domenica 27 ottobre 2013

Dolomiti panoramiche: Cresta dei Monzoni

Già io faccio troppe foto di solito, ma oggi come resistere. Tantoché a casa ci ho messo delle ore per sistemarle tutte, creare le panoramiche, controllarle e selezionarle. Un lavoro certosino del quale non riesco ancora a stancarmi (o quasi..).
Mentre sono ancora li che sto tornando dalla Torre Jolanda, mi sento con Marco per metterci d’accordo per cosa fare domani (il weekend libero va occupato, quando poi godi di queste temperature e meteo, occorre approfittarne): scartata l’arrampicata che lui non ne ha molta voglia, scartati i Campanili del Latemar che ho già salito, vada per la Cresta dei Monzoni.
Altra sveglia alle 4 (meno male si cambia l’ora), stamani poi la strada ci sveglia bene, facendoci trovare un incidente andando verso il casello. I 20 minuti per aiutare il conducente malconcio non sono persi però, un aiuto in questi casi è doveroso. Poi dritti in A22, avvolti dalla nebbia. E lo scenario anche in alto sarà questo, il tappeto di nubi ai nostri piedi (e verso la fine del giro, anche sopra le nostre teste!).
Parcheggiamo a Malga Monzoni, abbastanza scontato ci sia poca gente in giro, e questo seppur bello ti lascia sempre quell’alone di dubbio “ma se ci sono solo io, forse che sia perché non ci sono le condizioni giuste?”. Scorgiamo della neve lassù sulla cresta che vogliamo percorrere, rimasugli, poca roba, ma chissà. Mettiamo nello zaino picca e ramponi va!
Ci si incammina, tappeto di nubi a valle, sole che illumina il Catinaccio che (per ora) intravediamo soltanto, ma noi all’ombra e al vento. Faremo comunque presto a scaldarci, visto il giro e i tempi, è meglio non prendersela troppo con calma, e poi nel pomeriggio arrivano le nuvole, stavolta non basse a valle.
Il bosco è bello colorato anche qui, ignoranti come delle capre non riusciamo a spiegarci come mai alcuni pini siano gialli e altri verdi. Arriviamo ben presto al Rifugio Tamarelli, che superiamo ammirando un avamposto roccioso sopra di noi: mannaggia, il richiamo della roccia. Intanto studiamo la nostra cresta, che osserviamo fin da quando siamo partiti: mi sembra davvero lunga. Salendo il Catinaccio si scopre maggiormente. Che spettacolo.
Scolliniamo al sole, ma sempre al vento, nella zona del Lago de le Selle, dove tre cacciatori con cinque bambini aspettano le prede, sigh (ma intanto un camoscio gli è scappato e ci ha attraversato la strada). Marco scherzando gli dice “oh, noi non abbiamo le corna” e uno sarcastico “ma non si sa mai”. Durante la giornata udiremo cinque serie di spari, e a ognuno ci cagheremo a dosso nel timore di una pallottola vagante.

