venerdì 1 novembre 2013

Vorrei non smettere: via Demetz al Grande Cir

Se il freddo non vuole arrivare, almeno approfittiamone. C’è chi diceva “ma cosa me ne frega di aumentare il grado o arrampicare adesso, tanto non ho nemmeno iniziato la stagione, che è già finita” e questo lo diceva fin dai primi di settembre. Siamo al primo novembre, e oggi ioRiccardo arrampichiamo (quasi) tutto il giorno in maniche corte.
Siamo solo noi due, dopo vari forfait e cambi di destinazione dovuti ai più disparati motivi. Ma va bene, d’altronde è da un sacco di tempo che non arrampico con Ricky, e mi fa davvero piacere ripestare gli stessi appoggi e afferrare gli stessi appigli con lui. Oggi si adegua al mio basso grado, ormai che giace nell’olimpo dei forti arrampicatori. Sono onorato.
Dopo una cena all’insegna della polenta e dell’abbondanza, e dopo ben tre grasse ore di sonno, ci si ritrova, destinazione Passo Gardena: la via l’ha scelta lui, non potevo non lasciargli questo onore e onere. Solo che già sulla strada verso Passo Sella notiamo che di neve ne ha fatta, ma stiamo osservando i versanti nord, e siamo quindi fiduciosi. Lo siamo meno quando giunti a Passo Gardena ci troviamo in mezzo alle nuvole, con visibilità stile nebbia Valpadana e il termometro del Rifugio Frara che segna 0°C.
Ma come, il meteo doveva essere dalla nostra, una parte a sud assolata.. Con questo tempo non sappiamo nemmeno se riusciremo a trovare l’attacco, ne se la roccia sarà asciutta! Demoralizzati iniziamo a prepararci, facciamo melina nella speranza di un’apertura delle nubi ma nulla. Partiamo e amen, vediamo come va. Uffa, che palle. Infreddoliti e vestiti ci incamminiamo verso la direzione che reputiamo corretta in questa nebbia fitta.
Accidenti a noi e alla mancanza di fiducia! Saliti anche solo 50m di dislivello, il cielo si apre limpido, il Grande Cir è laggiù (con la nebbia abbiamo sbagliato strada prendendola troppo larga) e le maglie e giacche che avevamo addosso adesso ci fanno sudare da matti! Ora sparati verso l’attacco che il morale è tornato bello alto!
Risalito il canalone dietritico per arrivare alla base dell’attacco, imbragati e legati, non ci resta che arrampicare: siamo qui per questo. Parto io, così lascio poi a quello bravo il tiro col passaggio di V. Intanto il paesaggio è già spettacolare: il tappeto di nubi ai nostri piedi dal quale emergono le cime delle dolomiti Ampezzane, dello Zoldano, il Sella bello svettante dietro di noi, il Sassolungo ciccione e prominente.
Iniziamo a far sul serio e arrampicare. Come sempre la cosa che mi fa più paura è trovare il percorso corretto per arrivare alla sosta attrezzata o dove almeno è risaputo esserci una bella clessidra. Su questa via non è che ci siano molti chiodi o passaggi obbligati e quindi belli usurati dal passaggio delle precedenti cordate, che permettano di capire in modo chiaro dove vada presa la roccia. Sono una pippa, lo so.
Sul primo tiro un pochino già ostio un po’ su un passaggino un po’ delicato, ma chissà se sono io che sono andato a cercarmelo. Dalla sosta contemplo il paesaggio mentre recupero il mio amico. Pronti via, beccati il passaggio atletico! Ma Riccardo è bravo, non ha problemi. Io da secondo leggerò il passaggio atletico come una pura prova di forza di braccia.
Ci sentiamo sulla buona strada, e invece io vado un po’ fuori strada al terzo tiro. Ma perché questa è una via non obbligata, di relazioni ne abbiamo trovate diverse tra internet e guide; non completamente diverse tra loro, ma con varianti di anche un tiro intero! E Riccardo al quarto tiro gli tocca traversare per infilarsi dentro il camino e finire a far sosta sotto un bello strapiombo in compagnia di una strana roccia spumosa.
