domenica 1 gennaio 2017

Capodanno Alpinistico! Canale Est al Care Alto

Quest’anno l’occasione non me la posso lasciare scappare. Sono libero, non mi sono impegnato in cene varie o cose simili: mi sono tenuto libero sperando nel meteo e di trovare qualcuno. Ma se anche non trovo nessuno e il resto delle stelle è ben allineato, sono deciso ad andare anche da solo. Ultimo e primo dell’anno voglio farli in montagna, in modo alpinistico: è l’anno buono.
Il meteo c’è, la meta la trovo grazie a un amico che settimane fa l’ha percorsa, la compagnia arriva ormai insperata a una decina di giorni prima dell’evento: Riccardo. Altri due ci abbandonano, e perciò siamo noi a tentare questa sorta di idea folle quanto geniale. La meta viene confermata essere il Canale Est del Care Alto (montagna già tentata anni fa con Marco), nonostante l’esperienza di pochi giorni fa in Presanella che mi ha fatto ben abbassare le orecchie.
Con calma (troppa?) entriamo nella fredda e ombreggiata Val Borzago, fino a un ruscello semighiacciato che interrompe la strada poco prima di Pian della Sega: si parcheggia e ci si cambia al freddo, si spartiscono le ultime cose tra gli zaini e.. oh issa! Quanto peseranno i nostri zaini?! 15kg? 18kg? Di più spero di no, altrimenti siamo dei muli da soma! In ogni caso, degli asini da montagna, lo siamo.
La cima agognata si vede già, ma quanto è lontana. Meglio non pensarci, non far caso alle spalle che già gridano vendetta, e pensare solo a mettere un passo davanti all’altro, nella speranza di arrivare presto al sole per due motivi: innanzi tutto un po’ di tepore, e secondo vuol dire che siamo prossimi al Rifugio Care Alto. Beh, terzo perché ci siam promessi che mangeremo e berremo solo allora.
Ricordo una salita lunga, noiosa, monotona. E infatti. Solo qualche risata tra amici allieta questa sofferenza: sofferenza che se sommata al mangiare non proprio bene, al freddo, viene naturale chiedersi “ma chi te lo fa fare?”. Non si può spiegare.
I metri di dislivello preferisco non pensarli. Guardiamo l’unica cosa carina che possiamo osservare: dei flussi ghiacciati. E su uno di questi c’è una cordata (che si cala? mah), e risolviamo una delle auto al parcheggio, ma ne restano due: la paura di trovare il bivacco affollato è tanta.
Il ponte dello Zucal presenta un’insidiosa uscita su cumuli di ghiaccio, due ragazzi davanti a noi faticano a venirne fuori. Poco dopo sorpasseremo Mattia e Andrea, che ci dicono avere le nostre stesse identiche intenzioni. Rimane un’auto all’appello. Più su anche lei scioglierà il mistero: è un escursionista che sta scendendo.
Altro ghiaccio che obbliga a muoversi di lato al sentiero e quasi arrampicare, poi traversone al sole sulla neve, dove “semino” il mio amico perché ho troppa voglia di tepore, di mangiare e di bere. Vedo il rifugio, lassù: uguale all’altra volta, sembra a due passi e invece è lontanissimo. Ma già dalla partenza si vedeva, ma tranquillo Ricky, abbiamo fatto di peggio (Mishabelhutte) e faremo di peggio!
Su una dorsale mi fermo a mangiare e bere aspettando il mio amico: non lo so, ma ho perso le tracce del sentiero vero seguendo delle vaghe che andavano troppo a sinistra. Infatti dopo questa pausa saremo costretti a inerpicarci su una dorsale che poi diventa pendio, tra rocce, neve, erba, buchi nascosti. Un piccolo calvario per arrivare al rifugio.
Finalmente dopo 3h30 ci siamo. Prima operazione, portare su gli zaini: cosa non facile, la scala con gabbia con protezione alla schiena non concede di salire con lo zaino. Il menhir-zaino deve essere issato. Seconda operazione, preparare il letto e imbandire il tavolo. Terza, scendere e mettere le gavette a raccogliere l’acqua di fusione che scende dal tetto. Quarta, andare in esplorazione.
Emanuele mi ha detto di fare un lungo giro verso sinistra e solo tardi risalire, cosa poco intuitiva ma a detta sua molto comoda. Mattia, e la vista della nostra meta dritta a noi, dicono di tirare su dritto in mezzo ai massi semisepolti. Partiamo seguendo le indicazioni di Emanuele, ma troppe e deboli tracce non ci fanno capire una mazza e alla fine puntiamo il Care Alto e buonanotte.
Un po’ si sfonda, un po’ si tiene, ci avviciniamo alla cresta, ecco i segni del sentiero per la Bocca del Cannone. Riccardo si ferma a guardare da vicino il granito e arrampicarlo, io continuo poche decine di metri. Vai a caga, facciam poi domani, andiamo al “caldo” a farci da mangiare.
Al rifugio accendiamo i fornelli (ne abbiamo presi due apposta per fare di più) alle 16e30 e li spegniamo alle 20e30 per fare non so quanti litri di acqua e cucinare. A ingegnarsi su come fare un imbuto per versare l’acqua nelle bottiglie, a filtrarla. Il tramonto sul Brenta scema senza quasi che ce ne accorgiamo.
Gran cenone di capodanno, il menu è cosi composto:
- Pasta e fagioli (liofilizzata)
- Riso con funghi di almeno un anno e mezzo fa (liofilizzato)
- zuppa di verdure e cereali arricchita (liofilizzata) con fagioli in scatola
- prosecchino da 375ml da dividere
- fetta del porco-pandoro (all’interno cioccolato e crema) che era per la colazione di domani
Il tutto a lume di frontale. Bon appettit!
Finita la pappa, finita l’operazione scioglimento neve, laviamo il lavabile, ultimi preparativi, pipì. Riccardo se ne sta fuori a fare qualche foto alla splendida stellata che ci culla e coccola in questa notte vissuta molto diversamente dalle altre persone. Sbeffeggiamo il salto tra il 2016 e il 2017 infilandoci a letto alle 21, molto più tardi di quello che avrei pensato.
Sono le 4, sveglia. Dei due ragazzi che sono qui con noi, Andrea aveva già deciso di non proseguire oggi; Mattia, al suo terzo tentativo alla salita del Care Alto, e sempre dal Canale Est, viene con noi. The caldo, finiamo il porco-pandoro perché di portare del peso a valle che sia cibo non ne abbiamo intenzione, e poco dopo le 5 si parte. Prima salita dell’anno, come andrà?