Arriviamo al Passo le Selle, un’occhiata al bivacco (oddio questi vetri spessi 2mm!) e molte occhiate al panorama, che spazia dal Catinaccio e poi dal Pelmo al Civetta e alle Pale. Questi ultimi tre solo ombre, perché il sole non ne illumina i versanti. Mo che bel! E inizia una sterminata serie di foto, accidenti a me e emozionarmi così davanti a questi spettacoli.
E ora, dopo una mangiatina, fiato alle trombe, si parte per la Cresta dei Monzoni, anche detta Alta via Bruno Federspiel!
La partenza è blanda, un sentierino tra l’altro anche al sole (che non fa per nulla male), ma il panorama (non mi stancherò di dirlo) è favoloso. Addirittura laggiù si scorge il bianco del Gruppo Ortles Cevedale. La cosa davvero simpatica è che man mano che proseguiamo il nostro avanzamento verso ovest e saliamo di quota, il gruppo montuoso che ci sbarra la visuale, lascia lentamente apparire le altre cime dolomitiche. Adesso tocca a Sasso piatto e Sassolungo sbucare.
Arriviamo sulla prima cima, ci destreggiamo su resti di avamposti della prima guerra mondiale, e in ricordo ci ciò sentiamo gli spari dei cacciatori. Iniziamo a pestare qualche poccia di infida neve, che obbliga a un passo circospetto e all’ausilio dei bastoncini. Toh, appaiono le Odle.
Il percorso inizia a farsi più interessante, siamo sempre su una cresta, adesso tocca attraversare una mini galleria (con sorpresa!) per sbucare di la, dove una ventina di metri di cavo metallico e roccia ci attende. Nulla di che comunque. Toh, inizia a farsi vedere il Sella. E la dietro? Ma è la sud della Marmolada! Sembra di essere al centro delle dolomiti..
Nella parte centrale della cresta i tratti attrezzati sono numerosi, magari brevi, in ogni caso il fatto che all’inizio e alla fine di essi si trovino per terra nuovi scalini, metri di cavo, fittoni, pronti a essere installati, mi fa pensare due cose. 1. Devono ampliare i tratti protetti (ma non mi pare ci sia necessità, quindi..) 2. Vuoi dire che siano marci quelli che stiamo usando o tra un po troviamo un bel pezzo dismesso?!
Siamo passati all’ombra, sotto la cresta, e questo fatto ci fa trovare delle lingue di neve belle dure dove occorre gradinare bene e a modo, daje de tacco daje de punta quant'è bona la sora assunta. La dolomia lascia posto ad altra roccia, leggerò poi vulcanica, a me sembra quasi gneiss. Fatto sta che è bella compatta, e trovarsi sotto una dozzina di metri di questi blocchi massicci fa allo stesso tempo paura e fascino. Beh dai, adesso scendiamo su queste rocce lisce, per fortuna aiutati dal cavo metallico.
Finito il tratto sulla sponda nord, si torna a sud (al sole, che bello), e si trova una serie di canali che mi mettono ancora più voglia di inverno e neve. Ma come detto, sono a sud, chissà se e quando sono in condizioni. Ma poi, se anche li salissi, per dove scendo poi?! Questa Cresta dei Monzoni non sembra mica banale con neve, ghiaccio e cornici!
Diretti verso la Forcella Ricoletta, ora la roccia è finita, ma il percorso resta comunque da antenne dritte perché la traccia del sentiero è esile e si snoda su un versante erboso ma ripido. Difficile guardare in basso quando tutt’intorno le cime e massicci dolomitici sono li nel loro splendore a farsi ammirare. Riesco a notare ora che un gruppetto di persone segue i nostri passi, ma è ben dietro a noi. Se poi sono gli stessi che abbiamo visto al passo Le Selle che salivano dal versante del passo di San Pellegrino, non credo proprio che scenderanno con noi.
La Forcella Ricoletta è un inganno, dopo di lei occorre risalire, e in breve, fino a Cima Malinverno: difficile calcolare il dislivello di oggi, qui in cresta è un continuo saliscendi, con tratti anche aspri e ripidi. Insomma, i trekking col pepe che ci piacciono.
 Su Cima Malinverno è di nuovo festival di foto, forse è il punto più panoramico di oggi, peccato solo si notino delle nubi che arrivano a offuscare un po’ intorno.. Difatti preferisco sgaggiarmi per arrivare alla Forcella dalla quale poi scenderemo e lasceremo l’ignoto di questa cresta. Già perché seppur in seguito i tratti saranno semplici, continueranno comunque a essere aerei, e non vorrei trovarmi qui durante un acquazzone!
Ah, pieni polmoni, di aria buona, di spazio aperto, di libertà, di dimenticanza delle preoccupazioni della vita quotidiana. Tutto questo però finisce alla Forcella la Costella, dove la Cresta dei Monzoni finisce e dove non ci resta che scendere verso il Rifugio Vallaccia (visitato lo scorso inverno in un’altra giornata strepitosa!).
Data la fame, la sete, i rumori molesti provenienti dai nostri stomaci, il Rifugio Vallaccia casca a fagiuolo per alleggerire i nostri zaini dai viveri. Di nuovo inebriati dai colori del bosco, osserviamo il tracciato di oggi, che ci è ben tutto visibile. Bello bello. Arriviamo alla macchina, dove siamo sotto gli occhi e i becchi di temibili predatori: le oche!

