sabato 18 marzo 2017

Dall'esser Orco a diventare Giullare: Canale dei Bolognesi, "rivincita"

Tutti abbiamo delle paure, dei brutti ricordi, delle esperienza che ci hanno segnato nel profondo: per quanto riguarda il mondo dell'Alpinismo, una di queste è per me il Canale dei Bolognesi al Corno alle Scale. Era una di queste..

Lontano 26 febbraio 2011: fresco allievo uscente dal Corso di Alpinismo A1 del 2010 del CAI di Carpi, col mio (nostro) maestro Nicola e l'amico Marco (anche lui fresco allievo uscente) ci infiliamo in questo budello di cui io e Marco (che saliamo solo da secondi) resteremo traumatizzati (chiedere a Marco!). Ore e ore in parete, scariche, passaggi delicati, soste precarie, mutande marroni. Ricordo all'uscita degli abbracci stile "oddio che bello siamo vivi!", ricordo la frase "Canale dei Bolognesi, fatto una volta è già troppo!". Il nostro piccolo Eiger, il nostro piccolo grande Orco.

Ricordo i messaggi scambiati col custode della Est del Corno, Alberto Caprara: mai conosciuto di persona, ma la cui gentilezza, la reputazione, il mito di questo alpinista romantico affezionato alle montagne di casa, lo rendevano "uno di noi". Uno di noi perito su quella montagna qualche anno dopo. Leggo la dedica sulla nuova guida Appennino di Ghiaccio Vol.2 degli Alpinisti delLambrusco, che riporta anche un trafiletto della nostra relazione: brividi. Già, un Orco. Un brutto Orco.

Più di 6 anni sono passati, un po' d'esperienza in più me la sono fatta, sono "evoluto" (o "involuto", dipende dai punti vista), sono "maturato". Forse l'armatura per affrontare l'orco è un po' più robusta, e la spada-piccozza più affilata. Da qualche tempo ho iniziato a pensare che "Ma sì dai, se sapessi che è in buone condizioni stavolta, tornerei a salirlo".

Il Barba sabato 11 ha avuto la genialata di approfittare della Luna Piena e salirlo quasi tutto di notte, riportando ottime condizioni. Ma quella è una parete est, ha fatto caldo, mi sa che ho perso il treno per quest'anno. Invece, venerdì pomeriggio alle 16 arriva il messaggio "Ho sentito il mio amico che ci è stato ieri, VAI!!!!" e non sto più nella pelle.

Ormai già "rassegnato" a una nuova nottata in solitaria, complice un pranzo con parenti al sabato a cui non voglio mancare, scrivo a Giorgio che sapevo interessato a questo itinerario, e il solo che con così poco anticipo credo possa riuscire a esserci: "Giorgio, prepara il caffè". Poche decine di minuti e la sua risposta arriva "il mio capo ha concesso il nulla osta". Orco, arrivo.

Venerdì sera a letto alle 20:30, sveglia alle 23e00, il motore dell'auto si accende dopo mezz'ora, e dopo un'altra mezz'ora passo a prendere il mio amico. Follia, pazzia, passione: "la normalità è relativa". La parete è esposta a est, a pranzo devo essere a casa, la luna c'è. L'orario apre folle, ma è ragionevole sulla base di questi aspetti. Allora per la proprietà transitiva, potrebbero essere questi aspetti a esser folli..

Alle 2 siamo al parcheggio del Rifugio Cavone. 12 gradi segnati dal termometro dell'auto del Capo di Giorgio. 12 gradi. Oh mio Dio che caldo. E che vento che soffia già qui. Va beh, siamo qui, andiamo. Una precisa mail di gestione del materiale per minimizzare le perdite di tempo: armati di tutto, protezioni da roccia, da neve, da ghiaccio. L'orco ha mille facce, occorre essere pronti per ognuna di esse.

