sabato 7 settembre 2013

Triade di ferro sul Carega: Biasin, Pojesi, Campalani

Anche io sono strano a mio modo. Ogni tanto mi vengono in mente idee strane di concatenamenti, traversate, .. Ma almeno queste bizzarrie le tengo per me, e le vado a fare da solo senza tediare o sfondare di fatica altri. Anche se a dire la verità quella di oggi non è ‘sta gran cosa, o almeno non quella che avevo in progetto per questa stagione, ma era comunque un voglino che avevo: concatenare tre vie ferrate del Carega, due delle quali non ho nemmeno mai percorso, perciò novità! 
Parto nemmeno di buon ora, ma a letto si stava bene, e la serata precedente non mi ha proprio portato riposato a questo trekking con ferrate. Due soste caffè lungo la strada e una bottiglietta di coca cola (zero) aiutano la guida, oltre che canti a squarciagola in solitaria (meglio..).
Come insegna Marco grande, si parte dal Rifugio Boschetto, o meglio dalla Casa Forestale poco sotto, dove mi accoglie una fontana secca: va beh che ha nevicato quest’inverno, ma si vede che ormai la siccità la fa da padroni. Riempio lo zaino e via partire, il tratto iniziale lo conosco bene ma voglio partire con calma. Chissà perché, dopo dieci passi che l’ho pensato, lo scordo subito.
Litigo col gps, vorrei prendere la traccia, ma lui non vuole prendere i satelliti, amen, non ho tempo da perdere, vorrei finire il mio giro in tempo per concedermi anche un pisolino. Un po’ di gente in giro c’è già, e la cosa mi scoccia: speravo salire la Ferrata Biasin senza nessuno sopra, e senza nessuno che mi guardi da sotto (non mi piace avere un pubblico). Arrivo al Passo Pertica che gente ce ne è, ma sulla ferrata nessuno, allora vai!
Le relazioni la danno dura ma breve. Han ragione. Almeno sul breve.. In ogni caso, visto che per buona parte è strapiombante, su questa ferrata il set lo uso eccome, e con entrambi i moschettoni! Bello il fatto che sia dotata dei cunei di gomma di ammortizzazione. Osservo una via scorrere a fianco del cavo di acciaio e della fila di gradini di tondini di ferro: che voglia di fare una bella via (ma quanto non sono in forma!).
Bella ferrata, qualche sguardo in giù mi rende l’idea della verticalità e perfino dello strapiombo, passaggi dentro un camino dove lo zaino benché piccolo resta eccessivo. Beh, 20 minuti e ho già finito: meno male ho altre cose in programma oggi!
E una è fatta, scendo diretto verso il Passo Pertica, per un sentiero carino, in mezzo alla vegetazione, a volte fitta fin sopra la testa, e con qualche tratto con cavo di acciaio. Chissà se al Passo Pertica è rimasto qualcuno che mi vide partire e che dopo 40 minuti mi vede tornare. Uno sguardo al Carè Alto, una sconfitta non ancora sanata. Mmm, vedo gente che si prepara, meglio passare di corsa per non avere nessuno davanti. E così inizio il sentiero alpinistico Angelo Pojesi.
Marco l’ha già percorso, mi ha detto non essere nulla di che, vedremo. Intanto vedo altre vie partire dal sentiero, e questo mi incuriosisce, dovrò indagare. Inizialmente il sentiero è una cengia che taglia in traverso il versante ovest, non troppo stretta, ma a sinistra scende bene ripida. Il cavo ogni tanto c’è, ma è sufficiente da corrimano.
Entro in un impluvio, e la voglia di Vajo si impossessa di me. Scruta in basso, scruta in alto, oh ma quante uscite possibili, oh ma che lungo avvicinamento, oh ma che voglia che il Caregone si riempia di neve (compatta!)! Davanti a me una coppia che raggiungo ben presto e che mi lascia cortesemente passare. Che bello essere su questo versante desolato e con pochi umani, e pensare alla folla che ci sarà sull’altro. Peccato che poi toccherà mischiarsi a quella..
Il tempo non ha più senso qui, solo con la montagna. Continuo, noto un camoscio arroccato sulla parete rocciosa: che bestie queste qui, vanno dove io non mi sognerei mai. Osservo dove prosegue il sentiero, azz: passa proprio sotto di lui! La bestia mi ha visto, sarà meglio stia ferma o mi scarica addosso un sacco di pietre. Passo veloce, incolume. Tra poco noterò altri quattro camosci al pascolo, ma non mi accorgerò di esser passato sotto di loro finché non li avrò abbondantemente superati.
