sabato 25 aprile 2015

Autoviolentato alla Pietra di Bismantova: Via del Diedro

Fosse per me terrei i ramponi ai piedi e le piccozze in mano dal primo gennaio al 31 dicembre. Ma la materia prima scarseggia in certi periodi, e la roccia diventa d’obbligo. Non che mi faccia schifo, anzi mi piace anche! Ma siccome serve più tecnica che fisico..mi ci ritrovo un pelino impiccato. Occorre riprendere in mano la situazione per prepararsi alla stagione. 

Da una settimana Nicola me la mena con questa via in Liguria, va bene, questa volta non oppongo remore sulle difficoltà ben oltre la mia portata, ci provo, mi violento, l’importante è che tu caro amico mio, stia pronto coi paranchi per issarmi quando non ce la farò. Ma alla fine rimaniamo solo io e lui, e si “rimedia” con una vietta in Pietra di Bismantova: lì dovrebbe splendere il sole, altrove nuvoloso o pioggia. 

Eccoci al parcheggio, solo noi, un paio di ragazzi neofiti ai quali diamo qualche dritta, e mezzo parcheggio transennato riservato al motoraduno protetto dalle guardie ecologiche: ma che cazzo centra una guardia ecologica con centinaia di tubi di scappamento?! E il cielo non è proprio limpido. 

Ci incamminiamo, uno sguardo al recente crollo, e via dritto verso l’attacco della Via del Diedro: Nicola ieri l’ha proposta, io non ho manco guardato le relazioni. Che fosse la via in Liguria o da qualsivoglia altra parte, so che oggi mi sto violentando per dare credito al mio amico, e per di più essendo che siamo rimasti solo io e lui, gli salvo l’uscita. Poi diciamocela, cerco di violentarmi per alzare il grado. 

Siamo presto all’attacco, da soli, una zona della Pietra poco frequentata, e meno male, ci si passa per andare alla ferrata più che altro. Nicola ha già fatto due volte questa via, finendola una sola però. Primo tiro di 5c, ben spittato (è anche un monotiro), ok dai parto io, proviamo. La Pietra di Bismantova è un amore odio, arrampicata tecnica, di piedi, con appigli svasi e sabbiosi. 

E il tiro si rivela già essere un buon bastonatore per il mio stato di forma e bravura. Come prima via della stagione sapevo mi avrebbe bastonato di sicuro, ma non so se nemmeno alla fine della stagione riuscirei a farla pulita. In un tempo immemore salgo, faccio “solo” un paio di resting, d’altronde l’arrampicata in diedro, spaccata sostituzioni sali, è arrugginita. Soccia che sosta scomoda. 

Forza Nicola, Vieni verso l’alto come un gatto e vai alla conquista del secondo tiro. Parte, ma prima di arrivare al secondo spit/chiodo (bello in alto), stacca un comodino di roccia che mi liscia la parte sinistra, che paura. Fortuna sotto non ci fosse nessuno. Mmm che due maroni la roccia così friabile! Mantiene il sangue freddo e arriva alla sosta.
Si vede già il terzo tiro, il chiave, bagnato. Arrivo alla sosta non senza arrancare e non senza la consapevolezza (speranza?) che ci caleremo perché sembra davvero troppo bagnato il prossimo tiro, e anche Nicola lo teme come una bestia nera. Il primo tiro poi è ben spittato, ma gli altri per nulla, e alcuni chiodi vecchi non ispirano troppa fiducia. Va beh dai, scenderemo a farci una Zuffa Ruggero, quella dovrei riuscire. 
No, proviamo. Ok Nico, non so se poi riesco a salire, ma vai che non voglio limitarti. E dopo pochi metri ha in mano un altro lavandino di roccia: qualche urlo per scambiare messaggi di attenzione con chi sta sotto, e poi giù un altro lavandino. Un friend, un cordino su un cespuglio secco, sbuffi e sbuffi, ed eccolo che arriva allo spit dove giace una maglia rapida che fa intuire dove tanti si fermino.
Delicato, bagnato, tecnico, è poi un buon 6a questo tiro. Ma Nicola no, determinato, quest’anno ha davvero le carte in regola per fare della roba da ufo, continua, lo vedo anzi destreggiarsi con ottima tecnica su questa fessura-diedro obliqua strapiombante. Poi sguscia fuori, non lo vedo più, sono fottuto, mi tocca salire. 

