. In breve siamo all'attacco e comincia la rumba.
L'altra cordata che sale insieme a noi e quella composta da Tommaso ed Ennio. Tra una cosa e l'altra sarò io il primo a partire e a rimanere costantemente davanti lungo l'ascesa: dato che il meteo sembra bello stabile non c'è eccessiva fretta, se non fosse per l'ora della cena che ci hanno minacciato essere al massimo alle 7. Nodi a otto, filatura delle corde, passaggio del materiale, scarpette, e via che si va (il casco è stato messo per primo).
Lo spigolo Gasperi è quasi una variante della via normale, per raggiungere il quale è necessario scalare la prima parte della stessa. Circa 100-120 metri di sviluppo di arrampicata dentro un caminone obliquo superato direttamente o spostandosi su placca alla sua sinistra. Difficoltà basse ma su roccia bella levigata dai millenari passaggi e dal millenario effetto canale di scolo pluviale.
Il caldo sole settembrino a volte va in crisi nei punti più profondi, ma per nostra fortuna lui e il camino sono orientati perpendicolari in queste ore. Una roccia compatta rende difficoltoso metter giù delle protezioni, ma almeno in sosta si trovano cementati e anelli bovini, più bovini di quelli della pietra! E già mi ci vedo a calarci in doppia da qui: già perché credo che sia quasi impossibile riuscire ad arrivare in vetta oggi senza usare poi la frontale e rischiare di rimanere senza cena.
Salto la terza sosta ufficiale fiducioso di poter raggiungere la prossima e risparmiare quindi un po' di tempo cosa che riesco a fare: mi avanzano solo pochi metri di corda. Solo che adesso Marco e Marcello non riescono a sentire la mia voce, e non avendo concordato in modo chiaro come sostituire i segnali vocali ad altri segnali, ci si trova in un culdesac. La classica trappolina che faccio a ogni corso. Dopo un po' i ragazzi partono, probabilmente anche confortati dalle indicazioni di Tommaso.
Bene, arrivati qui occorre percorrere la cengia verso destra (faccia a monte) per arrivare all'attacco dello slanciato spigolo Gasperi. Cengia facile con pochi tratti di arrampicata o disarrampicata, ma esposta e dove è difficile assicurarsi. Ben presto scompaio dietro una curva: ai miei avevo detto di partire quando finivano le corde, ma questo già iniziano a tirare. Trovare l'attacco adesso non è facile: un chiodo in mezzo dei sassi mi fa quasi dubitare che l'attacco sia sopra di me, ma non è possibile. Proseguo tirando la corda a forza, ma non vedo spigoli netti partire sopra di me: da giù era molto più facile individuare dove passava la via ma adesso è piuttosto complicato.
Un altro chiodo, che potrebbe indicare che c'è da salire qui, ma titubo: sta a vedere che ci tocca tornare indietro perché non trovo l'attacco. Provo a proseguire, ma dopo una decina di metri la corda tira veramente troppo e devo tornare indietro a fare una sosta da quel chiodo integrando con un Friends un po' dubbio. Nel mentre osservo per terra, notando una sorta di sassi ammassati in modo un po' strano: sembra quasi che ci siano un paio di ometti sdraiati. Però non vedo mozziconi di sigaretta, maleducazione che spesso indica un punto di sosta.
Arrivano i miei compagni di cordata, arriva Tommaso, ci confrontiamo un po' ma senza cavare un ragno dal buco. Provo a proseguire, ma poco dietro c'è un irregolare sistema di guglie e un canale che dovrebbe essere quello che stava giusto alla destra del torrione dove corre la nostra via. Oh sta a vedere che ho fatto sosta nel punto giusto: vabbè, provo a salire qui, se più su trovo la sosta a spit, allora sono nel punto giusto, altrimenti so' volatili per diabetici.
Mi hanno inculcato di temere i gradi in Brenta perché sono stretti e severi rispetto agli altri in Dolomiti. E in effetti già in questo primo tiro mi ritrovo ad affrontare dei passaggi non proprio facili, e non riuscendo a proteggermi adeguatamente. Ma tutto sommato riesco a salire sciolto e rilassato, più di quello che temevo visto il mio stato di forma e allenamento. È aperta la caccia alla sosta: guarda in sù, guarda in giù, guarda a destra, guarda a sinistra, salgo zigzagando, ma nulla. Poi finalmente intravedo lassù due spit che si mimetizzano con la roccia e uniti da niente: mica facile trovarla questa sosta! Ma è lei: siamo sulla via giusta!
