sabato 17 novembre 2012

Vaji a secco nel cuore del Fumante: Pelagatta e Scuro

Io sarei andato volentieri ad arrampicare oggi, ma Marco sono ormai un paio di mesi che spinge per andare a fare il Vaio Scuro, in previsione di un attacco invernale armati di piccozza e ramponi (quella sì che è vita!): come posso dirgli di no? Ancora ricordo quando scendendo dall'ultimo giro in Orobie in auto mi disse a proposito della sosta al bar “ma mi avevate promesso che vi fermavate” con quegli occhi da cane bastonato, mentre io e Riccardo cercavamo un bar adeguato alla nostra eleganza (che poi trovammo poco dopo). Stavolta non posso che dirgli di sì subito. Però..mi studio un bel giro.
E così alle prime luci dell’alba ci incamminiamo dal Rifugio Revolto alla volta del Passo Pelagatta. Partiamo abbastanza alti per i nostri standard, ma oggi ho il coprifuoco e non posso sgarrare. Della neve cadute nelle deboli nevicate dell’ultimo mese sono rimaste solo sparute chiazze: chiazze marmoree viste le temperature rigide, ma pur sempre chiazze. Ho comunque messo nello zaino ramponi e piccozza, timoroso di accumuli di ghiaccio nel vaio, ma sarà tutto secco!
Al Passo Pertica si gode un bel panorama sul Gruppo dell’Adamello-Presanella, con le sue nevi autunnali illuminate di rosa dai primi deboli raggi di sole: spettacolo che avrò visto decine di volte, ma che ogni volta mi fermo a osservare e fotografare. Avanziamo a passo svelto verso il Rifugio Scalorbi, osservando le fessure e i canali del Plische, il Gigi, sognando un inverno ben più ricco dello scorso.
Al Passo Pelagatta ormai siamo belli caldi, il sole quando lo prendi ti rinvigorisce a giga bomba (quando sei all’ombra..brrr!). Già, ma perché siam qui? Non potevamo partire dal Rifugio Battisti? No no, noi siamo alternativi, ci piace il “famolo strano”: e metti che ci mettiamo meno tempo del previsto, col set da ferrata già nello zaino potremmo salire anche la Biasin, che sta da questo versante del Carega.
Dopo qualche indecisione su dove sia il sentiero, scendiamo. Azzo, io pensavo che il Vaio Pelagatta fosse quello da cui eravamo scesi dopo il Vaio Battisti, invece quello era il Passo Tre Croci.. La faccenda si fa un po’ ardua “Ma come, questo non mi sembra proprio un sentiero EE”, e Marco “ma va, infatti è puntinato sulla cartina” “ma è molto puntinato o poco?” “ i puntini sono tutti uguali..”. E così la variante di partenza si presenta tosta, in discesa su passaggi di III (o almeno II abbondante) su roccia friabile.
Marco mi minaccia se scriverò di ciò su fb o sul blog, ma io le bugie non le dico. “Almeno scrivi alla mia morosa che noi partiamo sempre con l’intenzione di un giro tranquillo, poi qualche strana variante ci frega”. Però deve essere bello con la neve questo vaio: incassato, stretto, logico. Scendiamo fino alla diramazione col Vaio del Pino “Attenzione, Vaio del Pino, Difficoltà alta” e mamma mia! A casa sul libro maestro devo guardare so’ha questo Vaio del Pino..
Se non fosse per il sentirsi continuamente soggetto alla follia omicida di cecchini sotto forma di sassi, sarebbe divertente e adrenalina questa discesa, ma questi cecchini incutono un certo timore, perciò meglio sgaggiarsi. E poi, che freddo cazzo! La roccia è gelata, adesso si sta già meglio, ma nella parte alta del vaio ormai stringevi i rari appigli senza capire quanto forte li stringessi.. 
 Adesso invece? Tratto di avvicinamento nel bosco, pestando foglie e in mezzo all’arancio delle foglie: un certo cambiamento di ambiente in pochi metri.
Oh, ed ecco il primo tratto attrezzato, quello che ci permette di scendere nel letto del Vaio Lovaraste: ma mentre aspetto Marco, un sasso cade dalla parete sulla sinistra orografica, dove poi dobbiam passare: “Marco, qui meglio esser svelti, niente indugi e poche foto”, e veloci come il vento (più o meno) scendiamo questo tratto. Nell’ultimo passaggio Marco si chiede perché sua mamma l’abbia fatto così corto..
Siamo sperduti in una delle zone meno frequentate del Gruppo Carega, la solitudine in mezzo a questa roccia che nasconde cecchini è pesante, fortuna che siamo in due. Peccato non vedere nemmeno una bestia, è strano, di solito si vedono smiliardate di camosci nella parte “antropizzata” e pratosa del Carega:  qui mi aspettavo intere mandrie!
Si sale ora per sfasciumi dell’imbocco per il Vaio Scuro: la salita si fa “da cercare”, vai un po’ a destra, vai un po’ a sinistra, cerca il passaggio più facile..o il più divertente! Oggi non c’è certo caldo, ma questo sole picchia coi suoi UV, e la pendenza e la fatica fanno il resto: mi pento di aver messo i Vertigo Light (e infatti ho già fatto il risvolto per far respirare i polpacci. Ed eccoci finalmente al primo tratto attrezzato del Vaio Scuro.