È lento adesso, si muove circospetto: una sosta sulla destra lo fa titubare, ma lui si ricorda sia a sinistra. Pilastrino sprotetto, facile ma friabile, e arriva in sosta. Volevamo fare dell’A1? Magari non sarà A1 la mia salita di questo tiro, ma qualcosa di più di un A0 di sicuro. Vacca se è dura. Mi violento e riviolento, anche le scarpette non sono troppo in sintonia con un piede che da un po’ non ne aveva l’abitudine a stare così stretto e arcuato. 

Arrivo in sosta, mosso solo dal sapere che il tiro più duro è questo, che superato questo è quasi fatta. Non fischietto molto, non faccio il ganzo come al solito: oggi orecchie basse e schiena china a prendere le bastonate. Il prossimo tiro lo posso fare anche io dice a Nicola, corto, facile, è un 4b mi dice. Va bene dai. 

Mi viene in mente Gianluca, quando in Piccole Dolomiti trovando un III in strapiombo tirava accidenti a tutte le catene montuose nell’arco di 100km. 4b con partenza in strapiombo accentuato e poche mani, un mezzo boulder insomma: saranno anche pochi metri, ma se non passi non passi, e se cadi addio caviglie. Passo, e mi ritrovo su un pilastrino friabile, fuggo verso la sosta. 

Sosta che spero sia sulla parete, e non su questo blocco di arenaria infisso da una spaccatura che rende chiaro che in tempi umani e non geologici, cadrà. Questa via fatta una volta è già abbastanza. Bella quanto vuoi, ma alla faccia del sapore alpinistico. 

Mi faccio già due risate sarcastiche (in realtà so che sono anche cazzi miei) nel pensare a come diavolo passerà Nicola in mezzo a quei rovi per andare sotto al diedro finale. Ma lui non se ne preoccupa molto, anche se ammette che quest’anno è davvero infestato. Ci vorrebbero le cesoie. Lui ha solo il coltellino, ma un po’ a decespugliare ci si mette, altrimenti non passa. 

Freeclimbing e treeclimbing per potature, si inizia con un traverso delicato e friabile per passare sotto al cespuglio (speriamo che i tempi umani di cui sopra aspettino almeno qualche ora..), poi si risale a nuotare in mezzo alle sterpaglie. Nicola si ferma a piegare e tagliare il possibile, far passare la corda sopra i cespugli. Poi inizia a viaggiare, devo ammettere che vederlo arrampicare è quasi uno spettacolo. Avesse altri “attributi” fisici, sarebbe meglio, ma questo mi ritrovo. 

Alla fine con questo tiro esce, chiama me, inizio su questo delicato traverso, la corda che passa sopra devo farla tornare sotto, mi impiglio nei rametti, lo zaino, la faccia, che cazzo! Che faticaccia, ma bello. Il diedro poi è da gambe aperte spalancate con sotto il vuoto. Ancora non ho preso bene confidenza con la tecnica, ma sono più disinvolto. 

Nella parte finale occorre prestare di nuovo attenzione a un terreno sporco, canale di scolo della sommità, con passaggio finale in “camino” stretto, e alla fine sono fuori anche io. Ora si che inizio a ridere a scherzare come mio solito! Le bastonate sono finite, sonore, riecheggiano ancora nella mia mente, ma sono passate. Grazie Nicola della pazienza e delle dritte. 

Il cielo è plumbeo, la fame e la sete grandi, scendiamo verso il Rifugio della Pietra per birra e panino. Birre in realtà, perché visto che adesso la media è diventata una 0,3l (che incazzo) è doveroso prenderne tre in due, così che te ne bevi almeno 0,45l. Altro tirello? No, io sono mangiato e bevuto, e soddisfatto di essere salito anche se non pulito. 

Quattro lunghe chiacchiere e poi giù alla macchina, ma la voglia di arrampicare è ancora viva in entrambi, perciò ignorando l’auto ci dirigiamo verso il sasso che fa da rotonda all’accesso del parcheggio per fare un po’ di boulder strapiombante. Però che rugosità questa roccia! Mi faccio pure una stigmate per colpa di una presa. Con “aiuti” e spinte dal basso cerchiamo di fare almeno qualche passo per fiaccarci a dovere. Caffè corretto all’altro bar, e siamo a posto per oggi.

