domenica 22 gennaio 2017

Scorpassata di libero ghiaccio: Cascata delle Nevere

L’anomalo inverno senza neve concede a noi (aspiranti) ghiacciatori alcune perle che non ci si può lasciar scappare: una di queste è la Cascata delle Nevere. La sua scoperta da parte nostra è grazie al Franz, che con un suo report di qualche anno fa ci mette una pulce nell’orecchio che prude, e prude e prude.. Ma deve perdere un po’ di fama in rete prima di poterci andare senza prendere il biglietto stile coop. Il Drugo poi ci fornisce notizie utili sul suo stato di forma
Nonostante i 300 e passa metri in Civetta di sabato scorso, calzare ramponi e armarsi di piccozza ne abbiamo ancora voglia. Il sabato diventa ingestibile data la serataorganizzata di venerdì, ma la domenica..se po’ fa’! E date le buone condizioni che pare ci siano in giro, la sveglia suona di nuovo alle 2, di nuovo si scollina il Passo di San Pellegrino, e arriviamo però a Capanna Trieste un po’ troppo presto: è ancora buio e la cascata non si vedrebbe (e occorre vederla per sapere dove andare).
Il proprietario dell’auto non mi permette di affilare in auto, perciò mi tocca tenerle come le ho: almeno ho un’idea per non consumare i ramponi in discesa. Una volta cambiati e colazionati, possiamo dormire un 20 minuti in auto aspettando le prime luci del giorno. Ed eccoci in cammino, in discesa sulla strada a cercare il ghiaccio! Con la bastionata della Torre Trieste alle spalle, e l’Agner davanti: sogni di roccia.
Lassu eccolo il ghiaccio, ma quello della parte alta, quello basso.. eccolo! Cerchiamo il passaggio per attraversare il ruscello, e solo dopo ci ricongiungiamo alla traccia die nostri predecessori: questo flusso per i locali deve essere un classico e la folla deve essere considerevole. Ma la traccia sembra portarci troppo lontani.. Ricordo vivido della cascata di Cencenighe (cascata che non siamo manco riusciti a trovare), e allora andiamo a naso, finendo dentro il greto del ruscello alimentato proprio dal nostro flusso.
Ora di armarsi di tutto punto, e parlottando “Eh mi sa che oggi a scendere torno a fare piatta la punta del rampone” “Eh infatti Giorgio temendo questa cosa.. mi son portato dietro i ramponi da discesa, ne ho due paia!” “Ma sei un cane, potevi dirmelo!” ma non credo che si sarebbe portato altro peso nello zaino, solo io posso concepire e attuare idee così strambe. Cose già fatte tral’altro.
Il muretto è però ancora lontano, non stiamo a legarci per queste poche decine di metri di rampe saltini e camminamenti: preludio alla parte più spassosa della cascata, quella centrale! E via a spicozzare allegramente e liberamente tutto ciò che ci capita a mano, fino ad arrivare ai piedi del muro: no beh, ora ci si lega va la. E mentre ci leghiamo, mannaggia, arriva altra gente: una guida (educatissima, che chiede il permesso di salire ma a lato, e poi in sosta si scuserà se ha dato fastidio) e un’altra cordata. Ne arriveranno altre quando noi saremo più su.
Parte Giorgio, che attacca al centro: a sinistra pare ben più duro e delicata, a destra pare esile e molto bagnato. Oddio, davanti a noi un bel mare di meduse che mi ricorda una giornata febbricitante e col cuore in gola, ma senza gola. Il mio amico sale guardingo cercando i punti deboli tra le meduse e anche dei buoni punti per metter giù viti: intanto gli altri ci superano bellamente..
Lo raggiungo mentre qualche altra padella cade dall’alto, pronto a ripartire subito per cercare di velocizzarci prima che arrivino altre cordate. Il secondo tiro svirgola tra la dolomia, è facile ma estetico in mezzo a queste rocce. Scambio due chiacchiere con l’altra cordata “da dove venite? Ah però, sveglia presto stanotte per voi, io mi sono alzato alle 7!” e un vaffanculo bonario è d’obbligo.
La corda sta finendo ma la sosta è lassu: ci arrivo per un pelo, arrampicando nel tentativo di non rovinare le punte dei ramponi. Quando Giorgio arriverà e mi chiederà come sia stato salire su roccia fino alla sosta “Diciamo che mi son cagato meno a dosso a montare i mobili dell’Ikea”.