Qui altre foto.
Qui report.

sabato 26 ottobre 2013

Rimasugli d’estate in Dolomiti: Via del Topo

Anomalo. Non ci sono altri termini per definire questo meteo. In pianura 18 gradi di notte, una nebbia fitta che nasconde in alto un bel sole. (Beh, si potrebbe pure dire "preoccupante") Come temperature sembra di essere a fine estate, non quasi a metà autunno, e quindi perché non approfittarne per (l’ultima?) scorribanda arrampicatoria in dolomiti? Non ci sono scuse, si va.
Nicola propone la Via del Topo sulla Torre Jolanda, gruppo del Moiazza: considerando cos’è la Jolanda per la Litizzetto, questo nome ispira già fiducia, quando poi si legge la relazione e il grado, è fatta. Ore 4e30 partenza super carichi. Finché non arriviamo nei pressi del Passo Duran però, gli animi sono un po’ delusi: sembra il grigio delle nubi abbia la meglio, ma in realtà si tratta solo di un tappeto che oltre i 1500m lascia posto al sole e alle cime dolomitiche che emergono. Il Pelmo e l’Antelao sono li a farsi ammirare.
Ci si prepara senza troppa fretta, c’è chi si lava i denti, e ci incamminiamo. Conosco un po’ la zona, anni fa ci venni con Marco per una due giorni in cui il primo fu dedicato a un giretto sul Gruppo del San Sebastiano, il secondo alla Ferrata Costantini (davvero bella, lunga, varia). La marcia è accompagnata dalle stronzate raccontate dall’uno o dall’altro, si parla del solito tema comune, e dopo un tratto di bosco usciamo su ghiaioni in mezzo ai mughi. 
La relazione parla di un’oretta di avvicinamento, intanto stiamo sudando come dei cammelli, il caldo è davvero da fine estate, mi autoringrazio per aver messo i pantaloni leggeri (cui posso fare un risvolto per farli diventare pinocchietti) e di aver preso una maglietta di ricambio nello zaino.
Poi accade il reparabile. Nonostante una bella scritta “Jol” su un masso indichi di proseguire sul sentiero, ci si convince che l’attacco sia lassù risalito questo canale. Andiamo a vedere: chi taglia a destra per cercare un passaggio, chi continua a salire trovando bolli rossi sbiaditi e fittoni. Io la nostra torre non la vedo, e da basso vedevo era molto più in la. La cartina mi fa intuire che stiamo seguendo la strada per la cengia Letizia, rileggo e rileggo la relazione e mi convinco che qui non vada bene. Lascio sfogare i tre che vogliono cercare di qui, e poi scendiamo tutti insieme.
Dopo aver perso 40 minuti, seguiamo la scritta, e risalito un po’ ci appare la nostra torre. Ma non è finita! Dov’è l’attacco?! Due vogliono salire a cercare, io me ne sto sotto, i grandi strapiombi di cui parla la relazione sono convinto siano questi, lo zoccolo della torre sia questo, lasciamoli sfogare.
Perso un altro quarto d’ora buono, si attacca. Parte Paolo, spavaldo con le scarpe da avvicinamento, col suo compagno Nicola che non gli fa nemmeno sicuro (beh in fondo finché non mette giù nulla..). Tutto molto ilare, in fondo di tempo dovremmo averne. La corda finisce, Paolo non ha ancora fatto sosta, Nicola parte. Cordata affiatata..
Finalmente tocca a me,  Ivan mi fa sicura. Primo tiro facile, solo qualche passo un po’ delicato, ma nulla di che. Non troviamo nemmeno un chiodo, ma la sosta sembra quella giusta. Che assolamento. Ivan mi raggiunge e in sveltezza raggiunge la seconda sosta, mentre io guardo Nicola in posizioni aperte sul terzo tiro ormai.