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domenica 19 aprile 2015

Una boccata d'ambiente: Vaio dell Acqua e Cresta Zevola Tre Croci

Sapere che sta arrivando il momento di abbandonare i ramponi per calzare le scarpette, mi fa venire ancora più voglia di neve e ghiaccio. La consapevolezza che il sabato sarà “alpinisticamente perso” per dare il mio contributo al corso A1 del CAI di Carpi e che la domenica il meteo sarà soleggiato, mi fa salire ancora di più la voglia. La possibilità di combinare sia la voglia di andare verso l’alto che quella di passare del tempo in basso in compagnia in pianura, mi fa balzare l’idea. L’”invito” di Fiorella mi rende tutto chiaro.
Litigando bonariamente per la levataccia, infine ci mettiamo in viaggio. Le chiacchiere che si sviluppano lungo il tragitto mi fanno dimenticare la pausa colazione in autogrill, errore che costerebbe la pena di morte con Nicola o Gianluca, invece l’amica di oggi è clemente. Qualche biscotto comunque l’avevo preso con me.
Riusciamo addirittura a parcheggiare a poche centinaia di metri dal Rifugio Battisti: normalmente non porterei la macchina così su, che mi toglie dislivello in salita, ma visto il timing di oggi guadagnare 45 minuti non mi spiace. Così, dopo che Fiorella tenta inutilmente di scroccare un caffe dalle auto limitrofe, alle 5e30 ci mettiamo in cammino, e in breve siamo anche all’attacco del Vajo dell’Acqua.
Il nome corretto sarebbe Vajo Bianco (diverso da quello che di dirama dal Colori), quello dell’Acqua sarebbe in realtà il Battisti mi spiega su Facebook un local, ma ormai tutti lo chiamano così. Vajo dell’Acqua dunque, facile, ma perché lui? Troppi i fattori che mi fanno optare per qualcosa di facile oggi, tra cui di certo le condizioni: gli altri Vaji mi sa che hanno l’uscita secca, la nevicata di ieri chissà quanto è stata copiosa. La scelta si rivelerà a ragion veduta viste le condizioni.
Armati e preparati, iniziamo la vera salita alle 6, su una neve non portante: infatti i pochi cm di ieri non hanno permesso il rigelo notturno. Tutta la salita sarà vissuta nell’auspicio che salendo migliori, ma solo gli ultimi 20-30 passi saranno da polpacci in fiamme. L’ambiente però bellissimo: le nuvole oggi si sposteranno in maniera ottimale per rendere suggestivo il tutto.
Un camoscio ci osserva da un costone di roccia sulla nostra destra, mentre uno skialper inizia a salire dietro di noi: si rivelerà una persona molto gentile! Arriviamo presto alla strettoia, bella innevata ma non di qualità: me la ricordo questa, volevo rifare questo Vajo in quanto lo salii per la mia formazione di Istruttore Sezionale, e in questa strettoia gli esperti Nicola e Mirko presero la lingua di ghiaccio che oggi non c’è.
Al posto del ghiaccio, un po’ di roccia, che Fiorella va subito a cercare per complicarsi la vita: una serie di passi in spaccata che metteranno a prova le mie lezioni di yoga. Il sole illumina ormai la roccia lassù, ma da sotto iniziano a salire delle nuvole. La neve non migliora, anzi, si affonda fino a metà avangamba. Avangamba come avambraccio, esiste?
Onestamente me lo ricordavo e lo credevo più ripido questo Vajo, ma va bene, pazienza. Il sole offuscato dalla nebbia che sale da sotto ma illumina tutta la parte alta, la neve fresca che imbriglia un alberello sperduto sulle creste rocciose e i mughi sui fianchi, prosa di montagna, poesia per lo spirito.
Sotto di noi sembra inverno, sopra sembra primavera. Lo skialper ci raggiunge e ringrazia per le peste “ma coi grazie non ci si disseta” si scherza noi. La neve se possibile peggiora, non si vedono più le vecchie tracce che almeno evitavano di scendere fino quasi al ginocchio e limitandosi fino a sopra la fine dello scarpone.
Le rocce della parte alta sono in stile scozzese, incrostate di neve, e finalmente verso la fine del Vajo diventa bella dura, una goduria! Ed eccoci fuori, pieno sole, croce dello Zevola Bassa incrostato anche lui di ghiaccio, e tappeto di nuvole sotto di noi, ma che panorama! 7:40
Come tempi ci siamo, possiamo gustarci la cima e i panini gentilmente offerti dalla macchina del pane di Fiorella prima di ripartire per la Cresta verso Monte Tre Croci, naturale prosecuzione e discesa per il rientro, cresta che ormai percorro ogni volta che vengo qui, anche poche settimane fa.
Panorami mozzafiato e alpini grazie al mare di nuvole, cresta ben più scoperta e mugosa dell’ultima volta: i buchi sono infidi, i ponti di neve sugli aghi dei sempreverdi mi catturano e imbrigliano spesso e volentieri, ma riusciremo nel nostro intento! E infatti ben presto siamo su Cima Tre Croci, dove mi meraviglio di non vedere le frontali che stamani salivano il Vajo Battisti, ma vabbeh.
Scendiamo alla ricerca del varco per scollinare sul versante che da verso il Passo della Lora, di solito ben tracciato, ma non oggi, e oggi per di più tutta la cresta ha i mughi scoperti: scendiamo troppo, e siamo obbligati a un tarverso sui mughi, nei mughi, coi mughi. La mungitura del mugo per uscire dal Vajo è ormai nel repertorio, ma mungitura in traverso in discesa mi mancava.
Siamo sulla parete e osserviamo il silenzio che domina questo posto, con ormai le nuvole che si alzano e coprono la cima, creando strani effetti di luce dei raggi solari. Scendendo in mezzo alla nebbia avrò quasi l’istinto di lamentarmi di essere in mezzo a lei, ma se quello sarà lo scotto da pagare per il mare di nuvole di quando eravamo in alto, ben venga!
La discesa dal Passo della Lora sarà un’agonia, neve bagnata con zoccolo continuo e cospicuo, scivolate, cadute, ecc ecc. Qualche risata in più. Oggi il Vajo Nord non si vede, ma mi sa che ormai è tardi per salirlo, la stagione dei Vaji è finita.
Eccoci al rifugio, ed ecco che ci aspettano lo skialper che ha condiviso la salita con noi, che ci offre una birra che dopo qualche remora accettiamo. Si contraccambia con un po’ di limoncino home marchigiano made, panino torta caffe, e si torna verso la bassa. Perfetto, giusto in tempo per un bel pranzo con la mia dolce metà!

