sabato 29 marzo 2014

La (quasi) fregatura alla fine: Vajo dell’Uno, ma bel vajo!

“i vaji fregano sempre alla fine”, questa la regola coniata la stagione passata, ma che quest’anno non ci aveva ancora dato prova di essere valida anche nel 2013-2014. Fino a oggi. Ma veniamo con ordine.. 
Complice l’uscita per formazione dei nuovi aspiranti istruttori, si decide di sparare quella che potrebbe essere l’ultima cartuccia su neve, e quale posto meglio del Carega? Vajo dell’Uno, tanto corteggiato da Nicola negli ultimi inverni, e ci mette poco lui a convincerci della bellezza dell’itinerario. Lungo, isolato, selvaggio, freddo, insomma montagna.
Certo quel TD+ non è probabilmente alla nostra portata, ma visto l’abbondante innevamento magari i salti di roccia sono ben coperti e le difficoltà abbattute. In ogni caso il Vajo Basilio e il Grande Ramo Destro rappresentano due vie di fuga. Vedremo salendo.
Partenza notturna, arriviamo all imbocco della galleria che rimbomba in modo terrificante i bauli delle auto che si chiudono, alle 5 siamo in cammino, nell’oscurità. Complice la carica, ma anche il buio, il tempo vola sulla noiosa forestale che ci porta ai piedi delle Giare Bianche, che imbocchiamo. E ai suoi piedi arriviamo che ormai le frontali servono a poco. Ma l’alba è lenta, oppure i nostri occhi si sono abituati alla poca luce, e di sole ne vedremo poco, ma meglio così. 
La poca neve iniziale ci fa inciampare sulle pietre sottostanti, poi finalmente il manto bianco diventa più abbondante e..morbido. La neve non è portante, qualche traccia aiuta la progressione, ma un po’ si sprofonda. Il nostro vaio sta li di fronte a noi, ma si nasconde dietro alte pareti rocciose. Ora si vede distintamente il Pasubio, ma non ce ne curiamo, ci infiliamo in una delle vene del Carega, e ne usciremo tardi.
Si parte a pendenza moderata, le picche possono benissimo essere rimpiazzate dai bastoncini, e io nemmeno quelli tiro fuori: ma nei tratti in cui si andrà giù fino al ginocchio, le moffole serviranno per garantire una progressione a 4 appoggi. L’ambiente è suggestivo.
Avanziamo un po’ sparpagliati, ognuno al suo passo, ma chi sta dietro usufruisce anche di una traccia più marcata di quelli che stanno davanti, e presto appare davanti a noi la Guglia Adriano, come la prua di una petroliera che ti viene incontro mentre te ne stai tranquillamente sguazzando nel mare.
Dopo aver osservato tre ragazzi sulla destra intenti a prepararsi per aprire una via nuova su un diedro verglassato, riflettiamo. È questo il primo bivio, dove nel caso di difficoltà sul primo risalto abbiamo la nostra via di fuga che si chiama Vajo Basilio. Ma del risalto nessuna traccia, tutto coperto di neve, ciò ci rende ottimisti sulla riuscita della giornata!
E adesso il vaio si fa anche più interessante, si incassa tra pareti vertiginose che si stagliano verso il cielo. Ci si sente davvero piccoli in mezzo a questi giganti le cui dimensioni non riescono a essere chiare. Gianluca avanza, si vede che la corsa gli fa bene, ma probabilmente è proprio che si sta divertendo un casino..
Poi piano piano il vaio torna ad allargarsi, lentamente, lasciando ai nostri occhi una lenta scoperta di quello che ci aspetta, di quello che ci minaccia, e di quello che ammireremo. Punta Innominata davanti a noi, ma appena più a destra si erge il Castello del Cherle, oggi rinominato il Cerro Cherle: le sue pareti sono intrise di neve fredda, e sulla sua sommità delle cornici spumose lo rendono più elevato in altezza.
E quando il vaio torna ad allargarsi definitivamente, uno sguardo all’ indietro ci fa apprezzare questa V di roccia tanto chiusa che abbiamo percorso al suo vertice. Sono le 7e30 quasi, e ci ritroviamo al bivio con la seconda via di fuga, il Grande Ramo Destro. Se volessimo proseguire sul Vaio dell’Uno dovremmo tenere leggermente sinistra, passare sotto a questa parete verticale e vincere il secondo risalto. Proviamo a vedere.