Riparte Giorgio, ormai le altre due cordate ci hanno seminato. Tiro facile anche il suo, non fosse per quel muretto di meduse ancora più vive e numerose, e un po’ delicate. Per ora non fa nemmeno freddo, riesco pure a togliere i guanti per manovrare la corda. Guanti che non metterò per il traverso su roccia per andare a guadagnare il ghiaccio senza scendere sotto la sosta.
Raggiungo Giorgio a S3, giusto a lato di un buco nel ghiaccio sotto il quale scorre il ruscello, cercando di non farci finire le corde dentro prima che assumano un aspetto.. al viagra. E adesso? Uno sguardo lassù e il resto della cascata è parecchio lontano. Procedere in conserva, legarsi.. Ma dai va la, siamo sgaggi, facciam su le corde e partiamo in free, partiamo in libertà.
Ma che spasso.
Per questa gioia occorre ringraziare la mancanza di neve: si può infatti risalire tutto il flusso di acqua solidificata tra rampe, saltini, camminamenti, passaggi di misto, tunnel, passi del gatto. Mediamente tutto facile, ma con un bel passo di roccia di III (+?), e alcuni salti che seppur brevi sono belli dritti. Ma tutto liberi da restrizioni di corda e protezioni: stiamo calmi, da qui al free puro ce ne passa eh.
Il percorso non è nemmeno obbligato, libero, e infatti in svariati punti io e il mio amico prendiamo strade diverse, rampe diverse, salti diversi. Sono centinaia di metri di puro godimento, come mettersi a tavola e spiluccare prelibatezze all’infinito, senza un piatto intero che ti intasa, ma tanti e frequenti morsicotti alla tua pietanza preferita.
Il tutto poi con la quasi costante visuale sulla torneggiante Torre Venezia, e a volte con la vista sulla bastionata di ghiaccio lassu, alla fine di questo perigrinare tra rocce, ghiaccio, sul greto di un torrente allegro e baldanzoso come chi lo sta risalendo.
Il percorso inizia a farsi un po’ incassato, tortuoso, sulla sinistra inizia a ergersi un muro di roccia, il ghiaccio più continuo come verticalità. Ed ecco una sosta a spit sulla sinistra, e qualche decina di metri più su una zona di ghiaccio piuttosto verticale: mi sa che sia ora di rilegarci, ma con una sosta su ghiaccio proprio ai piedi di questo muretto.
Beh tocca a me ora, e che cacchio! A sinistra più difficile che a destra, ma fattibile, quindi via a sinistra! E ripenso al discorso del montare i mobili dell’ ikea durante la mia salita.. E superato questo muretto e una breve rampa, wow: si entra in uno stretto anfiteatro dove le possibilità di salita sono molteplici. O subito a sinistra, oppure proseguendo nel canyon e salendo di nuovo a sinistra (vedo impegnata la cordata di ragazzi “Io mi sono svegliato alle 7”, ragazzi che parevano ben più bravi di noi ma che su quel muro mi paiono in affanno) oppure tutto in fondo, ma non vedo bene laggiù, anzi mi pare sia secco o non salibile.
Beh, vuoi mettere non aver nessuno sulla testa? Io salgo qui a sinistra, dove tra l’altro mi pare sia salita anche la guida (li vedevo quando risalivamo in libertà), senza andarmi a complicare la vita con difficoltà dove quelli più bravi di me faticano. Che poi, in realtà, non so cosa mi aspetti qui sopra.
Il muro iniziale (va beh, sono a metà corda, ma è come se avessi ricominciato) non è mica tanto appoggiato, e la qualità del ghiaccio non è delle migliori (oggi sempre, salvo rari metri). Ma non lamentiamoci troppo va la. La progressione abbassa il grado di pendenza e posso vedere una bastionata di ghiaccio notevole: parco giochi, happyness. Tiro tutta la corda che c’è fino a farne sosta alla base, a 7m da un’irraggiungibile sosta su spit.
Giorgio arriva in sosta con una poetica frase “Devo farmi più seghe con la mano sinistra!”, condivisibile a dirla tutta, ma magari ci sono allenamenti che possono dare più profitto. Riparte, e dopo pochi metri “Beh c’erano saltini sul tratto centrale ben più duri!”, ma passata la metà corda lo vedo bello impegnato lassù in parete! Dai forza, pochi metri, sosti, e a me il finale! Ma oggi la parole “fine” potrà esser pronunciata solo alla strada.