Qui altre foto.
Qui report.

domenica 12 aprile 2015

Operazione recupero ciaspole in paradiso

No beh, però vaffanculo!
Ieri sera dopo l’epopea Tour Ronde siamo andati a letto senza troppe pretese dopo una buona rifocillata (almeno io), con Gianluca che però aveva già messo in conto di non fare una mazza domani. E infatti..
Albeggia sul Bianco che vediamo bene dalla finestra, sul Cervino e Rosa che vediamo dalla finestra del corridoio. Vacca bestia che giornata.
 Colazione con calma, poi la passeggiata da turisti con zaino ultra slim a riprendere le ciaspole, estasiati da ciò che ci sta intorno.

Parole alle foto.
Qui la giornata di ieri.

sabato 11 aprile 2015

E doveva esser come assaggio: Scottish Nord della Tour Ronde

Il tanto agoniato weekend sul massiccio del Monte Bianco è arrivato! Ormai da un mesetto ci facciamo delle pippe spaziali sul posto, su cosa poter fare, sulla spettacolarità di passarci tre giorni in compagnia. E quando Nicola e Cristian decidono (buon per loro) di fare tutto in infrasettimanale, io e Gianluca ci diciamo “dai, andiamo per i fatti nostri”. I tre giorni diventano due a causa di problemi al lavoro di Gianluca, ma c’abbiam voglia di provare, perciò si va!
Arriviamo presto a La Palud, vogliamo prendere la prima benna per fare qualcosa già oggi, talmente presto che anche la barista alla nostra cortese domanda “possiamo entrare” ci risponde con un “lasciatemi aprire almeno!”. Carichi come dei muli (tanto si fa tappa al Rifugio Torino) ci mettiamo in fila per la cassa della funivia: non c’è nemmeno tanta gente, ma chissà quante guide hanno prenotato, e non ci va di perdere mezzora.
E invece tac, la prima benna salta dopo i primi tre paganti, siamo sulla seconda. Il meteo.. Partiti con delle previsioni che davano possibilità di nevischio nella serata nottata di venerdì poi sole, arriviamo che in alto si vedono nuvole sventolare: ma va bene dai, sarà la debole perturbazione in ritardo ad andare via. La funivia parte veloce e piena di alpinisti e sciatori: si sale verso il paradiso.
La salita in funivia ce la godiamo poco, troppo smaniosi di fare qualcosa di serio, i 200 e passa gradini che portano al Rifugio Torino Nuovo ce li beviamo (beh, circa..), facciamo presente il nostro arrivo e depositiamo la roba che non ci serve, ma forse non abbastanza. Bene, si va, usciamo dalla porta e affacciamoci sul Massiccio del Monte Bianco.
Uno spettacolo rimandato a domani. Le nuvole coprono le cime più alte, il Dente del Gigante si lascia appena intravedere, ma per ora almeno il sole sul ghiacciaio c’è, meglio mettere gli occhiali da sole. Sulla pista del gatto delle nevi (che serve per la discesa sul ghiacciaio del Toula) scorriamo verso il balcone panoramico del Glacier du Geant. Notiamo una tenda al Col des Flambeaux: la sera al rientro al rifugio scopriremo essere quella di Tarcisio Bellò.