La cengia che spesso si segue si staglia verso il cielo quando si torna a infilare nel prossimo impluvio, è affascinante. Arrivo poi nel canale da risalire, qui si trova un po’ di cavo e finalmente si ricomincia a usare le mani. E a sognare neve e ghiaccio. Oh, qui sì che si inizia ad avere la lingua fuori! Finora tutto il Pojesi è stato percorso all’ombra, si stava bene, ma ormai l’uscita si avvicina, la roccia fa posto all’erba, l’ombra al sole. E sbuco così cu Cima Tibet, dove devo districarmi tra le pecore e cacciarle dal sentiero. Due di loro mi osservano come fossi un alieno, innocuo però. E anche un video meditativo.
E due, fatto. Meritata pausa beveraggio e mangereccia. Osservo il sentiero delle creste, a lui è legato il ricordo di un giro invernale  esplorativo in tempi non sospetti, che devo ripetere. Laggiù Cima Carega, prossima tappa. E il Carega è sempre il solito: dalla valle del Rifugio Battisti salgono nuvoloni che rendono lo sfondo della cresta del Plische bella scura. Va beh, tanto io tra poco scappo verso l’auto!
Ben presto, con dei sali scendi, un po’ di roccia, e notando delle stelle alpine, arrivo al Rifugio Fraccaroli, dove non mi fermo nemmeno un attimo e filo dritto in cima. Un’occhiata al panorama, che però si sta tappezzando di nuvole, e via giù verso il prossimo percorso ferrato. Ora non sono più da solo, di gente ce ne è parecchia in giro! E anche sulla Campalani ne trovo: già in fase di avvicinamento sento il rumore dei moschettoni su cavo e catene.
Mi rivesto di imbraco, set e casco e parto, e nella fretta, bam! Ginocchio contro la roccia, che male porca vaccona! Pochi secondi di stop e poi riparto, meglio muoverlo presto! La ricordavo carina questa ferrata, e lo è. Nel camino devo aspettare un po’ quelli sopra di me, che dopo mi lasciano passare. In realtà questa ferrata mi fa piacere ripeterla perché poi vorrei salirla in invernale, per poi proseguire sulla bella cresta che finisce al Fraccaroli.
Uscita dalla ferrata, triade del ferro completata! Evvai! Tento una super panoramica a 360° dalla cresta, e mi viene! Ma ora basta, è ora di terminare. In realtà avevo valutato se fare anche il Vajo dei Colori, ma il meteo qui si mette male (e avrò ragione a posteriori) quindi accontentiamoci. Anche perché dalla partenza dalla macchina non sono passate nemmeno 5 ore, mi sembra buono come tempo.
Scendendo sul sentiero che più brevemente possa al Passo Pertica, noto una tizia in salita vestita come d’inverno: pantaloni non leggeri lunghi, maglia a maniche lunghe, guanti e addirittura berretta di lana (non paraorecchie, proprio berretta!), ma come si fa.. Guarda e passa. Passa e mentre sono distratto vedo con la code dell’occhio muoversi qualcosa vicino ai miei piedi, oh cazz! Sembra proprio una vipera! Ma più timorosa di me, striscia presto nel cespuglio.
E non ci resta che scendere, incontrando qualcuno che è appena sceso dalla Biasin. E questo gruppo di persone che urla come dei matti per dialogare a distanza di centinaia di metri, una cosa che non sopporto in mezzo alla natura, le grida (inutili). Uffa, la pace del Pojesi è un lontano ricordo.
Scendendo un pensiero serpeggia nella mia mente: arrivo alla macchina, mi è rimasto un panino, compro una birra, picnico così e ci caccio una bella dormita all’ombra. Ma non andrà proprio così.. Al Rifugio Revolto ottengo l’accoglienza che stamattina non ho avuto e che mi mancava: il cane pacifico del carega.

Finisco il mio giro, mi guardo alle spalle e verso il Vallone di Campobrun si vede uno scuro e delle nuvole basse che mi fanno pensare “tempismo perfetto! Ora a casa!”.

Qui altre foto.
Qui report.

Nessun commento:

Posta un commento