Ci incamminiamo meno carichi di quando siamo partiti. Mettiamo piede nel Vallone del Silenzio, appena fuori dal bosco, con la luna appena scesa dietro la gigante croce di Punta Sofia. Uno spettacolo unico, che rende la croce quel miraggio che 6 anni fa abbiamo bramato per ore e ore. Che oggi spero invece raggiungere non dico senza difficoltà, ma in tempi e modi dignitosi. Divertendosi.
Seguiamo tracce in direzione del Passo del Vallone, ricordo che c'era da entrare nel bosco ma non lo facciamo, ne stiamo fuori. E infatti sbagliamo: raggiungiamo la cresta dei Balzi dell'Ora a quota 1750, tocca tornare più giù verso il passo, da cui vogliamo scendere per passare sul versante est. Tira già un vento forte che, complice il ghiaccio (raro ma possente), ci fa perdere l'equilibrio un paio di volte.
Al Passo del Vallone, un'occhiata a est e "ma dobbiamo scendere di qua?!": discesa faccia a monte a lume di frontale, finché la pendenza non cala e si può iniziare a traversare. Ricordavo un avvicinamento ostico, ma quella volta lo percorremmo con la luce del sole e con innevamento maggiore, un'altra cosa. Oggi occorre fidarsi delle sagome lontane disegnate dalla luna, e seguire il ricordo di "stare al limite del bosco". Tracce non se ne vedono..
Tarzaning tra i faggi, nuvole lontane che scavalcano il crinale, timori di insuccesso che avanzano. Ravanamento selvaggio appenninico, ogni tanto della neve dura, spesso della neve molle, e tra poco rimpiangeremo anche questa. Zero foto, che al buio non sarebbero venute.

Finalmente delle tracce di passaggio umano, che pare salgano addirittura dal Rifugio Segavecchia. Tracce che diventano dure sa seguire quando la neve lascia posto a erba, paleo, cespugli di strane forme di pino nano. Lassu proseguono, ma il canale pare essere quello alla nostra sinistra. Boh.

Giorgio prova a traversare per buttarsi dentro a esso, ma il traverso sul secco, su erba e arbusti misto terra, senza capire se il piede poggi su qualcosa di solido o meno, con le mani che trazionano vegetazione dalla dubbia radice..piace poco. "oh, proviamo a seguire le tracce che salgono, magari traversano più su".

30m di salita su terra, erba, arbusti. Radici e fusti difficili da afferrare data la circonferenza minuta. Ramponi che mordono una terra piuttosto friabile per potersi dire un "buon appiglio": "speriamo sia la strada giusta, perchè da qui non ci scendiamo mica! E doppie non vedo la possibilità di trovare ancoraggi degni di questo nome".

Torniamo su neve, le tracce sono anche fresche, di evidente salita visto dove sono le punte dei ramponi. Ma lassù zigzagano: il cuore spera che sia la salita giusta, la mente già capisce che sono tracce di discesa che qualcuno ha anche risalito. Risbuchiamo sui Balzi dell'Ora, stavolta a quota 1800. Il vento schiaffeggia. "Gio, ziocca, siamo su Balzi!"

Che fare che non fare. Visto l'orario, è presto, possiamo riscendere, tornare a vedere dove si possa passare, evidentemente il canale era quello dalla discesa ostica. Ma quei 30m di terra erbosa.. Va beh, andiamo. Guarda te sto cavolo di Orco che si è preso pure degli aiutanti per renderci la vita difficile.

A chiappe strette si scendono quei metri disarrampicando. Un po' di neve, e poi di nuovo del secco per infilarsi nel budello: un bel traverso su cengia fantasma (vedila una cengia in mezzo alla vegetazione alta) ed eccoci sulla neve. Eccoci nel canale. Non lo ricordavo certo così l'avvicinamento! Oggi direi che sia anche lui uno dei tiri chiave della via. Ed è tutto ancora avvolto nel buio della notte. 

