domenica 26 febbraio 2012

Vajo Battisti, con variante sperone MAG e uscita GAM


Di solito sul blog cerco di non essere per nulla tecnico per quanto riguarda le descrizioni dei miei giri in montagna, cerco di trasmettere solo emozioni e di demandare al report su on-ice la descrizione accurata e più “fredda”. Ma questa volta non posso fare a meno di essere un po' tecnico qui per due motivi:
1.perchè è stata davvero un'avventura
2.perchè non mi attento a fare una relazione che sarebbe più un “non andate di qui” invece che un “si segue..”
E probabilmente rispetto ad altre volte sarò lungo..ma è un film thriller, non un corto da quattro soldi! Armatevi di pazienza e leggete, potreste non pentirvene (oppure pioggia di ortaggi su di me)..
Ebbene cominciamo dall'inizio. Si puntava al centrale al Giovo, che la relazione di Nicola ci solletica dall'anno scorso. Ma già Marco aveva chiamato il rifugista venerdì, e le notizie non erano buone sulle sue condizioni. Poi dopo il mio giro di sabato, pensai anche io che non fosse il caso di tentare un canale in appennino: me lo voglio godere 'sto Giovo-Rondinaio! Allora pensiamo: puntiamo al Carega! Gianluca sabato telefona: vaji non carichi, ma accettabili, tra cui il Battisti, e il rifugista dice ok (come un post del forum..).
Sveglia alle 2, che dopo aver dormito 2 ore la notte prima (a 45° in una Musa) è un po' traumatico, ma si sà, la voglia di scoperta e di avventura può tutto! Alle 5 siamo al parcheggio, beh uno spiazzo più che un parcheggio, appena sopra la Locanda Obante a circa 1000mslm, dove poi la strada che va al Rifugio battisti è sbarrata. Un cielo splendidamente stellato, una meraviglia. Non fa freddo: se io non porto i guanti vuol dire che davvero non fa freddo. Alle 5e30 siamo in partenza, ovviamente Marco e Gianluca erano già pronti da 15 minuti: io come al solito sono il più lento.
Si parte lungo la strada, armati di frontale che io presto spengo: come i gatti mi abituo al buio e alla poca luce: poi siamo su una strada suvvia.. Alle 6e30 arriviamo al rifugio: finora poca neve e ghiacciata, calziamo i ramponi che qui siamo comodi. Via verso il Vajo Battisti, il cui inizio è molto chiaro e evidente, incassato, seppur largo, tra due verticali pareti rocciose. Varie tracce di sci, che seguiamo in quanto sono quelle che assicurano maggior galleggiamento: appena fuori dalla traccia si sprofonda un po'. E questo “un po'” è pari alla misura della quantità di neve, ovvero si sprofonda “tutto” sotto un altro punto di vista. Mah..
Ma il rifugista ha detto ok, andiamo. Salendo questo tratto ci godiamo l'alba, sporcata un po' da nubi all'orizzonte, ma che ci concede la visione di un graduale incendio sulle pareti delle piccole dolomiti.
Entriamo quindi tra l'incasso delle due pareti, verso le 7e00. E il ravanamento iniziato già prima, qui prosegue. A tratti giù fino al ginocchio, a tratti anche di più. Ma anche la guida di Bellò dice che nella seconda metà è sempre meglio, noi siamo dei muli, e andiamo avanti. Marco resta sulla destra, ma non ci guadagna molto: Gianluca mi segue, cerco di stare sotto la parete di sinistra alla ricerca di neve migliore, ma invano. Si piglia quel che c'è!
Saliamo e usciamo dall'incassatura, così che il sole ci inonda col suo calore: azzo che caldo che fa, c è da sbrigarsi prima che la neve diventi pappuccia. Arriviamo quindi al punto in cui Vajo Battisti e Vajo dell'Acqua hanno un raccordo di collegamento, al quale vado a dare un occhiata: si vedono peste al di là, e noto che non se ne vedono proseguire nel nostro canale, ma magari è solo questione che un po' di leggero slavinamento le ha cancellate. Sempre a questa quota si può identificare un bivio, ma la via a sinistra si vede sbarrata poco sopra da un salto roccioso.
Proseguiamo, Marco e Gianluca mi passano davanti e dopo pochi metri un altro bivio, il bivio dell'errore.. In realtà ci sembra solo di trovarsi davanti a uno speroncino roccioso che divide due strade che poi si ritrovano riguardando le foto. Mentre invece eravamo lì, a destra era una continua scarica di sassi e un canalino ben poco innevato, a sinistra sembrava decisamente meglio. Decidiamo di comune accordo per la sinistra, ma dopo poco la neve inizia a scarseggiare. Va beh, inverno scarso, sarà questione di qualche passaggio: e invece ci stiamo cacciando sullo sperone MAG.