La scalata inizia a farsi più seria, con difficoltà crescenti e continue, una buona esposizione e sempre una giornata fotonica intorno a noi con un bel sole caldo è un cielo terso. Presanella e Care Alto sono sempre a fare sfoggio di se, anche se piuttosto nudi di bianco. I ragazzi se la cavano e il clima è goliardico, addirittura tra prima e seconda sosta riusciamo a essere sempre a vista e..anche a udito.
O la via è sovragradata oppure non sono così arrugginito come temevo. Non sentirsi mai impiccato è una piacevole sensazione che ti fa godere la giornata, soprattutto in queste situazioni nelle quali non conosci proprio benissimo chi è legato con te. Tutto scorre bene ma.. lentamente Beh oddio, in realtà non avendo l'orologio al polso e non chiedendo mai che ore siano il dilatarsi del tempo ancora non lo percepisco, ma capisco bene che calarsi da questa via potrebbe essere un po' problematico, oltre al fatto che ci sarebbe da abbandonare un po' di materiale e ripercorrere la cengia a ritroso.
Qualche bel passettino in strapiombo non manca, ma soprattutto il terzo tiro regala una sorta di dietro in leggero strapiombo e quindi tutto in bella esposizione. Mamma mia quanto mi piace questo tipo di arrampicata! Altro che placche in piena parete. La Sosta però me la vado a cercare tutta sinistra, e anche se ho quasi la certezza che non sia quella giusta (la giusta potrebbe essere nella nicchia che vedo sette metri sopra di me), voglio proprio fermarmi qui, su questa cengetta stretta per la gioia dei miei compagni di cordata, che infatti tenteranno di starsene tutti belli schiacciati contro la parete e con il barcaiolo di autoassicurazione in vita, mentre io li inviterò a buttare il c*** tutto indietro per saggiare e assaggiare tutta l'aria che gli sta sotto.
La guida parla di 4 tiri, una relazione trovata su web parla di 5, noi siamo un po' tirati come tempi: io inizio a salire e vedo se riesco a saltarci fuori. Di certo non è terzo grado, anzi forse è pure il tiro più continuo e dalle difficoltà comparabili ai due precedenti. E per questi motivi si rivela essere forse più bellino, anche perché diventano molti di più di 30 m. Sempre bene ammanigliato offre la possibilità di superare strapiombetti in modo agevole, fino ad arrivare al netto cambio di pendenza sul pianoro sommitale del Pilastro. Due spit sono su una roccia orizzontale e fortunatamente un torroncino sul quale mi posso sedere per recuperare i miei.
Torroncino comodo per i primi minuti, ma che poi diventa una tortura aspettando che salgano: d'altronde non si può avere tutto dalla vita. Arriva Marco, seguito da Tommaso, un Marcello che si traziona "cigno macigno" e infine Ennio. Tiro fuori il telefono dallo zaino per fare due foto, e scopro essere le 17:37.. la cenaaaaaaaa! 5-10 minuti a tutti quanti per rimettersi in sesto e poi meglio darsi una mossa a scendere, anche perché il primo tratto non lo conosciamo. Inizia pure a far freschino.
Seguendo gli ometti finiamo sull'altro versante della montagna, a tratti su ripide ghiaie sulle quali il buon Marcello ha poca confidenza..ma ne sta facendo. L'altra poca confidenza che ha sono le doppie, ma anche qui porremo rimedio facendogliene fare ben 5 e di cui una su corda singola. Ben presto perveniamo a una sosta per doppia che rinforzo con un mio cordino, che attrezziamo per gruppi numerosi e che facciamo per tutta la lunghezza della corda. Scendo per primo: scende Marcello e lo mando in avanscoperta sulla traccia, scende Marco e lo mando dietro a Marcello, sia per metterci avanti sulla discesa ma anche per toglierli da un eventuale caduta sassi di chi deve ancora scendere. Scende Ennio e lo lascio lì ad aspettare Tommaso mentre io raggiungo gli altri due per vedere di attrezzare nuove doppie.
