Di solito sul blog cerco di non essere
per nulla tecnico per quanto riguarda le descrizioni dei miei giri in
montagna, cerco di trasmettere solo emozioni e di demandare al report su on-ice la descrizione
accurata e più “fredda”. Ma questa volta non posso fare a meno
di essere un po' tecnico qui per due motivi:
1.perchè è stata davvero un'avventura
2.perchè non mi attento a fare una
relazione che sarebbe più un “non andate di qui” invece che un
“si segue..”
E probabilmente rispetto ad altre volte
sarò lungo..ma è un film thriller, non un corto da quattro soldi!
Armatevi di pazienza e leggete, potreste non pentirvene (oppure pioggia di ortaggi su di me)..
Ebbene cominciamo dall'inizio. Si
puntava al centrale al Giovo,
che la relazione di Nicola ci solletica dall'anno scorso. Ma già
Marco aveva chiamato il rifugista venerdì, e le notizie non erano
buone sulle sue condizioni. Poi dopo il mio giro
di sabato, pensai anche io che non fosse il caso di tentare un canale
in appennino: me lo voglio godere 'sto Giovo-Rondinaio! Allora
pensiamo: puntiamo al Carega! Gianluca sabato telefona: vaji non
carichi, ma accettabili, tra cui il Battisti, e il rifugista dice ok
(come un post del forum..).
Sveglia alle 2, che dopo aver dormito 2
ore la notte prima (a 45° in una Musa) è un po' traumatico, ma si
sà, la voglia di scoperta e di avventura può tutto! Alle 5 siamo al
parcheggio, beh uno spiazzo più che un parcheggio, appena sopra la
Locanda Obante a circa 1000mslm, dove poi la strada che va al Rifugio
battisti è sbarrata. Un cielo splendidamente stellato, una
meraviglia. Non fa freddo: se io non porto i guanti vuol dire che
davvero non fa freddo. Alle 5e30 siamo in partenza, ovviamente Marco
e Gianluca erano già pronti da 15 minuti: io come al solito sono il
più lento.
Si parte lungo la strada, armati di
frontale che io presto spengo: come i gatti mi abituo al buio e alla
poca luce: poi siamo su una strada suvvia.. Alle 6e30 arriviamo al
rifugio: finora poca neve e ghiacciata, calziamo i ramponi che qui
siamo comodi. Via verso il Vajo Battisti, il cui inizio è molto
chiaro e evidente, incassato, seppur largo, tra due verticali pareti
rocciose. Varie tracce di sci, che seguiamo in quanto sono quelle che
assicurano maggior galleggiamento: appena fuori dalla traccia si
sprofonda un po'. E questo “un po'” è pari alla misura della
quantità di neve, ovvero si sprofonda “tutto” sotto un altro
punto di vista. Mah..
Ma il rifugista ha detto ok, andiamo.
Salendo questo tratto ci godiamo l'alba, sporcata un po' da nubi
all'orizzonte, ma che ci concede la visione di un graduale incendio
sulle pareti delle piccole dolomiti.
Entriamo quindi tra l'incasso delle due
pareti, verso le 7e00. E il ravanamento iniziato già prima, qui
prosegue. A tratti giù fino al ginocchio, a tratti anche di più. Ma
anche la guida di Bellò dice che
nella seconda metà è sempre meglio, noi siamo dei muli, e andiamo
avanti. Marco resta sulla destra, ma non ci guadagna molto: Gianluca
mi segue, cerco di stare sotto la parete di sinistra alla ricerca di
neve migliore, ma invano. Si piglia quel che c'è!
Saliamo e usciamo dall'incassatura,
così che il sole ci inonda col suo calore: azzo che caldo che fa, c
è da sbrigarsi prima che la neve diventi pappuccia. Arriviamo quindi
al punto in cui Vajo Battisti e Vajo dell'Acqua hanno un raccordo di
collegamento, al quale vado a dare un occhiata: si vedono peste al di
là, e noto che non se ne vedono proseguire nel nostro canale, ma
magari è solo questione che un po' di leggero slavinamento le ha
cancellate. Sempre a questa quota si può identificare un bivio, ma
la via a sinistra si vede sbarrata poco sopra da un salto roccioso.
Proseguiamo, Marco e Gianluca mi
passano davanti e dopo pochi metri un altro bivio, il bivio
dell'errore.. In realtà ci sembra solo di trovarsi davanti a uno
speroncino roccioso che divide due strade che poi si ritrovano
riguardando le foto. Mentre invece eravamo lì, a destra era una
continua scarica di sassi e un canalino ben poco innevato, a sinistra
sembrava decisamente meglio. Decidiamo di comune accordo per la
sinistra, ma dopo poco la neve inizia a scarseggiare. Va beh, inverno
scarso, sarà questione di qualche passaggio: e invece ci stiamo
cacciando sullo sperone MAG.