Risaliamo della neve ripida e marciotta, un piede di Giorgio fa crollare inevitabilmente un piccolo ponte di neve: si vedeva lontano un miglio che non avrebbe retto. Provo a spostarmi sulla roccia marcia a destra ma è peggio: un bel passo lungo e via. Seguiamo le tracce marcate ma nelle quali sprofondiamo lo stesso. Il cielo verso est comincia a infiammarsi, ma non è per nulla sereno: cosa buona per il dopo (il sole rovinerà meno il nostro intento) ma cattiva per il prima (la neve senza cielo sereno fatica a indurirsi). L'orco ti da un aiuto con una mano e uno schiaffo con l'altra.
Si sale alla ricerca del chiodo di sosta, confidando nel report di Marco di sabato: c'è solo da trovare una roccia con chiodo e che ospiti un friend medio. Saliamo su pendenze ancora tranquille, 50°, incanalandoci man mano dentro un canale contornato da rocce e pareti aggettanti, poco stabili, e delle quali alcuni pezzi sono già rovinati sotto il peso della gravità. Che ambientino ospitale!

Oh ecco il chiodo, su questo roccione proprio in mezzo al canale (standoci ben sotto, ci si ritrova riparati a dire il vero, ma sotto sotto..non ci puoi stare). Un bel chiodo color ruggine, ma che va benissimo: non siamo in falesia. Cultore dei nuts, prediligo questi ai friends, ed eccone due controventati come da manuale. Pronti a partire. Pronto Giorgio, parte lui come usanza (e anche perchè ricordo che l'ultimo nonché oggi secondo tiro, dovrebbe essere il più bello).

Sia a destra che sinistra, ghiaccio. Ghiaccio non da cascata ovviamente, piuttosto neve sciolta trasformata. Mica una roba solida, ma qualcosa di delicato: niente forza bruta, delicatezza. Poi qualche zona dove sbattere le nostre propaggini metalliche con potenza rassicurante e inaudita c'è, ma poca. Le tracce vanno a sinistra, e in effetti lì sembra meno sottile. 

Arriva la luce, arrivano le foto. Faccia a faccia con l'Orco. Sono le 6.

Parte il mio amico, non lo vedo però: solo qualche metro sarà alla mia vista. Non lo vedo, ma presto lo sento borbottare. Siamo già in ritardo, abbiamo perso tempo a gironzolare sui Balzi dell'Ora, ci manca solo che diventi un'epopea come 6 anni fa. Su ghiaccio ci si protegge con viti da ghiaccio: meno male le abbiamo prese in buon numero.

In effetti i primi metri non sono mica tanto appoggiati, e la sostanza su cui poggiano piedi e trazionano piccozze non la vorresti trovare su queste pendenze. Ho freddo nonostante le temperature, ma in sosta fermo e sudato si sente tutta. Dai Giorgio va su. Dai che scendere non lo vedo molto possibile, e a 110m dall'uscita lo vedo anche..che palle. 

Pezzi di ghiaccio che rovinano giù, sul mio casco anche, mi riparo. Il sole non esce, imbrigliato dalle nuvole, meglio per la neve, male per la mia temperatura corporea. Il mio amico sale lentamente, probabilmente si protegge, "Giorgio vacci piano a scalciare, tanto non serve, usa le carezze", facile parlare per me che sono qui. 

Finalmente lo vedo. Guardingo, attento, sbilanciato, lungo. Supera quello che sembra un muretto, poi scompare alla mia vista salendo con una verve ben più brillante che prima.

"Gio metà" corda. "Gio 10m" di corda rimasti. "Ok, faccio sosta, direi che sia ovvio che sia qui". La sosta dovrebbe essere su chiodi, da piantare noi. Sento smartellare, ma..non sento i chiodi cantare: speriamo sia solo questione che non mi arriva questo suono e la sosta sia buona. Posso partire, finalmente. Con la mia tenuta da Appennino: picca classica, picca tecnica con punta ben consumata, ramponi a punta dritta "smussata" dall'uso. 

E dopo pochi metri, un bel muro di ghiaccio. 10-12m con passi a 75° o forse più: ottimo! Insomma, l'orco affila le unghie, ma allo stesso tempo vedo che si sta mettendo un cappello: quel cappello con varie punte, coi sonaglietti alle estremità. Punte colorate. Che trasformazione sta subendo? 