A posteriori mi chiedo perchè abbiamo continuato: forse ci tirava il culo scendere, temevamo di tornare a casa con le pive nel sacco (invece bastava scendere un po' e prendere a destra), ci sentivamo invincibili. O forse semplicemente le difficoltà crescevano troppo gradualmente, sicchè il ragionamento era “abbiam fatto 30, facciamo 31”: a furi di ragionare così, invece che fare 30, abbiam fatto 70.
Ripasso davanti per andare in avanscoperta, fiducioso delle mie capacità di alpinista in erba. La neve finisce, diventa una via di misto con molta roccia e non troppo buona: incontriamo una serie di mughi, che spremiamo come sul Vajo Bianco. Qui noto un mugo bello cicciotto, sul quale potremmo fare una doppia e calarci (abbiamo alle spalle un tratto di disarrampicata che non mi attento a pensare di fare) ma poi rifletto sul fatto che abbiamo una 55m (reduce dal taglio dopo lo spicozzamento sulla cascata). Dico a gli altri di fermarsi li e di assicurarsi al mugo lo stesso mentre io salgo per vedere come si mette.
Guardo a destra, dove iniziamo a supporre bisognasse stare, ma niente, c è un bel salto di cui non vedo la fine per tornare sul Vajo. Mi pare vada meglio dopo, e dico di seguirmi: inizio così a sentirmi pure responsabile principale delle scelte della giornata. Il miglioramento è un'illusione che dura poco: altro muro di roccia, senza appigli, coi ramponi che si poggiano su cengette e mani che stringono l'erba o i deboli arbusti. Supero questo salto di 5m e torno su neve, bella dura finalmente anche se al sole: capisco che la durezza durerà poco. Dico agli altri due di aspettare, mi giro per guardare dove sono salito, ma vedo tutto verticale, o meglio, non vedo dove son passato: l'adrenalina che finora girava raddoppia all'improvisso.
Salgo ancora un pochetto e noto il catino della parte alta del Vajo, confermando che c'era da stare a destra (e dire che Marco da un po' diceva di guardare la cartina, ma Marchino, io su questo tratto non mi attento a fare movimenti tipo togliermi lo zaino). Ma, cosa vedo, se salgo ancora un po' poi possiamo fare un bel traverso per finire nel catino: solo che il primo tratto di traverso è davvero esposto, prevede di calarsi qualche metro, non offre possibilità di assicurazione, e nel caso di caduta..non vedo dove finisca. Ma è l'unica soluzione.
Spiego la soluzione ai compari, praticamente decido che è l'unica via possibile per uscire da questo impiccio. In più noto che il salto roccioso da brivido che ho salito, è aggirabile sulla sinistra con un pendio di neve dal quale spuntano poi provvidenziali mughi. Dico a Gianluca di salire da lì, e la cosa si rileva agevole. Ci riuniamo tutti e tre essendo finalmente in un punto che offre questa possibilità: confermo la mia intenzione di traversare.
Dopo un po' di discussioni, decidiamo di legarci: già, perchè finora era tutto in slego, ma d'altronde non c'era possibilità di farsi sicura e piazzare protezioni intermedie. Beh in realtà non ce ne sono nemmeno ora, l'unica è una storica e vecchia sicura a spalla, che entrambi mi fanno mentre mi calo e traverso. Tra me e me penso solo a non scivolare, perchè dubito che mi potrebbero tenere e li porterei con me: anche per questo faccio legare tutti con moschettone e non con nodo diretto all'imbraco, così nel caso, basterà aprire la leva.
Via che si va, ed è più facile di quello che sembrava: mi giro per vedere la non fine del pendio sotto di me, piazzo una psicologia sicura intermedia usando un cordino come nut, e avanzo non più di 10m, dove mi fermo per recuperare gli altri due. Gianluca passando per la mia sicura scoppia a ridere vedendo cosa sia, e si ricongiunge. Poi viene Marco che prima di partire si scatta una foto per i posteri. Eccoci qui, soddisfatto di essere usciti dall'inghippo. Inghippo che decidiamo di chiamare “sperone MAG” in omaggio ai suoi apritori, per l'appunto Marco Andrea Gianluca, e anche come omaggio ai mughi, o all'inglese “maughi”.
E continuando a traversare il ravanamento ricomincia, più ravanato che mai, giù fino all'inguine. Avanzo col piede a valle, che sprofonda, lo sollevo, riempio il buco creato dal mio peso con della neve che sta intorno in modo da alzarlo di una decina di cm, ci metto peso e avanzo col piede a monte. Che fatica per pochi cm a ogni passo!