A posteriori mi chiedo perchè abbiamo
continuato: forse ci tirava il culo scendere, temevamo di tornare a
casa con le pive nel sacco (invece bastava scendere un po' e prendere
a destra), ci sentivamo invincibili. O forse semplicemente le
difficoltà crescevano troppo gradualmente, sicchè il ragionamento
era “abbiam fatto 30, facciamo 31”: a furi di ragionare così,
invece che fare 30, abbiam fatto 70.
Ripasso davanti per andare in
avanscoperta, fiducioso delle mie capacità di alpinista in erba. La
neve finisce, diventa una via di misto con molta roccia e non troppo
buona: incontriamo una serie di mughi, che spremiamo come sul Vajo Bianco. Qui noto un mugo bello cicciotto, sul quale potremmo
fare una doppia e calarci (abbiamo alle spalle un tratto di
disarrampicata che non mi attento a pensare di fare) ma poi rifletto
sul fatto che abbiamo una 55m (reduce dal taglio dopo lo
spicozzamento sulla cascata).
Dico a gli altri di fermarsi li e di assicurarsi al mugo lo stesso
mentre io salgo per vedere come si mette.
Guardo a destra, dove iniziamo a
supporre bisognasse stare, ma niente, c è un bel salto di cui non
vedo la fine per tornare sul Vajo. Mi pare vada meglio dopo, e dico
di seguirmi: inizio così a sentirmi pure responsabile principale
delle scelte della giornata. Il miglioramento è un'illusione che
dura poco: altro muro di roccia, senza appigli, coi ramponi che si
poggiano su cengette e mani che stringono l'erba o i deboli arbusti.
Supero questo salto di 5m e torno su neve, bella dura finalmente
anche se al sole: capisco che la durezza durerà poco. Dico agli
altri due di aspettare, mi giro per guardare dove sono salito, ma
vedo tutto verticale, o meglio, non vedo dove son passato:
l'adrenalina che finora girava raddoppia all'improvisso.
Salgo ancora un pochetto e noto il
catino della parte alta del Vajo, confermando che c'era da stare a
destra (e dire che Marco da un po' diceva di guardare la cartina, ma
Marchino, io su questo tratto non mi attento a fare movimenti tipo
togliermi lo zaino). Ma, cosa vedo, se salgo ancora un po' poi
possiamo fare un bel traverso per finire nel catino: solo che il
primo tratto di traverso è davvero esposto, prevede di calarsi
qualche metro, non offre possibilità di assicurazione, e nel caso di
caduta..non vedo dove finisca. Ma è l'unica soluzione.
Spiego la soluzione ai compari,
praticamente decido che è l'unica via possibile per uscire da questo
impiccio. In più noto che il salto roccioso da brivido che ho
salito, è aggirabile sulla sinistra con un pendio di neve dal quale
spuntano poi provvidenziali mughi. Dico a Gianluca di salire da lì,
e la cosa si rileva agevole. Ci riuniamo tutti e tre essendo
finalmente in un punto che offre questa possibilità: confermo la mia
intenzione di traversare.
Dopo un po' di discussioni, decidiamo
di legarci: già, perchè finora era tutto in slego, ma d'altronde
non c'era possibilità di farsi sicura e piazzare protezioni
intermedie. Beh in realtà non ce ne sono nemmeno ora, l'unica è una
storica e vecchia sicura a spalla, che entrambi mi fanno mentre mi
calo e traverso. Tra me e me penso solo a non scivolare, perchè
dubito che mi potrebbero tenere e li porterei con me: anche per
questo faccio legare tutti con moschettone e non con nodo diretto
all'imbraco, così nel caso, basterà aprire la leva.
Via che si va, ed è più facile di
quello che sembrava: mi giro per vedere la non fine del pendio sotto
di me, piazzo una psicologia sicura intermedia usando un cordino come
nut, e avanzo non più di 10m, dove mi fermo per recuperare gli altri
due. Gianluca passando per la mia sicura scoppia a ridere vedendo
cosa sia, e si ricongiunge. Poi viene Marco che prima di partire si
scatta una foto per i posteri. Eccoci qui, soddisfatto di essere
usciti dall'inghippo. Inghippo che decidiamo di chiamare “sperone
MAG” in omaggio ai suoi apritori, per l'appunto Marco Andrea
Gianluca, e anche come omaggio ai mughi, o all'inglese “maughi”.
E continuando a traversare il
ravanamento ricomincia, più ravanato che mai, giù fino all'inguine.
Avanzo col piede a valle, che sprofonda, lo sollevo, riempio il buco
creato dal mio peso con della neve che sta intorno in modo da alzarlo
di una decina di cm, ci metto peso e avanzo col piede a monte. Che
fatica per pochi cm a ogni passo!