Bam! Capucin, Maudit e Tacul davanti a noi! Tagliati a metà dalle nuvole va beh, ma sono loro. Numerose tracce, numerosi scialpinisti (uno di questi come se niente fosse passa sopra la corda che ci lega: non c’è proprio più rispetto per nessuno, che schifo) ma anche sciatori. Si va verso la Tour Ronde. È la dietro, si scorge un pezzettino, si scopre piano piano.
La parete Nord della Tour Ronde è valutata D, pendenze di 60°, facili passaggi su roccia, 350m. Sulla carta la Ruga dello Zalica è più dura, quindi siamo tranquilli. L’abbiamo scelta come salita per prendere confidenza con l’ambiente, così rientriamo presto al rifugio e vediamo cosa fare di serio domani. E invece orecchie basse al rientro..
Scendiamo quella che al ritorno sarà l’ultima agonia della giornata, verso una strettoia tra i crepacci, che ora essendo coperti sembrano innocui, ma che d’estate devono essere dei mostri. Le ciaspole non le abbiamo ancora calzate, coi ramponi è sufficiente: arrivati non troppo distanti dalla nostra parete osserviamo una traccia verso sinistra, sciatori che ci salgono, un paio di sci e una splitboard abbandonati. È la traccia della normale!
Sci e splitboard sono di due ragazzi che alla funivia parlavano del Pizzo del Becco e di altre mete orobiche dove vorrei mettere il naso ma fatico a trovare compagnia, che dicevano venivano anche loro a fare la nord, perciò anche noi lasciamo qui le nostre racchette per riprenderle quando scenderemo.
Eccoci sotto la parete, inizia a nevicare. Va beh dai,smetterà, il sole non è lontano, si intravede, e il meteo lo davano buono. Ci armiamo di tutto punto e osservando il ravanamento della cordata dei due orobici e di tre piemontesi, ci dirigiamo verso la terminale.
Gianluca davanti, oggi non mi ha dato il tempo di discutere su chi sta davanti e chi dietro, forse ha paura di tirarsi il collo e preferisce fare lui il passo, glielo concedo, domani voglio spaccare il culo ai passeri! Si appresta a passare la terminale, non è molto leggiadro, ma posso capirlo, d’altronde è sempre un bel gradino con sotto un bel buco dal vuoto ignoto!
Le cordate sopra di noi non sono velocissime, fanno addirittura sosta.. 350m ce li beviamo su! La corda finisce, parto in conserva lunga, sulle rocce lassu il mio amico qualche protezione l’ha messa. Neve mica tanto spassosa, una spanna in cui sprofondare, non proprio quello che si potrebbe desiderare. E sempre più neve dal cielo. Nuvole, visibilità a 50m.
Osservo alla mia destra questa fantastica roccia che è il granito, nonostante Gianluca io non vedo l’ora di provare a fare del misto (semplice) per prendere dimestichezza con questa materia che spero incontrare sempre più nella mia vita. E man mano che salgo è anche sopra di me, ma vista la posizione “in linea di gravità! Tra me e lei, spero non incontrarla!
Scorgo gli altri sopra di me, i piemontesi sulla sinistra, Gianluca sulla destra in sosta, il ghiaccio davanti a noi. Quella che considero la prima parte della salita è finita, giudizio: speriamo migliori. Neve non trasformata, con sotto ogni tanto del duro. Ma ora addirittura del ghiaccio! Non me l’aspettavo, non a inizio aprile almeno..
Infatti quasi tutti i chiodi sono nello zaino, solo tre miei e cinque di gianluca all'imbraco, e ho le muffole al posto dei guanti con le dita. Ma la sosta è troppo scomoda, dai salgo un pochino e su quel terrazzino mi sistemo in qualche modo e tiro fuori il resto. Siamo anche legati con solo una mezza, d’altronde si pensava salire tutto in conserva, non a tiri.
Il ghiaccio nella primi 25m è anche discreto, un po’ lavorato, da fiducia. Qualche vite la metto giù: mezza impresa con le muffole, meglio toglierle e poi reinfilarsele. Alcune sembrano anche buone, altre invece..meglio non pensarci. Vacca che bell’ambiente, ma si vedesse qualcosa sarebbe meno scottish!