Galeotto fu il terzo tiro. Le cose iniziano a farsi un po’ più serie. Il bello di questa via è che si trovano pochissimi chiodi lungo essa, ma è possibile proteggersi bene con clessidre e nuts. Già. Inizio a mettere giù dei nuts. Il camino è interessante, atletico, divertente. Arrivo da Nicola in sosta, faccio tutte le mie operazioni, dico a Ivan di partire. Ma ci mette un bel po’ di tempo sui primi metri. Avevo visto che il primo nuts che avevo posizionato si era incastrato bene. Ivan arriva alla sosta “Andrea, fai conto di avere un nuts in meno”. E va beh, amen, meglio lui che me.
Col quarto tiro si arriva al passaggio chiave della via, giusto lì sulla partenza del quinto tiro. Già l’osservare Paolo da sotto che faticava un po’ mi ha intimorito. No dai, oggi la finiamo questa via, pulita, senza azzerare e senza metterci sei anni. No dai, non è così terribile, si sgnugna un po’ ma ce la si fa. La via è bella verticale, ma sempre ben ammanigliata e su roccia buona. Arrivo in sosta, è fatta anche questa, adesso dovrebbe esser in “discesa”.
La giornata è spettacolare. Ho idea che mi resterà il segno del sole sul collo talmente ne sto prendendo, Antelao e Pelmo svettano, il Gruppo del San Sebastiano si mostra man mano invogliando dei canali sulla parete che vediamo, la Crosa Spiza si rende misteriosa dati i blocchi di roccia che sembrano esser stati appoggiati sulla cima. Che spettacolo. A rovinarla solo la continua cantilena dei “zaletti”.
Nicola crea varianti sul sesto tiro, con Paolo se la ride. Pace è fatta! (scherzo, non han mai litigato, è il modo di fare burbero di noi montanari). Al settimo c’è da starsene un attimo in campana, i traversi sono sempre emozionanti, quando poi sotto vedi che vai giù dritto per centinaia di metri, l’emozione si accresce!
Arrivo in sosta e Paolo mi incita a continuare uscendo così io in vetta, ma no, non mi sembra corretto, tocca a Ivan su. E agilmente arriviamo tutti in cima alla Torre Jolanda. Gran strette di mano, ma ci resta ancora da scendere! Ce la prendiamo comoda, son le 14e30 e di tempo ne abbiamo, oltre che fame e sete da placare!
Doppie o normale? Giù per la normale, bravo a chi ha messo giù una corda fissa (meglio non guardare però dove e come sia ancorata) perché il primo tratto è davvero esposto. Ora siamo all’ombra, una maglia in più addosso, ma non c’è freddo. Paolo scalmanato ci semina, ma tanto le chiavi della macchina le ho io! Articolata ma sempre intuibile o segnata da ometti la discesa, non presenta problemi di orientamento.
Scendi, risali alla forcella, scendi un canale, e ci ritroviamo all’attacco, al sole, Torre Jolanda conquistata e pulita. Ferma tutto! C’è ancora da passare quel canale-camino! Meglio del previsto, si rientra nel bosco e ben presto alla macchina.
Nella calma più totale (che bello non avere il fuoco al culo) ci cambiamo (con spettacoli raccapriccianti dei quali ometto foto per decenza al pubblico) e sistemiamo le cose, ma c’è chi perde le chiavi, e tra cercare, svuotare i suoi zaini, due volte, svuotare i nostri, infine trovarle in mezzo alle corde, si perde mezzora facile. Ma questo ambiente è davvero fenomenale oggi, dolomiti di fine estate.
Bella giornata che finisce con una buona birra a bagnare le nostre gole arse. Ma chi mi conosce già in cima nota che “non hai mica spaccato le palle con le tue stronzate oggi, che succede?!”: già, pensieri per la testa, ma almeno quando sei appeso a una corda e devi preoccuparti di portare a casa la pelle tua e del tuo compagno, non pensi ad altro.