Picche che si piantano bene, a volte cotto colpi violenti, a volte sotto colpi opportunamente delicati. Momenti di concitazione, momenti di gioia. Chi l'avrebbe mai detto di trovare questo e tanto (tanto per esser l'Appennino) ghiaccio? Uno sguardo giù ad assaporare la pendenza, poi supero il cambio di pendenza dal quasi verticale al meno verticale, e vedo lassù il mio amico. E vedo lassù un secondo tiro che non assomiglia per nulla a quello che mi aspettavo. 

Salgo di gusto, non più muovendo un arto alla volta, ma un piede e un braccio insieme data la migliore consistenza e pendenza del proseguo. Arrivo dal mio amico con un piccolo traverso: la sosta deve esser lei, solo sono preoccupato dalla prossima lunghezza. "L2 60m con sosta su neve" dice Marco, come a dire "con la corda ci arrivi per un pelo a uscire, prima non riesci a fare sosta, e lassù..ti arrangi con la neve!". 

Scambio materiale, due chiacchiere due, il vento che si sente urlare lassù dove sto per dirigermi: "Gio, non ci sentiremo di sicuro, rimaniamo coi tre strattoni come segnale, e speriamo la corda basti". Abbandono il luogo sicuro, una tasca comoda nella giacca sbrindellata dell'Orco: o no? O è una tasca colorata di un altro tipo di giacca? Di quelle che al loro interno nascondono scherzi e giochi? 

Traverso per riportarmi sotto la linea di salita, sotto l'uscita che pare essere lassù. No vabbeh, ma che bello è?! Ghiaccio e ghiaccio (ghiaccio appenninico eh), con terra e erba affiorante ma non in eccesso. Rocce ai lati, rocce sopra. Qui c'è da divertirsi altro che! Sto meditando una considerazione, sto capendo qualcosa.
Era il cappello da giullare quello coi sonaglietti alle estremità, solo ora lo riconosco. Basta paura, vai di divertimento. Ma aspettiamo a cantar vittoria. 

Metri appoggiati (60°?) su terreno discreto, con la picca che magari non trova al primo colpo quei 7-10cm minimi di ghiaccio che ti assicurano un minimo di tranquillità: a volte il primo colpo si pianta solo per 3cm prima di suonare, oppure rimbalza direttamente. Me ne sto leggermente a sinistra a sperare di trovare roccia buona per qualche protezione. No, vai con una vite: la carota esce, ma entra troppo facilmente l'arnese.. Basta non volare. 

Vedo lassù la placca dove 6 anni fa andammo fuori via: stammi lontano! Prevedo invece un bel traverso per tornare sulla linea di salita. Un traverso perverso, con le picche che devono cercare parecchio prima di trovare qualcosa di buono, sempre ad altezze sbagliate (o troppo su o troppo giù) e a larghezze scomode per un traverso. I piedi che cercano di evitare l'erba, e quello sguardo che mentre li osserva, realizza quanto sia verticale il traverso e quanto sotto sia quasi strapiombante. Cappello da giullare, ma con humor inglese! 

Fiuu, posso riprendere a salire dritto, ben più naturale e quindi "amichevole" che traversare. Fantastico. Occorre una gran fiducia in ciò in cui affondano i ramponi, un certo fiuto nel trovare materiale buono sotto le lame delle picche, ma presa confidenza con questo tipo di alpinismo, ovvero nell'Appenninismo, è fatta. Ma che ne sanno gli ALPInisti!
Corro famelico verso l'uscita, nessuna traccia di quello scivolo nevoso che ricordavo e che credevo avrei risolcato oggi. Varie chiazze di roccia e erba e terra da sfruttare tutte: e la corda basterà? Speriamo. Intanto il vento urla sempre più, ho il timore che una volta messa la faccia oltre l'uscita verrò spazzato via con forza di nuovo giù nel budello. Il cielo che prima era velato, ora è proprio nuvoloso.