Sì ma, da questa nicchia come si esce?! Oh ma che traverso esposto! E sprotetto.. da sporcarsi un po’ le mutande per uscire da qui, ma non è ancora nulla in confronto al diedro finale. Ce la faccio, proseguo tranquillo e arrivo su del facile dove c’è quasi da camminare. Sosta su clessidra chiama la relazione: trovo una clessidra, ma porca miseria, quanto è alta?! E con sotto il vuoto! Troppo scomoda.. Ci provo un paio di volte, ma alla fine rinvio e basta, troppo scomoda. E infatti più in alto due clessidrine sono li che mi aspettano.
Senza sapere se è partito prima che facessi sosta o meno, Riccardo arriva quasi correndo. Siamo comodi, pausa ristoratrice e ci vestiamo, che ora tira un po’ d’aria. Riccardo sale agilmente sul pinnacolo dal quale poi ci dobbiamo calare (verticale questa doppia!) per trasferirci sul torrione principale del Grande Cir.
Riparte lui, alla ricerca della via, che adesso vediamo un po’ fumosa come lettura su questa parete senza troppi punti di riferimento. Mi sento fiducioso, anche perché convinto che il duro fosse in basso, e invece.. Arriva in sosta ostiando per le corde che si sono arrotolate intorno a un sasso quasi bloccandosi. Sosta, in realtà salta la principale per spostarsi un po’ a sinistra, su una clessidra un po’ esigua per essere una sosta su cui appendersi. Vado sparato verso la prossima sosta per toglierci da questa va!
Oh bene, si vede il diedro finale, che toccherà a me. Ricky si fa il penultimo tiro, bello e divertente senza nessun passo obbligato e dove poter cercare quello che si vuole. Eccomi in sosta con lui, a contemplare il panorama intorno a noi. Ecco il diedro, no i diedri, sono due, ma quello a destra sembra essere tappato in cima da un tettino invalicabile (sembra): prenderò quello di sinistra.
Vado, alla sua base trovo pure il chiodo chiamato dalla relazione, però quando mi ci trovo in mezzo mi pare ben di più di un IV+! O l’ho letto male io, o era il diedro a fianco.. Respira con calma, muoviti delicato, chiedi alle falangine di fare ben presa, sembra essere lungo decine di metri questo diedro, poi finalmente riesco a uscirne: sospirone di sollievo!
Cerca la sosta, che non trovo. Roccia friabile, là la cima, qui sotto a destra un clessidrone, mi fermo qui anche se bello scomodo. Recupero Riccardo che uscito dal diedro mi dice “ma allora sai arrampicare, non sei una fighetta”, sentilo questo qua!
Con calma arriviamo in cima, sono 100m nel senso di distanza, non di dislivello. È fatta, spettacolo: non c’è nemmeno da preoccuparsi troppo della discesa, tanto è sentiero e ferrata (facile tra l’altro). Mentre mangiamo, beviamo e scherziamo, le nuvole giocano con le cime, regalandoci solo a sprazzi la visione completa da questo balcone sulle dolomiti. Ma che spettacolo il Sassolungo, e le Odle, e chi più ne ha più ne metta!
Riccardo fa lo scemo con gli uccellacci che implorano pezzi del nostro panino, ma ho troppa fame per essere generoso, e poi questi pennuti dimostrano già avere una certa panza! Scendiamo, è pure più tardi di quello che speravo, e dopo una scivolata sull’untissima via normale al Grande Cir, ripiombiamo in mezzo alle nuvole quando finiamo al di sotto della quota magica, che se avessimo intuito stamattina non ci saremmo demoralizzati e non avremmo perso tempo.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui relazione dei SassBaloss, che però hanno seguito una linea diversa dopo la doppia a metà salita, prendendo lo spigolo di petto e non traversando più in alto come invece descritto nella via del Bernardi.

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