Altra cengia un po' esposta, che poi si ricongiunge alla stessa cengia che ci ha portato all'attacco. Si torna così a quella che era stata la nostra terza sosta, ed alla quale quasi si vede il rifugio. Attrezzo la doppia ma aspetto Tommaso, dopodiché iniziamo una discesa in sequenza cercando di velocizzare il più possibile. Dall'ultima doppia, con il sole ormai dietro le montagne, ci arrivano urla dal rifugio: è Luca che ci chiede la conferma di esser noi e che ci gufa la frontale.
Ultima doppia e sono alla base della parete a godermi lo spettacolo delle ultime luci e delle sfilacciate nuvole colorate dietro il gruppo dell'Adamello. Nel mentre telefono a casa per far sapere che sto bene e per fare due chiacchiere mentre aspetto che gli altri compiano le loro operazioni. Marcello sulle doppie prosegue calmo calmo calmo, passo dopo passo, un piede dopo l'altro. Arrampicasse anche così non sarebbe male! Sceso Marcello lo invito ad andare verso il rifugio a rassicurare gli altri e togliersi da possibili cadute sassi. Faccio uguale con Marco e poi con Ennio, resto io alla base ad aspettare Tommaso e dargli una mano a far su le corde. A proposito mica che abbiano fatto su una corda sti allievi: se me lo ricordo dopo al rifugio gliele disfo tutte e gliele faccio rifare. Arrivato anche Tommaso giusto a pelo prima di accender la frontale ci dirigiamo verso il rifugio scambiandoci quattro chiacchiere sui pareri della giornata.
Sono già pronto a cospargermi il capo di cenere chiedendo scusa ai rifugisti e alla cucina per il nostro ritardo visto che ormai sono quasi le 20. E invece, dopo aver riposto le cose in stanza ad esserci cambiati almeno una maglietta, entriamo nel rifugio, scorriamo i tavoli cercando sguardi amici, e infine li troviamo tutti a un unico tavolo, con a fianco due tavoli vuoti: uno per noi e l'altro per.."Beh luca, ma Nicola e i suoi dove sono?" "Eh devono ancora tornare, li abbiamo sentiti per telefono 10 minuti fa che erano in discesa" Grazie Nicola grazie, che mi eviti sempre le figuracce essendo più in ritardo di me!
Una sana buffata a suon di risate, una birra media che scende come una tanica d'olio in un motore secco, che necessita poi di essere rabboccato di nuovo con un'altra tanica. Arrivano anche Nicola e Alessandro quando noi ormai abbiamo finito di mangiare: tutto bene quel che finisce bene! Ci sarebbe solo da decidere cosa fare domani: le previsioni meteo sono nettamente peggiorate annunciando pioviggine già di prima mattina. Alla fine la scelta migliore è domattina svegliarsi, mettere il naso fuori e vedere come butta.
La sveglia suona alle 5: mi sono portato dietro la roba da Trail con l'idea di scendere giù a Vallesinella di corsa e tornare su di passo svelto per sgambare un po' e togliere il guinzaglio al camoscio che è in me. O forse più che camoscio dovrei dire mulo. Ma quando la sveglia suona il tepore del piumone mi tiene imbrigliato, e il pensiero di dover uscire e correre su rocce scivolose e bagnate a buio con rischio di accopparmi non è che sia un buon presagio. Poi metti caso che mi faccio qualcosa davvero, divento un problema per il corso: giro gallone e ci vediamo alle 7.
Nonostante non abbia fatto una mazza di attività, e nonostante sappia che probabilmente non ne farò neanche per il resto della giornata, a colazione mangio come se non ci fosse un domani, e al mio tavolo ci divertiamo a verificare cosa ci sia scritto sui biscotti. Che cacchio me ne capita uno della serie "il buongiorno si vede dal mattino".
E si torna così all'annosa discussione di cosa fare oggi. A un ristretto tavolo, ai ragazzi espongo una frase piuttosto semplice "Ragazzi, io se fossi per i fatti miei col c**** che andrei ad arrampicare oggi, scenderei giù e me ne andrei a casa". Al più grande tavolo con tutti quanti, direttore compreso, attendo silenzioso il verdetto (troppi galli nel pollaio fanno solo del casino). Alla fine si opta saggiamente per andare a prendere d'assalto un po' di massi erratici sotto i franoni, sui quali far provare i ragazzi da primi ma con corda assicurata dall'alto: da primi e mezzo.