Nessuna cornice, ma accumulo di neve non trasformata in cui gioisco ad avere la picca classica (prima su ghiaccio invece, due tecniche le avrei gradite), ma senza esagerare che su questi 75° c'è da andarci piano e delicati. Vento che mi prende a schiaffi, cambio di pendenza repentino ed eccomi fuori. Non urlo di gioia perchè il vento ributterebbe violentemente tutto il mio fiato nella mia gola.

Chissà quanti metri di corda sono rimasti: tanto sentire la voce di Giorgio è al momento una delle cose più utopiche che possa concepire. Lassù la croce, ad almeno 50m, ma prima c'è un bel cavo d'acciaio con anello alla fine. Provo ad arrivarci, non voglio fa sosta su fittoni. E intanto il vento fischia, soffia, urla.

Qualche passo e la corda non viene più, c'era da aspettarselo. Che fare? Alpinismo è anche fantasia: mi slego una corda e la rilego con moschettone in vita, poi idem con l'altra. Guai perderne una! Non vorrei vedere la faccia del mio amico nel caso. Altro moschettone all'imbraco, con cordino infilato dentro: inserisci l'altro capo del cordino nel moschettone delle corde, e sfila questo dall'imbraco. 

E così a seguire per quasi tutti i cordini che ho per poter arrivare con questa catena di nylon colorata fino al cavo di ferro. Oh, ora sono tranquillo, torno alle corde per fare sicura al mio amico. Intanto prego solo che salga in fretta per poter mettere la giacca: il vento non mi schiaffeggia, mi tira direttamente dei ganci di destro e sinistro a non finire. 

Me ne sto qui, isolato dal mondo: sono da solo, non sento nulla a parte Eolo, non vedo nessuno grazie alle nuvole. Assorto nei miei pensieri, nella gioia di aver sconfitto un Orco: o meglio, di aver visto che l'Orco ha assunto le sembianze di un Giullare che mi ha fatto divertire (pur con strizza). 

La marcatura a metà corda mi raggiunge, poi quella dei 10m, e ben presto esce pure il mio amico. Ora sì che posso dire sia fatta! Felici, non stanchi, ma affamati e assetati. Io infreddolito, ora a due mani (una per cercare la giacca, una per evitare che tutto il resto voli via) posso vestirmi e bardarmi. Fortuna non c'è freddo, se no la temperatura percepita sarebbe da congelamento! 

Fatte su in fretta le corde, in fretta e male con le asole spinte verso est dal vento, sgattaioliamo in fretta alla croce di Punta Sofia, quello che era il miraggio di 5 ore fa. Sono le 8e30, secondo i miei calcoli dobbiamo sbrigarci a scendere se vogliamo berci una meritata birra e non rientrare a casa tardi. Queste considerazioni non sono certo il motivo principale che ci invoglia a scendere di corsa, quanto piuttosto il vento, il vento, il vento. 

Finalmente al Passo della Particciola non siamo più in sua balia, ora possiamo anche parlare senza interromperci ogni due parole con un "Cosa? Non ti sento!", rallegrarci della salita ed esprimere la nostra gratitudine a chi ci ha dato le dritte per realizzarla, all'Appennino che ci ha regalato un'altra indimenticabile giornata, e a complimentarci a vicenda coi classici "Ma il tuo tiro era più bello" "Ma il tuo tiro era più duro".
A distanza di 6 anni, con un bagaglio di esperienza maggiore, qualche salita in più effettuata, con una consapevolezza maggiore dei propri limiti e non, l'Orco mi ha fatto la giusta paura, e il Giullare mi ha fatto divertire come un bimbo. no, a ben pensarci non è uno che si è trasformato nell'altro, ma sono due facce della stessa medaglia. La medaglia della Montagna.

Resta ancora un Orco però nel mio armadio, di cui vorrei vedere la faccia dietro, quella del Giullare. Un Orco? Altro che Orco, un Drago Sputafuoco di quelli a tre teste! E questo sarà ben più duro da domare: ma chissà, un giorno.. un giorno vicino spero..

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Quirelazione vecchia.

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