Che sia il Vaio Scuro non c’è dubbio: una targhetta alla base lo indica, non c’è scritta nulla, ma è tutta arrugginita e..scura. Marco parte all’attacco del camino iniziale, dove ringrazia sua mamma di averlo fatto così poco ingombrante: io infatti faticherò un po’ a uscire, ma mi divertirò sfruttando la parete alle mie spalle in spaccata.
Siamo incassati tra due pareti rocciose, di nuovo la mente vola al pensare di percorrerlo questo inverno quando sarà tutto ramponabile e piccozzabile: solo mi sorge il dubbio sulla facilità di avvicinamento, e in seguito mi sorgerà il dubbio sulla facilità di uscita e discesa.. Ma intanto godiamoci questa salita, fisica e atletica in certi tratti, solo di gamba in altri. Neve zero. Il buon Marco per fortuna qualche foto oggi me la fa, chissà che non riesca ad aggiornare la mia immagine del profilo.
Quale miglior momento per una confessione al mio amico? Detto fatto. Iniziamo adesso a vedere l cielo lassù, ma è un illusione, l’uscita è ancora lunga: già, perché finchè non saremo in cima all’Obante non mi considererò uscito. Guardo l’ora, mi sa che oggi facciamo solo il Vaio Scuro, il Pelagatta ci ha fatto perdere troppo tempo. Usciti dalla forcella, traversino sotto Punta Lovaraste, e si ammirano le dolomiti (ma dov’è la Marmolada?! Non la vedo..).
E dopo il traversino l’inconfondibile Porta dell’Inferno con il suo masso sospeso e l’Orecchia del Diavolo: un po’ di foto sciocche con io che tengo su il masso incastro, poi è ora di andare. Tutto merito di Marco e della sua macchina fotografica. Poi inizia un dedalo labirintico in mezzo a guglie, gugliette, passi, forcelle, pietraie, creste, di tutto, per giungere in cima al Monte Obante. È questo forse il tratto più bello della giornata, solitario, selvaggio, e a differenza del vaio è tutto “aperto” verso il cielo.
Rivediamo il Gruppo dell’Adamello Presanella: cazzo quel Carè Alto, che bello, che bianco, che triangolo. Una delle tre sconfitte del 2012, ma torneremo a misurarci con te, non temere mio caro. Questa visione rende ancora più dolomitica questa traversata, non siamo nemmeno a 2000m ma queste rocce, questa verticalità che ci sta intorno è inebriante, è invitante.
Finalmente scorgiamo un camoscio! Peccato non essere abbastanza veloce, o meglio, peccato che la mia macchina fotografica si inceppi, e non riesca a riprenderlo in cima a una guglietta stagliato verso il cielo con alle spalle la Presanella..
Ed eccoci finalmente al Passo dell’Obante. Tardino l’orario, e Marco è un po’ stanco, ma alla mia domanda “La cima è la, saliamo o andiamo diretti verso l’auro?” “e che cazzo, saliamo, siam qui!” via allora. Io ci sono già salito qualche mese fa, ma non dico di no, e poi il twix di vetta freme nello zaino. Improvviso una salita un po’ arrampicatoria, mentre Marco va sicuro per la via di salita normale.
E mentre sono li che penso alla domanda di Marco “ma non potevi salire per dove sono salito io?” e alla mia risposta “ma ci sono già salito sull’Obante, e conoscendo la via normale per scendere, per salire ho voluto rischiare” e non faccio in tempo a pensarlo, che mi caccio in trappola. Salgo su del II grado, ma dove tutto è marcio, arrivo su una bella lastra compatta..ma per arrivare sulla cima dovrei fare un salto di un metro e mezzo con sotto dieci metri di buco: torna indietro e salta dove è meno largo e profondo. Così che quando arrivo in cima Marco mi dice “beh, è un’ora che ti aspetto!”.
Pausa cibo, foto di vetta, con la macchina di Marco, e poi giù. L’avventura è finita, adesso solo prati, carrabile e sentiero. In prossimità dello Scalorbi Marco mi guarda e mi dice “Mi spiace dirtelo, ma lo sai che oggi te le avranno stuprate in ogni cantone le Orobie?!” eh lo so, dovevano esserci delle gran condizioni, sole e neve marmorea, ma purtroppo il tempo è tiranno, e oggi tante ore a disposizione non le avevo.
Al Passo Pertica guardo la Biasin, niente da fare, oggi non c’è tempo. Poi all’auto..tananana, Marco si toglie lo zaino e..”Dov’è la mia macchina fotografica?!” è rimasta in cima all’Obante, oppure al Passo dell’Obante quando Marco si è tolto lo zaino per prendere i bastoncini. Se qualcuno la trova.. Non tanto per la macchina, che è un cesso (a detta del padrone) ma per le foto dentro! Tra cui le mie..una volta che il mio amico me le fa!

Qui altre foto.
Qui i tempi.

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