Arrivo a una bella sosta a spit con anello di calata, occupata però da uno dei ragazzi piemontesi. Salgo ancora un po’, così accorciamo i tempi, ma almeno ci rinvio qui. Poi torno giu ad allungarlo perché fa troppo attrito. Si continua nella nebbia e sotto una debole nevicata, col sole dietro un velo di nuvole.

Il ghiaccio diventa bello spaccoso, le viti non danno per nulla fiducia, le rocce sono lontane per cercare di fare sosta, due maroni. Ogni tanto una scarica di neve dall’alto..ma siamo ancora sull’ordine di spindrift “ingrassati”.
Sento Gianluca che mi informa di avere poca corda, ma una sosta a viti è impossibile, devo arrivare alla roccia. “5m!” sta a vedere che ci tocca andare in conserva..mi odierà per tutta la vita! Poi per mezzo miracolo arrivo a uno spuntone dove trovo uno degli orobici, che parte appena prima che io attrezzi la sosta al suo stesso modo: uno spunto basso, che devo tenere ben trazionato col mio peso o il cordino si sfila. Metto un friend a “tappare” la fuoriuscita, ma cerco con i piedi di stare basso.

Una delle soste più scomode della mia vita, con le ginocchia piantare nella neve al freddo, il gigi per il recupero basso e faticoso. E giù scariche. Sopra di noi a sinistra due meringoni (Vaio dell’Uno remember), alla loro sinistra scendono scariche di neve che sono una via di mezzo tra spindrift e valanghine (Verte remember), alla loro destra l’uscita verso la terza parte della parete Nord. E il meteo non migliora.

Inizio a valutare la ritirata. Scendere in doppia possibile? Forse, ma non fino alla base. La terminale sarebbe da superare in conserva. E la sotto di certo le scariche sono ingrassate dalla restante neve che raccolgono in parete. Davanti a noi abbiamo almeno due cordate che conoscono la discesa, alla vetta manca poco e il resto è “facile”, la discesa sarà tracciata anche da chi ha fatto la normale e chi ha fatto il Gervasutti. Meglio salire.
Ogni tanto avviso chi sta sotto che arrivano delle scariche di neve, Gianluca mi raggiunge, lo sento che si lamenta dei polpacci, ma gli dico che ora tocca a lui proseguire. Il ghiaccio ormai è appoggiato, solo l’uscita dal canalino potrebbe essere un po’ ostica, ma è un passo. Io è meglio che tengo la sosta “bassa”.
Parte, si incrocia un po’ coi ragazzi piemontesi, altre scariche di neve ma sempre sulla sinistra, lontane dalla nostra salita. Supera il passaggio, è fuori, va a cercare un buon punto per sostare: intanto un po’ di scariche scendono anche sopra di me, poco spassoso, ma sono ancora piccole. Sol che usciamo da qui.