Intanto va che la traccia di ieri mi pare la perdiamo presto. Si finisce a ravanare in mezzo ai sassi, lontano dalla cresta, passando da bella neve portante dove i ramponi mordono che è un piacere, a neve sfondosa dove i ramponi soffocano sotto la neve (o si spezzano i denti sulle rocce sotto). Proseguiamo, ma puntiamo a salire verso la cresta. Si trova qualche segno affiorante dalla neve e lo si segue.
Ci vorrà 1h30min per arrivare al cannone, con le prime deboli luci che accendono l’orizzonte. La prima alba dell’anno è uno spettacolo: a parte la location, la neve pronta a riflettere tutte le tonalità che la colpiranno, si vede distintamente anche l’Appennino, e proprio dove deve sorgere il sole c’è qualche nuvolaglia pronta a rendere i colori ancora più vivi.
E noi, anime erranti, qui da sole a goderci questo spettacolo, ad assaporare questi momenti, a puntare alla soddisfazione della vetta, a sperare che la Montagna sia con noi mansueta e amica.
Poco prima di mettere il naso a fianco alla Vedretta di Conca, una pausa per bere e mangiare qualcosa. E io per prendermi una bella ramponata sullo stinco dal mio “amico” che arretra prima che io gli abbia chiuso lo zaino che conserva sulle sue spalle. La Presanella è la davanti Giorgio tranquillo, che quest’estate ci prendiamo la rivincita.