Beh dai, come ultimo tiro è piacevole, non difficile, ma immerso in questo mare di ghiaccio dalle mille forme, bubboni, medusette, candelotti affilati sopra la mia testa (e quando ne cadrà uno in modo autonomo, metterò il turbo alla salita), dove occorre svirgolare alla ricerca della linea migliore, ci si appaga. Un murettino, e poi il passaggio sotto quelle meravigliose ma fragili formazioni di ghiaccio, i capelli di telespallabob.
Fuori dal ghiaccio non posso arrivare però, devo fermarmi se no rischio di bombardare il mio amico e non trovare una sosta decente. Giorgio mi raggiunge informandomi di aver vissuto qualche attimo da pugile, ma da pugile che le ha prese: in particolare un cartone sul naso, quando la candela autonoma è scesa verso il basso.. Poveretto, anche oggi..
Qualche metro di ghiaccio, i mughi congelati, e alla fine una bella pianta dove può far sosta e recuperarmi. Ma che bello, ma che fame! Per me è stata più dura Paperoga, per lui il contrario, bella varia la vita. Mangiamo qualcosa, anche un frettoloso Mars che era meglio aspettare ma vabbeh, e alla conta delle viti, porca miseria, ne manca una mia da 19: ma dove diavolo sarà caduta o dimenticata?! Uehhhhh
Giorgio dice: “scendiamo subito, niente giro sul sentiero verso il Rifugio Vazzoler”, ma un po’ forse ce ne pentiremo. Cambio ramponi per non rovinare le punte da cascata, e ben presto siamo su un nuovo bubbone di ghiaccio ma con la vista della Moiazza dietro. La signora Moiazza! Il resto è una discesa tra ripidi mughi seguendo una traccia abbastanza marcata e afferrando i tronchi, tronchetti, rami, rametti come se fossero le liane di Tarzan.
Bosco di foglie che spiana, e ora alla selletta dovremmo trovare segni di discesa: invece no, le tracce continuano chiaramente sul crinalino che risale, risale, un bel punto panoramico ma le tracce pare finiscono qui. E invece mi sa che le due cordate scese prima di noi sono scese di qui e sanno una strada che noi non sappiamo. Indietro sui nostri passi, e di nuovo bosco scosceso che di regala qualche culata a terra e (per fortuna) solo pochi metri di scivolamento.
Io rimpiango il sentiero, ma vabbeh. Giorgio avanti, io mi spoglio che sto sudando da bestia: si ferma, tocca fare una doppia. Abbiamo il dubbio di non essere nel canale giusto, ma c’era solo questo mi pare, altrimenti si tornava nella cascata.. A casa scopriremo che si tratta del canale giusto, ma forse con un tappeto di neve è un pelino più comodo.
Doppia su mughino, sotto di noi un grottone e di la una cascatella. Giù per la ghiaia instabile, e speriamo che sia giusto e che non troviamo altre sorprese. Ecco qualche sorpresa, passi di disarrampicata, spaccata in canyon-diedro per evitare il ghiaccio, finchè.. finchè.. il ghiaccio non si può più evitare, siamo dentro un altro ruscello coi suoi saltini. Rimetti i ramponi e prendi le picche.
Signori e signore, oggi dopo aver imparato come si sale il ghiaccio, impariamo anche come si scende! E quanti metri scesi, con qualche saltino anche drittino: rispetto alla salita ci divertiamo un po’ meno, timorosi di nuove sorprese, affamati e assetati, e con la voglia di una doccia calda (che negli ultimi tre tiri del freddo l’abbiamo preso).
E dopo la vite persa, altro dispiacere ramponando la ghetta del rampone scivolando sulle rocce. Argh… Ghiacico, roccia, ponti di ghiaccio che crepano sotto il mio peso piuma, e accidenti e imprecazioni che volano sui miei scarponi nuovi.. Ma laggiù la strada c’è, dai mo, mentre Torre Venezia e Trieste si tingono di rosa: partiti con l’alba, torniamo col tramonto.
La Val Corpassa ci regala un’altra bella e lunga giornata di ghiaccio: forse in due uscite abbiamo pestato più ghiaccio che in tutto l’inverno scorso, spettacolo! Spettacolo i panini e il the ancora tiepidino che ci aspettano in macchina e che trangugeremo risalendo al Passo San Pellegrino. Chi dorme non beve birra, e infatti il brindisi alla giornata di oggi è rimandato. A presto però!

Qui altre foto.
Qui racconto e relazione.

E se qualcuno ritrovasse la vite persa..

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