Io e Gianluca, che siamo davanti, osserviamo quelle cornici colpite del sole, non ci piacciono per niente, meglio fare alla svelta a salire e mettersi al sicuro da una loro eventuale caduta. Ma il dubbio comincia ad insinuarsi. La neve non è delle migliori, non è dura, a volte si sprofonda fino al ginocchio, e sui tratti un po’ pendenti avanzare significa tirare su il piede fino al petto per poi vederlo scendere inesorabile fino al piede che è rimasto giù. Se la neve è questa sul tratto finale quasi verticale, non ne usciamo. Ma scendere ora vuol dire passare del tempo nell’imbuto del Cherle.
Ci si ricompatta e si decide di proseguire, il secondo risalto sembra ben coperto anche lui, ciò mi da ancora più fiducia sulla riuscita della giornata: primo risalto completamente coperto, secondo coperto, la parte finale sarà bella carica! Ora ci alterniamo maggiormente a battere traccia, addirittura Nicolapassa in testa, più unico che raro.
Ok, ora però meglio che tiro fuori le picche e la smetto con la progressione a 2 o 4 zampe. Nicola parte per il secondo risalto, coperto da neve e da un po’ di ghiaccio, gli pare tranquillo e quindi non si lega nemmeno, ma a metà “ragazzi, legatevi che è meglio”, mi pareva strano che affrontasse una simile difficoltà in slego, proprio lui che su roccia protegge ogni 2m!
Sale Gianluca, lo segue il suo secondo Giorgio, e poi è la mia volta. Giorgio e Gianluca ripartono già sul vaio che spiana. Segue Roberto legato a Nicola, Cristian legato a me, e mentre esce Federico, anche io e Cristian partiamo. Ora sono Giorgio e Cristian a tirare le rispettive cordate verso quel dosso di roccia laggiù che pare dica “venite qui, vi proteggo io dalle cornici del Cerro Cherle, che poi ormai arrivati a me ve le siete lasciate alle spalle”, mi piace questo messaggio e intendo ascoltarlo, vai Cristian!
Al dosso, sono poco più delle 9, direi che come tempo sia buono, ci mancano poco più di centinaio di metri di dislivello prima di uscire, direi che ormai il seguito è segnato, non resta che uscire. Scambio, io e Gianluca in testa. La pendenza aumenta, le vecchie tracce di chi ci ha preceduto nei giorni (weekend?) scorsi ci confermano la via da seguire, e ci incuneiamo per l’uscita originale: ci si torna ad incassare.
Lo scenario è davvero suggestivo, selvaggio, nevoso. Calma e tranquillità pronti ad esplodere in frastuono e caos. Dietro di noi appaiono altri due alpinisti che avanzano a spron battuto, anche grazie alla nostra traccia probabilmente. Il vaio curva leggermente a sinistra e poi a destra, lasciando scoprire solo all’ultimo momento quelli che sono i prossimi 10m ogni volta. Azz, un salto di roccia scoperta..
Vediamo anche un bel meringone poco prima del salto a destra, non ci piace. Gianluca si ferma un attimo, ehi filiamo su a vedere di metterci in sicura sotto il salto e sopra il meringone: intanto il secondo gufo Gianluca (il primo gufo è Nicola) vede già un film. Saliamo sotto il salto e sopra il meringone, il mio occhio rapace vede un cordino intorno a un masso (terra?)incastrato al quale mi assicuro immediatamente, e così fa Gianluca.
I due veneti ci raggiungono “complimenti al tracciatore, grazie!” “prego tranquillo, vediamo se ora ci restituite il favore” gli rispondo veggente. Nicola (quello veneto, non il nostro) ci supera e inizia ad affrontare il passaggio chiave non senza difficoltà. Il nostro Nicola dovrà fare lo stesso! E iniziamo a perdere tempo..