Qui altre foto.
Qui le foto di Nicola.
Qui report.
Qui relazione.

sabato 19 ottobre 2013

Autumn in Reggian Appennin

OK l’esser razionali e ragionar prima di agire, ma quando l’istinto chiama può esser la scelta giusto ascoltarlo. E così è stato anche stavolta. Il richiamo di un bel trekking intenso nel mio caro Appennino Reggiano, a visionarne la fragranza dei colori autunnali e la solitudine astratta di questi luoghi, è stata la mossa giusta. 
Declino l’invito per una via di roccia fattami dai compagni di merende e decido di partire da solo alla volta dell’Appennino Reggiano: il giro che voglio fare è ambizioso, già un paio di volte avevo provato a farlo, anche solo un pezzo, ma poi desistendo causa meteo o tempo o mancanza di voglia sopraggiunta all'improvviso. L’idea è di partire da Case di Civago, prendere il sentiero che sale al Monte Ravino, cresta di Vallestrina, cresta del Cusna, discesa per la costa delle Veline e ritorno nei pressi del Passone, cresta nord del Cipolla e del Prado (tracce, ma non è un sentiero ufficiale), crinale fino al Passo delle Forbici e discesa verso il Rifugio San Leonardo per ritorno all'auto.
Qualche minuto prima delle 8 mi incammino, dopo essermi attrezzato i piedi con un po’ di scotch per prevenire le vesciche in questi scarponi che devo ancora deformare a mia immagine e somiglianza. Pronti via. Il cartello segna 6 ore fino al Cusna, ma devo metterci molto di meno. Ma partiamo male, spari in lontananza (ma non troppo) e l’incontro con un cacciatore mi fanno venire un po’ paura. Ma non è riserva naturale questa?! E poi, che caldo.. Non credevo, mi tocca mettermi subito in manica corta, e ricredermi sulla scelta dei pantaloni lunghi.
Ma i colori della natura sono già inebrianti: verde, giallo, rosso in varie sfumature, tonalità, mescolanze, e il sole coi suoi riflessi che accende o meno ciò che colpisce o no. Che bello, e che effimero, l’anno scorso (se mi ricordo bene) mi ero perso questo spettacolo: se non becchi il weekend giusto, sei fritto.
Questo sentiero lo percorsi già tempo fa con Riccardo, e ricordo un tratto non di facile percorrenza e individuazione. In realtà trovo un sentiero in alcuni tratti di non facile individuazione (ragionando da escursionista principiante..) e col passaggio nel canalone di pietre un po’ rocambolesco. Nell'ottica di percorrere questo sentiero in inverno con la neve, occorre tenere memoria di ciò.
Superata questa solitaria e rigogliosa boscaglia, si spunta sulla strada forestale, un po’ ritornare alla civiltà, ma lascio presto questa sensazione per procedere spedito verso il Monte Ravino. Sbuco così al sole, bello caldo, ma come sempre il buon vecchio Appennino riserva un allegro venticello: ordinaria amministrazione. E godo anche del panorama sull'alta Valle del Dolo e sull'Abetina Reale: abeti verdi tra i faggi rossi.
Cima del Monte Ravino, foto e si prosegue, mantenendosi sul filo della cresta senza scendere sul sentiero. Incrocio una famiglia di cinghiali, due adulti color grigio e cinque “piccoli” color marroncino. Meglio fare del baccano per farsi sentire, in modo che scappino, ok vederle queste bestie, ma un incontro troppo ravvicinato è da evitare..
Questa cresta è un progetto da fare in invernale, deve essere stupenda con la neve. Certo, anche temporalmente più lungo. Un reportage sul versante nord di Sassofratto e Prado, altro cantiere in progetto per l’inverno di ghiaccio. Dall’alto ora riesco a notare il mare di nuvole in Toscana, che cerca di sconfinare  in Emilia: speriamo di no, o la giornata si rovina..
Alpe di Vallestrina raggiunta, e poi giù verso il Passone, i cui flauti fischiano al vento. Dritto verso la cresta est del Cusna, che conosco ormai a menadito, e che mi permette una continua visione sul crinale facendomi osservare per la prima volta il versante nord-ovest del Castellino: qualche salita interessante su neve?! Eh già, sono in astinenza da piccozza e ramponi. Toh, le Apuane che spuntano sopra le nuvole.
La salita al Cusna si svolge per le immancabili roccette, e in meno di 3 ore dal parcheggio raggiungo la quota massima della giornata. Ho una maglietta di ricambio, perciò perché non usarla? E perché non mangiare? Per uno strano gioco di correnti, sulla cima si riesce a trovare un posto al riparo dal vento, e con un sole che scalda bene bene: che bello sarebbe farsi una dormitina qui, ma se chiudo gli occhi mi sveglio domani!