Tocca a me, parto bello contento e felice dell’imminente uscita. Arrivo al canalino, sarebbe anche un bellissimo passaggio, non fosse che adesso le scariche scendono anche da qui! E una lieve, e un’altra, e poi una bella grossa, proprio mentre sono in posizione a 85° (era più facile a destra, ma da secondo ho pensato “perché no?”): giro la testa perché non respiro con la neve in faccia, che non si ferma, un flusso lento, di poca portata, ma temporalmente lungo!
Abbasso un braccio alla volta per svuotarlo dalla neve accumulata, scuoto il capo, vacca bestia quanto mi sento pesante! Merda, ma sono su una corda sola, quella su cui è passato lo sciatore.. Sol che finisca.. Chi sta sopra di me, mi avvisa che sta finendo. Svelto come un gatto, piede su roccia, trazione su neve (a cercare quella buona) e via fuori!
L’uomo delle nevi esce dal budello, in piena parete. I ragazzi piemontesi sono subito lì, Elena (credo, spero ricordarmi il nome) dopo una foto che se la ride mi fa “oh, scusami, a vederti così è simpatica la scenetta, ma solo ora capisco che non devi aver passato dei bei momenti” “vai tranquilla, ora ci rido anche io, prima no”.
Raggiungo Gianluca, sopra di noi sempre grigio, due ombre in mezzo alle rocce di destra, meglio non passare in piena parete a sinistra. Sai che c’è? Tiriamo fuori l’altra corda, i guanti buoni e i fittoni, vaffanculo. Passa un po’ di tempo, scariche alla nostra sinistra continuano a scendere, ma noi saliremo stando a un po’ a destra, vicini alle rocce, dove gli accumuli dovrebbero essere minori.
Riparto io, il tiro finisce e poi si va in conserva, protetta con fittoni di dubbia tenuta. Raggiungo uno spuntone coi tre ragazzi, sfrutto un loro cordino per la sosta. Non fosse per il meteo e tutto ciò che è successo poco fa, sarebbe anche una salita tranquilla. Sarebbe, oggi direi di non lo sia.
Gianluca arriva, non si sa da dove visto che è avvolto dalla nebbia, poi riparte e continuiamo come prima, si inizia con un tiro e si prosegue in conserva, proteggendosi quando possibile. Meno male abbiamo portato i friends! La corda finisce, parto anche io, lui chissà dov’è, la visibilità è inferiore alla lunghezza delle corde. Ah eccolo, sosta a prova di bomba su uno spuntone esagerato. Ma la rinforzo con un altro.
“oh ma sta cazzo di cima dov’è?” resta da fare un traverso, anche lui facile, ma oggi l’impegno psicologico è ben al di sopra delle attese. E adesso abbiamo pure il vento che ci sferza. Proseguo io, un friendino poi più nulla, affascinato dalle piccole guglie granitiche proseguo verso una crestina nevosa che sfocia sull’uscita del Couloir Gervasutti, forse era meglio salire quello oggi.
I tre piemontesi mi suggeriscono di stare più basso, eseguo, faccio sosta che la corda è al pelo della lunghezza. AH ecco, quello deve essere il torrione sommitale, quella la paretina con del 4c che avrei voluto salire ma che è meglio lasciare perdere. Recupero il mio amico, dai ormai è fatta! Siamo quasi sullo scherzoso adesso. Ma non dire gatto..
Arriva, scende facendo passare la corda in mezzo alle rocce come protezione veloce e arriva sulla cengia: prosegue a cercare un punto migliore. Lo raggiungo, il vento inizia a rompere le balle, sento che la mia barba sta accumulando una discreta dose di umidità solida.
“siamo pochi metri sotto la cima, quelle saranno di sicuro le tracce di discesa, però dai, 5 minuti e siamo su!”, mi concede la salita. Pochi metri, ma oggi sembrano tanti. Pendio nevoso e poi a destra su rocce consumate dai numerosi passaggi, vedo la madonna! Quella di ferro, non quella in modalità “fantasma”. Uno spit per recuperare il mio amico ed è fatta.
Vetta della Tour Ronde! Ma quanto ce la siamo sudata!
Non si vede una fava, nevica e tira vento. Non abbiamo bevuto per tutta la salita, scendiamo qualche metro e beviamo perché così ci stiamo disidratando troppo. So che è tardi, ma non credevo così tanto. Le 16! Due boccotti a una barretta e via giù verso la cresta alla ricerca delle tracce.
Il vento lavora, fischia se lavora, e rompe le palle, fischia se rompe le palle! Ogni tanto, ma più ogni che tanto, la visibilità da 30 passa a 150m lusso per noi che possiamo capire un po’ meglio dove si va. Già perché il vento cancella le tracce di chi ci ha preceduto a una velocità spaventosa, e ora ce l’abbiamo tutto in faccia. Il ghiaccio sulla barba aumenta: se provo a mangiare qualcosa, ho le mascelle bloccate.
 Le tracce nella cresta nevosa finiscono e scendono tra le rocce, neve e ghiaccio verso sinistra, la direzione è giusto, ma alla faccia dei 40°! Parecchi tratti li scendiamo faccia a monte, neve pessima , un po ghiaccio, e un vento che non ti permette di guardare verso valle, sono un mix perfetto per una discesa scomoda.
Vedo un cordino di calata, ma le tracce, vistose fin qui, proseguono giù, sembra non troppo complicato: evitiamo la doppia. Sembra infinita questa discesa, un’epopea! La roccia sembra finire, la pendenza sembra calare, ne siamo contenti, ma sbagliamo alla grande. Prima in qualche momento laggiù avevamo visto delle figure, ora non più.