Ci siamo tenuti sulla dorsale, ora scendiamo brevemente per poi risalire un bel pendio ripido che mi fa temere il grosso lastrone: meglio stare molto a destra, vicino alle rocce, anche per evitare i crepacci che a breve si intuiranno. Il sole esce allo scoperto, e la luce sulla neve è il colore della tenerezza.
Usciti dal pendio, bello ripidino, non ci leghiamo: tutto sembra bello coperto e piatto, e ce ne staremo sul lato destro vicino alle rocce. Anche la terminale è bella tappata da un conoide nevoso. Dai che la frizzantezza della cima pare vicina. Ma presto per cantare vittori, la neve di nuovo gioca con la nostre sorte: un po’ dura, un po’ molle, avanzare è tutt’altro che esente da fatica.
Alle 8e30 siamo alla base del conoide sotto al canale, le picche sono in mano già da un po’ e possiamo quindi salire di corsa per evitare che il sole caldo faccia il solletico agli accumuli che potrebbero esserci. Di corsa sarebbe bello, ma la neve non lo permette.
La prima parte è goduriosa, quasi quick quick, una gioia esser davanti a Mattia e Riccardo per poter calcare per primo questa materia bianca che tanto ci attira. Mi fermo spesso sia per prendere fiato, ma anche per guardare su, giù, a destra, a sinistra. Un bel canale in mezzo a queste rocce me lo sogno da tempo.
La seconda parte fa cagare. Si riesce a salire, ma 50°/55° così non sono spassosi. Vedo l’uscita, ma non arriva: non mi spiace nemmeno troppo all’inizio, così mi godo a lungo il luogo e l’attività che sto vivendo. Poi però basta, non posso addormentarmi qui, dai c’andom!
Niente cornici in uscita, o meglio una c’è ma è evitabile facilmente (oddio, passare da 70° a 0° non è proprio banale), ma un vento gelido che rompe le balle. Non posso aspettare i miei compagni d’avventura qui e così, la vetta è a 30m, vado la e mi vesto. Una bella arrampicata di lame, ed ecco la croce.
Prima cima dell’anno, primi panorami dell’anno, primo libro di vetta. E primo vento gelido che non te la fa godere! Subito la giacca o muoio aspettando qui due.
Foto di rito, ma è presto per festeggiare: scendere la canale di sinistra (faccia a monte) non ci pare il caso, quindi optiamo di comune accordo per scendere da dove siamo saliti. E non sarà comodissimo, perché con questa neve che da poca fiducia, che ogni tanto presenta pezzi duri, ci si mette un’eternità: scendiamo faccia a monte, come i gamberi.
Mamma mia quanto dura questa discesa! E che caldo! La giacca messa in cima me la devo togliere o sublimo: ma che razza di primo gennaio è questo?! Scendendo per ultimo resto indietro, non vedo più ne Riccardo ne Mattia che stanno già traversando a lato della vedretta. Finalmente sono giù sul conoide, fiuuu, perché questa parete al sole mi faceva paura da un po’.
A ritroso la strada di stamani, quel pendio ripido a fianco dell’ultima lingua della vedretta, ma ora la possiamo quasi correre, fino a tornare al masso della pausa di stamane. Spogliarello (che caldo!) e mangiata da nababbi. Ora sì che possiamo dividerci il Mars di vetta di tradizione, ridere, scherzare e stringerci la mano. Mattia poi è particolarmente contento dopo i due tentativi passati stavolta è andata bene!
Invece che seguire la dorsale di stamani, stiamo nel vallone, trovando una neve migliore: accidenti, a saperlo stamani! Un’altra visita al cannone e poi ancora giù, ma sprofondando sempre più in mezzo a questi massi-squalo che non vedono l’ora di catturarti una caviglia.
Dalla cima al rifugio in 2h: il viceversa era 4h30. Ora ci godiamo il sole caldo, a petto nudo, mangiando, bevendo (tanto!) e preparando gli zaini per tornare giù, dentro i quali non c’è più cibo.
Dopo 1h di svacco meglio ripartire prima che ci si addormenti o che si resti ingabbiati in questo piccolo paradiso, la discesa è ancora lunga e noiosa. Almeno prendiamo il sentiero giusto, i ramponi aiutano a superare quei tratti di ghiaccio tra il pendio del rifugio e l’ingresso nella valle ombreggiata, e siamo più veloci.
Anche al Ponte dello Zucal (dopo che Riccardo ha perso una rondella della bacchetta che gentilmente un ragazzo ci riporterà all’auto mentre ci cambiamo) il ghiaccio non fa più paura, lo mordiamo coi denti delle nostre protesi ai piedi, tie! Ma dov’è la macchina?!?!
Sembra infinita, forestale, carareccia, ecco Pian della Sega! Una panchina dalla quale ammirare la cima del Care Alto lassù e laggiù: uno stanco Riccardo che ci si siede e “Ma porca miseria eravamo la?! Ma quanto è lontano?! Ma più!” eh sì, mai più, te l’ho già sentito dire altre volte!

Qui altre foto.
Qui report.

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