Speravo scorgere un po’ di bestie, ma niente. Sono sconcertato dalla mancanza di marmotte, che l’anno scorso vedevo spuntare come funghi dalle rocce intorno al Cusna, chissà che è successo. Scendo per la costa delle Veline, davvero assolata, potessi mettermi in mutande forse starei bene. Chi l’avrebbe detto che il “tepore” sarebbe stato tale.
Arrivo nei pressi del Passone, punto la mia prossima cresta, l’elegante e sinuosa nord del Cipolla. Porca vacca, sul crinale si addensano nubi, che faccio? Salgo? Scendo per il passo Forbici? O me ne torno indietro per il Bargetana e poi Segheria? Uffa.. No che palle, me ne starò in mezzo alle nubi ma voglio finire il mio giro come l’ho programmato.
Forza, ultima salita di un certo impegno della giornata. Anche questa vorrei affrontarla in invernale con ghiaccio e neve, non deve esser banale. Anche perché le tracce estive aggirano su cenge certe asperità rocciose, cosa che d’inverno non ti puoi permettere. Man mano la pendenza aumenta, ma ben presto arrivo in cima al Cipolla: la vetta del Prado è ancora distante. Laggiù il Lago della Bargetana. Segue le tracce, ricordo un passaggio un po’ delicato in un diedro appoggiato di rocce rotte, ma il ricordo era peggiore del previsto.
Ed eccomi in cima anche al Prado, bella cavalcata oggi, seguito dai colori dell’autunno. Giusto il tempo di ricambiarsi la maglietta (quella cambiata in cima al Cusna l’ho opportunamente stesa allo zaino e ora è asciutta) e mangiare un Twix al riparo dell’ometto in cima. E poi giù sullo 00 verso il Passo Forbici. A sinistra posso continuare ad ammirare i colori autunnali, con l’abetina reale che invece che si oppone al cambio cromatico stagionale mantenendosi sempreverde. A destra..le nubi coprono il versante toscano.
Percorro il crinale e ripenso alla cavalcata dell'estate scorsa dell’estate corsa, che roba. Che luna quella notte, che stanchezza all'arrivo al Cerreto, che sonno quella notte di agosto. Arrivo nei pressi di una sperone roccioso di un paio di metri, non posso resistere a tentare qualche autoscatto, e la corsa verso la cima dello sperone che intercorre tra la pressione del tasto e l’effettivo scatto mi stanca bene: ne farò tre.
I colori sono fantastici, verde, giallo, rosso, mischiati in modo incomprensibile nei prati sotto di me. Ci si mettono anche le nuvole, che con le ombre che creano insieme al sole sui prati stessi, raddoppiano le tonalità. Il vento sul crinale si fa importante, ma questo è l’Appennino che conosco: basso ma incazzoso.
Continuo nella mia camminata verso est e cosa vedo?! Due ungulati cornuti che scappano via, ma hanno delle corna strane.. Un gioco di sali scendi mi permette di avvicinarmi a dove sono scappati senza farmi vedere troppo, e noto così che trattasi di corna ricurve, dei mufloni appeninici. Due maschi e due femmine, che fuggono poi verso il versante toscano. Adesso però voglio vedere un lupo!
L’ingresso nella faggeta mi segnala che ormai il Passo delle Forbici è vicino: l’ingresso in questo bosco mi porta alla mente altri ricordi, come quella giornata in cui nonostante il meteo mi avventurai comunque in un giretto di sfogo, per poi rientrare veloce nel bosco quando constatai che sul crinale imperversavano fulmini. Avevo ricevuto una brutta notizia, che cambiò le nostre vite, avevo bisogno di sfogarmi.
Al passo trovo qualche macchina parcheggiata. In questa giornata di gente ne ho incontrata poca, sarà per il fatto di aver scelto sentieri poco percorsi, distanze lunghe, un sabato, una stagione in cui la popolazione di trekker cala drasticamente. Ne incontro quattro scendendo verso il Rifugio San Leonardo, che hanno pero il bivio per il loro sentiero, e ai quali darò un passaggio da Case di Civago a La Romita.
Il guado del Dolo preannuncia il ritorno nel versante dove tutto finirò, dove abbandonerò (temporaneamente) questi luoghi. Ma dal San Leonardo il bosco mi regala un ultimo scorcio di alberi colorati da un’esperta pittrice: madre natura.
Sono le 15e10, di nuovo alla macchina, poco più di 7h immerso nell'autunno appenninico, 1600m di dislivello o più (in Appennino è sempre difficilmente calcolabile, e non ho voglia di star li a esaminare la cartina), 30km percorsi, vissuti, respirati a pieni polmoni e osservati con occhi attenti e profondi. Anche le nostre “montagne” hanno sempre il loro fascino.

Qui altre foto.
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