Ora siamo su neve bianca, immersi nel grigio nuvole, frustati dal merdoso vento. Vento che cancella le tracce, visibilità pressoché nulla, cerco di essere svelto a seguire quel poco che vedo per scendere fino alle ciaspole, dopo ci sarà il pistone di stamattina li, e saremo tranquilli.

Gianluca mi chiede spesso se vado alla cieca o se seguo qualcosa. Se fossi alla cieca mi pianterei dove sono ad aspettare che rischiari: pensare di avventurarmi su questo ghiacciaio tormentato non è il massimo dell’aspirazione. È inconfondibile il passaggio sopra alcuni crepacci, avviso il mio amico che si solidifica al suolo prima del mio passaggio.
Ma uno non lo vedo e ci finisco dentro! Per fortuna poca roba, gamba sinistra a penzoloni, la destra che non si sa come ha i ramponi frontali piantati in qualcosa, le picche che davanti a me cercano qualcosa di solido. Ne esco a gattoni.. Uno scorcio e vedo le ciaspole, la direzione è giusta.
Circa. Stiamo seguendo una traccia, l’unica, che taglia più in alto verso destra. In un punto non la vedo più, poi riappare, sospiro di sollievo. So che le ciaspole si allontanano sempre più, sento già il mio amico che dice “le lasciamo poi li”, ma io “No dai, ci andiamo, si fa presto”. Ci allontaniamo sempre più, ora le vedo belle lontane, dalla parte opposta del rifugio. Le lasciamo li, ci torniamo poi domani.
Finalmente, ma davvero finalmente, arriviamo nella zona in cui sappiamo esserci il pistone, ma anche quello parecchio cancellato. Ci avviciniamo, dovremmo essere fuori dai pericoli maggiori, ridiamo dell’abito invernale che hanno assunto le nostre facce e i nostri vestiti!
Ma tutto il rientro è fatto affondando fino a caviglia o ginocchio nella neve, una fatica.. Due sci alpinisti risalgono con noi verso il Flambeaux, ci si da una mano a orientarci (si ironizza sulla mia barba), poi ne vedremo altri tre ben dietro di noi. Due al rifugio ci confesseranno essersi riusciti a orientare grazie al punto fermo rappresentato dalle nostre ciaspole!
Gianluca è cotto, la risalita è un’agonia. “oh ma io sprofondo!” “ma come è possibile Gian, io peso più di te, ho uno zaino il doppio e sono davanti!”. Inizio ad adottare la strategia di Moro: conto 30-40 passi poi mi fermo 25s a riprendere fiato. Nemmeno io sono una rosa, anche se in realtà il fastidio maggiore è la spalla destra, forse lo zaino oggi era regolato male.
La salita spiana, ma ancora ce ne è un po’. Dai forza, alleluia, la pista del gatto delle nevi! Ora sì che è finita. Rientriamo al rifugio lungo una strada che sembra dieci volte più lunga di stamani, dove solo ora notiamo un tratto di risalita.
Alle 18e47 siamo al Rifugio Torino, Gianluca “questa è di gran lunga la giornata più faticosa che abbia mai vissuto, tra impegno fisico e psicologico non ci ha mollato mai”. Cerco di scrollarmi il ghiaccio dalla barba ma non è facile.
Al rifugio troviamo Omar e Tarcisio, due chiacchiere mentre uno si cuoce i tortellini e l’altro si dirige verso la sua tenda, mentre noi ci spogliamo di tutto per poi infilarci in fretta a tavola. Li ritroviamo i tre ragazzi piemontesi che non avevano programmato di passar li la notte ma scendere in funivia, solo che..la montagna non l’ha concesso.

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