Parte anche il secondo dei veneti, che ahimè inizia a scaricare neve e sassi che oltre che finirci in testa (sguardo basso, denti stretti e collo rannicchiato a proteggere la fessura del collo che porterebbe la neve nella schiena) sollecita il meringone che si stacca e finisce addosso a chi stà sotto. Breve scivolata per Cristian e Giorgio assicurati alla sosta, un po più lunga per Nicola e Federico fermati dalla prontezza di riflessi di Roberto.
Breve ma intensa, Giorgio botta la ginocchio, Cristian alla caviglia, i due veneti sopra capiscono l’accaduto e ci accordiamo per un aiuto, ci caleranno la corda dall’alto in modo che uno di noi salga da secondo e possa in seguito assicurare tutti gli altri da secondi. Le manovre iniziano a essere lunghe e laboriose, porca miseria, tocca salire a me per primo.
Legatomi alla corda gialla dei veneti, e portando su la rossa di Nicola e un’altra blu, parto per una bella faticata imprecando su ogni appiglio che si rivela essere svaso, per ogni spaccata che si rivela essere precaria, per ogni tacca dalla quale la punta della picca scappa inesorabilmente appena gli si da carico. Ma c’è da stringere i denti e salire, arrivati qui l’unica strada è uscire. Tornare indietro sarebbe più lungo ed esposto a pericoli di caduta cornici del Cerro Cherle che arriverebbero fino a valle.
Senza nessuna eleganza, ma efficacia, riesco a superare il tratto, ma le mani si ghiacciano: ho tolto le muffole per avere più grip (psicologico) sulla roccia, ma queste si sono riempite di neve, e all atto di rimetterle oltre a stare stretto sto anche freddo. Stringi i denti. Inizio a vedere Nicola il veneto lassu, dopo circa 10m di difficoltà sostenute su misto, inizia a spianare ed essere più abbordabile.
Arrivo da loro con sorriso a 32 denti, 11e30, li ringrazio per la collaborazione, ma prima di andare via gli chiedo una mano ad allestire una sosta bella sicura visto che sotto mi sa vorranno fare una fissa con la rossa per salire più agevolmente. Questo tiro di corda ci impegnerà un sacco di tempo, tra difficoltà e manovre e uscita uno alla volta, Gianluca resterà sulla sosta sotto il passaggio chiave quasi 4 ore!
Certo che esser quassù da soli, coi miei amici giù senza possibilità di comunicazione, non è proprio piacevole.. Dopo quasi due ore vedo finalmente Giorgio emergere dal budello, il primo di una lunga serie: Cristian, Federico, Roberto, Gianluca, in poco più di un ora usciranno tutti. Nicola ha attrezzato una fissa con la rossa (la blu che ho portato su essendo 50m non è bastata alla funzione), salito per primo ha fatto sosta alla fine della roccia e facilitato la salita degli altri con anche un mezzo paranco. Poi appena erano alla mia portata di vista, gli lanciavo giu la blu per farli salire da secondi. Un bel groviglio di corde!
Crisitan esce con la caviglia dolorante, Giorgio con gomito e ginocchio, le loro facce parlano chiaro! Io, Gianluca e Nicola rimaniamo a disfare e mettere in ordine tutto, gli altri iniziano a scendere. Nicola ahimè perde il cellulare che si sfila da una tasca dalla cerniera traditrice. Il buon Alberto di Trento il giorno dopo lo ritroverà e glielo spedirà per posta: esistono ancora le brave e gentili persone, ti scalda il cuore.
Come sempre, la discesa è più lunga di quel che sembra, osservo tracce di sci e penso “cacchio che bella neve da sciare” e Nicola “ma te scendi da qui?” “no no, troppo ripido per la mia scarsezza!”. Cristian stringe i denti (complimenti!), ci si ferma per qualche pausa di riposo, ha una distorsione alla caviglia.
Dopo più di 12h siamo di nuovo all’auto. Doveva essere un’uscita formativa, e direi che lo è stata alla grande! Come ha detto Nicola uscendo dal budello “oh, bel vajo eh?!”.

Qui altre foto.
Qui video di Nicola.
Qui report.
Qui la guida di Bellò.
Saluti ai due veneti che ci hanno dato una mano a risolvere una situazione globalmente non semplice.
Ma poi i tre ragazzi sono riusciti ad aprire la via sul diedro verglassato?

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