E sono queste le situazioni in cui un istruttore si stanca di più che a tirare una via. Ho ancora ben presente in me il ricordo di quella giornata del corso A1 in Pietra dove ripetei le stesse cose a 20 persone diverse appeso come un salame a una sosta dalla quale dovevano scendere in doppia. Arrivai a casa annientato come neanche dopo la Tot Dret. Oggi almeno è più blanda, non fosse però per il freddo che si patisce a star fermi. Ma anche questo fa parte del gioco, e i sorrisi e le battute che ci si scambia sono una lauta ricompensa a questa fatica.
Luca passa il suoi friends a chi si appresta a salire da primo, o meglio da primo e mezzo, elencandone non la misura ma il loro costo in euro, giusto per mettere a proprio agio la persona: e da buon Karma, un Friends rischia subito di incastrarsi e non venire più via. Con Davide e Tommaso mi ritrovo ad attrezzare una sosta sulla quale disquisiamo talmente tanto che mi sembra più di essere io una giornata di lezione piuttosto che i ragazzi del corso.
Scorgiamo un paio di cordate sullo zoccolo del Castelletto Inferiore, mamma mia se non gli invidio ad arrampicare con questa roccia fredda! Alla fine a discapito delle previsioni meteo, non piove ma non c'è nemmeno il sole, e con questi pochi gradi centigradi sopra lo zero la roccia non deve essere per nulla piacevole al tatto.
Senza voler tirarla troppo per le lunghe, intorno all'una quando ormai tutti quanti hanno fatto un po' tutto, meglio iniziare a scendere per non chiamarcela proprio addosso la pioggia che finora ci ha graziato. In discesa si fa pure beffa il sole che per un attimo appare e ci fa scorgere le cime che erano state nascoste dalle nuvole. Ma tutto dura poco e noi proseguiamo verso valle tra nuovi aneddoti e risate, fino alle macchine, al discorso finale del buon direttore Davide, e infine verso la dovuta rifocillazione. Anche se a dire il vero mi sono mangiato pure già i miei due panini: oggi non sono proprio in equilibrio calorico.

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domenica 15 settembre 2019

Se si chiama fumante ci sarà un perché: Via dei Sassi

Più che estate settembrina sembra un estate di giugno. Tranne che per quei temporali pomeridiani che di solito si scatenano sempre sulle Piccole Dolomiti che invece adesso non si vedono. Il momento migliore quindi per andarci ad arrampicare! Messe da parte le blasonate "facili" nuove vie sul Gruppo del Sengio Alto per evitare probabile affollamento, ci spostiamo nel Gruppo del Fumante, su quel pilastro- cresta rocciosa che delimita Vajo del Cengio e Vajo delle Frane.
Ovunque splende il sole tranne che sulle Piccole Dolomiti, attorniate da una dolce e umida foschia; che a metà mattinata le abbandonerà quasi tutte, tranne quelle della zona in cui siamo noi: ma d'altronde se si chiama Gruppo del Fumante ci sarà un perché. Non si chiama Gruppo dello Sgombro o Gruppo del Sereno.
Dopo una prima parte pianeggiante, si prende il sentiero 195 che si inerpica ripido verso gli attacchi della parete nord della Guglia GEI, e in seguito prosegue dentro il Giaron della Scala. La nostra meta è già ben chiara, e con un traverso scosceso raggiungiamo l'attacco, sotto il quale avevo soggiornato al tentativo di uscita di AG1 di quest'anno.
Subito sconcertati dalla differenza di grado tra la relazione dei sassbaloss è quella di Piccole Dolomiti Sport, decidiamo che sia io a partire, e quasi di certo proseguire almeno anche per il secondo tiro. Il panorama è mozzafiato, quello che le Piccole Dolomiti sanno concedere: il pantone 428C. La roccia almeno è davvero buona: la via parte in camino, si sposta in parete e poi prosegue spostandosi verso destra fino un provvidenziale cordino dentro a una dubbia clessidra che serve solo indicare che dietro c'è la sosta.
Tra scherzi risate canzonate mi raggiunge Stefania che mi fa gentilmente anche ripartire da primo. La spaccatura iniziale regala un arrampicata di nuovo molto esposta, ma non difficile. Un intermezzo di ghiaino porta al passo chiave della via: uno strapiombo dove ringrazio mamma di avermi fatto con le gambe lunghe e lo Yoga di avermi sciolto le anche almeno un po' (un po', mica tanto, paletto di legno che non sono altro). Accidenti al rinvio corto che ho usato per proteggermi proprio al passo chiave, che adesso mi crea un sacco di attrito e mi costringe a sostare in corrispondenza della sosta della via Luisa: che comunque essendo su anelli non è poi un dispiacere.