Ma adesso siamo fiduciosi di poter
uscire da soli, lassù sembra evidente ci sia l'uscita, ma stavolta
tiriamo fuori la guida, che pare confermarci la nostra idea. Certo
che con questa scarsa, per non dire assente, neve è difficile capire
in base a una descrizione e delle foto che prevedono sia tutto
bianco! A sinistra individuiamo la variante di uscita, che la guida
da III+ 75°, che pare ben più innevata, ma non ci fidiamo per
nulla!
Ed eccoci allora prendere verso destra,
ma continuando a salire. Capiremo dopo che probabilmente l'uscita
vera voleva un lungo traverso a destra che finiva sulla spalla est
del Monte Tre Croci, pericoloso in quanto se si scivola poi più si
fa un salto di 100m prima di ritoccare qualcosa che non sia più allo
stato aeriforme.
Marco passa avanti, la neve finisce e
ci troviamo a traversare, pur sempre salendo, su roccia marcia ma
marcia tanto: ma il cielo è li, manca davvero poco. Galvanizzato
dall'impresa (non volta) precedente valuto se salire un camino sotto
il quale passiamo..ma calmiamoci suvvia! Un altro po' di spremuta di
mughi e..siamo fuori!
Una bella stretta di mano e una voglia
di dare sfogo alla nostra fame! Sono le 11e15, ripensiamo allo
Sperone MAG, un IV oserei, sprotetto ed esposto, all'uscita, che dopo
essersi resi conto non esser quella giusta, additiamo come uscita
GAM, sempre in onore dei suoi apritori, su roccia marcia, un traverso
con passi di III. Insomma, come trasformare un PD+ in un D!
Ovviamente senza volerlo..
Mentre mangiamo notiamo un camoscio
appollaiato sulla cima che sta alla nostra sinistra, beato e
composto, non gli interessa la nostra presenza. D' un tratto si alza,
ma solo per cambiare posizione: che sfaticato! Ma è l'emblema della
tranquillità che solo la montagna sa dare: beh, fino a poco tempo
prima noi tre non eravamo molto tranquilli..
La discesa ce la ricordiamo in quanto
simile a quella del Vajo dell'Acqua salito l'anno scorso: si scende,
si prendono le tracce, si va verso nord, e al passo tre croci ci si
butta giù verso il Rifugio battisti. Così facciamo, ma il
ravanamento ricomincia: saremo in discesa, ma andare giù fino alla
vita vuol dire faticare non poco per poi uscirne. Marco adotta la
tattica di scendere faccia a monte, e dopo un po lo imitiamo.
Il rientro al rifugio è tranquillo, si
ride, si scherza, si ripensa a rischi corsi e alla soddisfazione di
averli superati. Si ripensa alle parole di Messner della sera prima.
Non ce lo siamo detti finora, ma tutti e tre le abbiamo pensate. Io
sul muro arrampicato che gli altri due hanno saggiamente evitato
andando a sinistra (dopo che dall'alto ho visto essere percorribile),
gli altri due non so. Le parole circa erano queste, nel contesto di
una via di roccia: “davanti a me un muro liscio verticale senza
niente. A sinistra niente, strapiombante e liscio. A destra idem, Giù
non si poteva andare. Allora dritti su.”
Ripensiamo ai termini coniati per le
varianti aperte, alla nostra crescente riconoscenza verso i mughi
(come dice Marco, gli abbiamo dimostrato che quella sul Vajo Bianco
non è stata solo una sveltina, c'è amore!”), al rifugista che ha
detto ok, e..al prossimo weekend (che si fa?!).
Al rifugio una cartina tratta da google
earth attrae la nostra attenzione, per capire dove siamo passati.
Faccio passare il dito dove passa lo Sperone MAG, e Gianluca chiede
cosa sia quel nero di fianco allo sperone: eh Gianluca, è l'ombra
dello stesso, perché c'è il baratro! Poco dopo scendendo, io e
marco ripensiamo al Canale dei Bolognesi affrontato l'anno scorso, anche quello da esser
contenti di poterlo raccontare: e ci sovviene il periodo in cui lo
abbiamo salito, praticamente un anno esatto fa, quindi questa nuova
avventura altro non è che un anniversario.
All'auto siamo tutti goliardici, ci si cambia, si sistema l'attrezzatura, si prende il sole in mutande (io dopo un giro, son sempre in mutande), si osservano i vaji del gruppo dello Zevola-Tre Croci. Inutile dirlo, abbiamo voglia di fare un'altro vajo. Bello il Fratta Grande, ma sarà in condizioni? Mi sa che per quest'anno coi canali di Carega e Appennino abbiamo chiuso. Ma restano le Orobie, il Neri, il Foppa.. Piatto ricco mi ci ficco! Ma possibilmente..senza varianti!
Qui le altre foto.
Qui le altre foto.
Guarda te com'è cambiato in venti giorni....
RispondiEliminahttp://elpanigal.blogspot.com/2012/02/canalon-dei-canaloni.html
ciao
Ecco, lo abbiamo ripetuto sabato 😂😂
RispondiElimina