Ma adesso siamo fiduciosi di poter uscire da soli, lassù sembra evidente ci sia l'uscita, ma stavolta tiriamo fuori la guida, che pare confermarci la nostra idea. Certo che con questa scarsa, per non dire assente, neve è difficile capire in base a una descrizione e delle foto che prevedono sia tutto bianco! A sinistra individuiamo la variante di uscita, che la guida da III+ 75°, che pare ben più innevata, ma non ci fidiamo per nulla!
Ed eccoci allora prendere verso destra, ma continuando a salire. Capiremo dopo che probabilmente l'uscita vera voleva un lungo traverso a destra che finiva sulla spalla est del Monte Tre Croci, pericoloso in quanto se si scivola poi più si fa un salto di 100m prima di ritoccare qualcosa che non sia più allo stato aeriforme.
Marco passa avanti, la neve finisce e ci troviamo a traversare, pur sempre salendo, su roccia marcia ma marcia tanto: ma il cielo è li, manca davvero poco. Galvanizzato dall'impresa (non volta) precedente valuto se salire un camino sotto il quale passiamo..ma calmiamoci suvvia! Un altro po' di spremuta di mughi e..siamo fuori!
Una bella stretta di mano e una voglia di dare sfogo alla nostra fame! Sono le 11e15, ripensiamo allo Sperone MAG, un IV oserei, sprotetto ed esposto, all'uscita, che dopo essersi resi conto non esser quella giusta, additiamo come uscita GAM, sempre in onore dei suoi apritori, su roccia marcia, un traverso con passi di III. Insomma, come trasformare un PD+ in un D! Ovviamente senza volerlo..
Mentre mangiamo notiamo un camoscio appollaiato sulla cima che sta alla nostra sinistra, beato e composto, non gli interessa la nostra presenza. D' un tratto si alza, ma solo per cambiare posizione: che sfaticato! Ma è l'emblema della tranquillità che solo la montagna sa dare: beh, fino a poco tempo prima noi tre non eravamo molto tranquilli..
La discesa ce la ricordiamo in quanto simile a quella del Vajo dell'Acqua salito l'anno scorso: si scende, si prendono le tracce, si va verso nord, e al passo tre croci ci si butta giù verso il Rifugio battisti. Così facciamo, ma il ravanamento ricomincia: saremo in discesa, ma andare giù fino alla vita vuol dire faticare non poco per poi uscirne. Marco adotta la tattica di scendere faccia a monte, e dopo un po lo imitiamo.
Il rientro al rifugio è tranquillo, si ride, si scherza, si ripensa a rischi corsi e alla soddisfazione di averli superati. Si ripensa alle parole di Messner della sera prima. Non ce lo siamo detti finora, ma tutti e tre le abbiamo pensate. Io sul muro arrampicato che gli altri due hanno saggiamente evitato andando a sinistra (dopo che dall'alto ho visto essere percorribile), gli altri due non so. Le parole circa erano queste, nel contesto di una via di roccia: “davanti a me un muro liscio verticale senza niente. A sinistra niente, strapiombante e liscio. A destra idem, Giù non si poteva andare. Allora dritti su.”
Ripensiamo ai termini coniati per le varianti aperte, alla nostra crescente riconoscenza verso i mughi (come dice Marco, gli abbiamo dimostrato che quella sul Vajo Bianco non è stata solo una sveltina, c'è amore!”), al rifugista che ha detto ok, e..al prossimo weekend (che si fa?!).
Al rifugio una cartina tratta da google earth attrae la nostra attenzione, per capire dove siamo passati. Faccio passare il dito dove passa lo Sperone MAG, e Gianluca chiede cosa sia quel nero di fianco allo sperone: eh Gianluca, è l'ombra dello stesso, perché c'è il baratro! Poco dopo scendendo, io e marco ripensiamo al Canale dei Bolognesi affrontato l'anno scorso, anche quello da esser contenti di poterlo raccontare: e ci sovviene il periodo in cui lo abbiamo salito, praticamente un anno esatto fa, quindi questa nuova avventura altro non è che un anniversario.
All'auto siamo tutti goliardici, ci si cambia, si sistema l'attrezzatura, si prende il sole in mutande (io dopo un giro, son sempre in mutande), si osservano i vaji del gruppo dello Zevola-Tre Croci. Inutile dirlo, abbiamo voglia di fare un'altro vajo. Bello il Fratta Grande, ma sarà in condizioni? Mi sa che per quest'anno coi canali di Carega e Appennino abbiamo chiuso. Ma restano le Orobie, il Neri, il Foppa.. Piatto ricco mi ci ficco! Ma possibilmente..senza varianti!

Qui le altre foto.

1 commento:

  1. Guarda te com'è cambiato in venti giorni....
    http://elpanigal.blogspot.com/2012/02/canalon-dei-canaloni.html
    ciao

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