Nonostante l'estate settembrina, il microclima del fumante ci fa apprezzare di esserci tenuti la maglietta a maniche lunghe. Cedo il passo alla mia compagna, che raggiunge in breve la vera sosta del secondo tiro e poi prosegue sulla paretina invece che stare dentro al dietro. Un bel mugo possente l'attende per arrotolarci intorno il cordino di sosta.
Rifletto e dico "Lassù deve esserci il traverso psycho di cui mi ha parlato Mirco". Accidenti a me e svelare queste cose proprio adesso. Stefania mi guarda con quel sorriso misto tra lo scherzoso e il minaccioso che sottintende un "maledetto, te queste cose dirmele prima no?" anche se in realtà ci starebbe anche un "poi te la farò pagare". Litigando su dove prosegue la via, supero facili balze rocciose sopra la sosta e mi dirigo verso quella strana spaccatura-lama e quello che sembra un gigantissimo masso appoggiato sopra. Arrampicata di nuovo esposta, fino a raggiungere il famigerato cuneo di legno (anche se da relazione ce ne dovrebbero essere due), che poi diventa espostissima per il traverso ascendente verso sinistra, comprensivo di scavallamento laterale dietro uno spigolo col piedino sinistro che cerca un valido appoggio. Trazione sulla lama con aderenza di piedi, in groppa alla lama e il gioco è fatto. Davvero tutto molto bello: vediamo se sarà dello stesso parere la mia compagna.
Il successivo tiro incute timore per la verticalità della parete sul quale si svolge, ma una volta che ci metto mani e piedi scopro che è tutto ben ammanigliato e tutto bene ricco degli appoggi che servono. Forse per continuità è questo il tiro chiave della via, anche se il titolo se lo contendono parecchi tiri. Raggiunta la cresta vedo subito sosta e libro di via. Sosta dalla quale ci si potrebbe calare nel vajo delle frane ed eventualmente concatenare la Via d'Altri Tempi. Ma noi oggi cerchiamo di finire questa via: cerchiamo..
Nel libro di via sono profetico, maledettamente profetico, visto che ci scrivo "Andrea e Stefania, via dei Sassi e ora verso il proseguo in cresta". Stefania parte sulla cresta dove la roccia è già visibilmente di qualità peggiore rispetto a prima. E come naturale che sia data l'esposizione, è parecchio titubante. Scompare dietro la cresta, avanza un po' ma poi mi chiama a se: mi sembra un po' troppo presto.
Infatti la raggiungo e la trovo in sosta sullo spuntone che precede la disarrampicata. Data un'occhiata a quello che c'è da fare nei prossimi metri e quello che ci sarà da fare nei successivi (più che altro quel giallo sgretolante) ci guardiamo in faccia e diciamo "Ma perché non torniamo indietro, ci caliamo nel vaio delle frane e ce ne andiamo a bere la birra?": detto fatto!
Anche tornare indietro non si dimostra una cosa così banale, e lo sguardo in giù (tutto un po' sfocato dal grigio) mi fa temere che la calata sia ben più lunga delle corde. Invece no, per pochi metri arriviamo in un canale di scolo laterale del Vajo delle Frane, un posto bucolico reso ancor più tetro da questo umidità e fumo del fumante che ci pervade.
Schivati i sassi della calata della mia compagna, tra sassini e sassoni scendiamo un percorso che innevato è molto più piacevole e amichevole. Ripassiamo sotto l'attacco della via, e tornati sul sentiero ci concediamo una bella pausa a fagocitare tutto ciò che abbiamo nello zaino, avvolti da tanta fame quanto lo sono le montagne dalle nuvole. Le montagne intorno a noi, perchè le altre sono belle sgombre.
A panza piena, dopo aver osservato la calma di un camoscio che si deposita su una roccia a prendere aria e dominare la vallata, scendiamo pigramente lasciando un luogo che seppur nebbioso era "nostro": al Passo di Campogrosso invece il sovraffolamento è tale da farci sgusciare verso valle per prendere una birra in pace.

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