giovedì 29 dicembre 2016

Rischiando il cul-de-sac: tentativo alla Cresta Est della Presanella

Una settimana di ferie dal lavoro, delle giornate di alta pressione, poca neve in giro che rende le condizioni tardo primaverili, tanti sogni nel cassetto. E noi che mentre saliamo una montagna stiamo già sognando la prossima.. siamo già sull’attenti! Il progetto era un altro, ma la sera prima quel “vento forte” previsto ci fa ben dire “eh no, non mi ci infilo in un canale o in una goulotte col vento forte!” (vedi Pisgana tentativo): meglio una cresta!
Ed eccoci allegri e baldanzosi in viaggio verso la Val d’Amola: io ci sono già stato l’anno scorso per una bellissima e indimenticabile infrasettimanale con Nicola quando abbiamo salito il Couloir dell’H al Monte Nero. Giorgio c’è stato due settimane fa per un tentativo finito proprio per i troppi spindrift lungo le pareti dello stesso monte. E stavolta come andrà?
Sappiamo bene che si tratta non certo di un itinerario invernale. Ma le condizioni viste in giro, i report letti, la poca neve, le temperature e il meteo, ci fanno pensare (sperare) che questo clima anomalo possa aver reso possibile questa salita.
Saliamo con calma al Rifugio Segantini, fretta non ce ne è e di caldo invece sì, tanto che le maniche corte non sono per nulla un azzardo: dentro i nostri zaini abbiamo poi il cambio per domani, oltre che scorte e scorte d’acqua e di cibo. Insomma, le nostre spalle gridano “assasini!” ma i nostri cuori e le nostre menti sono sempre più felici man mano che saliamo i pendii scarsamente innevati.
In vista delle cime e della Cima (quella che speriamo raggiungere domani) dei bei pennacchi di farina ci fanno capire quanto vento tiri lassù: va bene, che si sfoghi pure oggi, domani stia calmo e saremo felici! In 1h10min arriviamo al rifugio, sistemiamo un po’ le nostre cose (al momento siamo soli) e poi partiamo in esplorazione in modo da vedere un po’ più da vicino cosa ci aspetta domani e soprattutto tracciare un po’ della strada che faremo a buio.
Finiamo sulla normale per la Presanella, già anno scorso con Nicola avevamo cannato di brutto e saliti troppo in alto per poi scendere in un non bello canalone. Stavolta deviamo prima, ma non abbastanza, al ritorno faremo di meglio. Passati al di la della morena, alla ricerca della neve pressata della traccia per il Monte Nero, raffiche di vento ci buttano un po’ giù il morale.
Avanziamo in mezzo alle raffiche, in mezzo alla valle, una traccia che si vede e non si vede, e se la sbagli vai giù. La Bocca d’Amola la davanti, ovviamente nessuna traccia che ci arriva e un percorso che sarà da cercare. Dopo 45 minuti in mezzo a una vento che gela il coppino, torniamo indietro per iniziare a farci da mangiare. Godendoci la vista sul Brenta.
E poi un bellissimo tramonto sul Brenta.
Al bivacco siamo ancora soli, iniziamo a farci da mangiare anche se sono ancora le 16e30: tanto fame ne abbiamo, e se andiamo a letto presto prestissimo non ci fa certo male. Freddino il locale, come Cristian al Bivacco Messner mi metto le moffole sui piedi per trovare un po’ di sollievo. L’appetito non manca, il cibo nemmeno.
Quando ormai la cena è finita, alle 18e30, arrivano altri due alpinisti: sparecchiamo veloci per lasciarli posto, mentre noi ci infiliamo a letto. La sveglia suonerà alle 3, e nonostante tutto sarà da mesi che non dormivo tante ore di fila! E ho pure dormito bene, nonostante il freddo nella stanza le due coperte sotto e le tre sopra han fatto il loro dovere.

Eccoci, suona, è ora: giù dalle brande. L’incognita del vento, che nel pomeriggio di ieri tirava solo nella valle sotto la Bocca d’Amola, ma la sera anche al rifugio, è presto risolta: c’è. Va beh, siamo qui, proviamoci: in fondo sulla carta le difficoltà non sono eccessive, ma in invernale chissà. Colazione ricca e silenziosa nel rispetto di chi ancora dorme, e alle 4 mettiamo fuori il naso per iniziare la nostra scalata.

Arrivare alla Bocca d’Amola non sarà facile. La neve è davvero variabile. Finchè resti sulla traccia per il Monte Nero si va anche bene: ma questa traccia si vede poco ed è spesso cancellata: in ogni modo, poi finisce. Al buio orientarsi non è facile, niente luna ad aiutare, ma verso il cielo quella bocca un po’ si intravede e la puntiamo.

Andiamo troppo avanti, occorre risalire una morena, ripida. Una debole luce ci mostra meglio dove andare, mentre il vento di nuovo imperversa: meno di ieri per fortuna, ma di certo da “fastidio”. Il Brenta si colora, e si prende fiducia: nonostante tutto, il cielo stellato che c’era prima e l’alba di adesso sono già dei bei motivi per essere qui. Ma anche la cima sarebbe bello..

Mi pare che siamo troppo veloci, intimo a Giorgio di ostinarci ad andare più piano, o arriviamo all’attacco che è ancora buio. Gli ultimi 100m per risalire alla Bocca d’Amola si mostrano pure ostici. Pendio a 45°/50° con tratti con neve brutta, altri ottima, altri materiale “instabile”: penso già che se ci fosse da tornare giù da qui.. sarebbe poco piacevole. Meglio non pensarci o non salgo più.
Dopo 3h30 siamo finalmente alla Bocca d’Amola, in balia di un vento impetuoso che gela anche il cu.. . Vorremmo fare pausa e mangiare, ma non ci si sta, meglio spostarsi. Il sole ancora non è sorto ma manca poco, quindi possiamo vedere cosa fare, 3 opzioni secondo relazione:
a) Scendere sul ghiacciaio lato nord, traversare e poi risalire il pendio verso la selletta: che tormento questo ghiacciaio!

b) cercare una cengia di massi instabili che aggira tutto stando sul versante est: dov’è? Non c’è nemmeno una foto perché non c’è la cengia
c) salire in groppa alla cresta: più difficile ma.. ci pare l’unica cosa sensata da fare.
Pendio ripido ma di neve discreta, pareva più piatto da basso, invece mentre salgo capisco che anche tornare giù da qui sarebbe mica facile. Non pensiamoci, è già il secondo tratto dove lo penso, andiamo male. Una roccia intermedia affiorante obbliga a un passo di misto dove se perdi la presa.. meglio non pensarci.
Guardo verso il mio amico, intanto il sole è uscito e la sua luce tenue illumina tutto di dolcezza. Niente a che vedere con l’asprezza del vento che mi fa odiare ancora di più l’ombra in cui sto “passeggiando”. Ed dai, lassù ci sarà un posto comodo dove fermarsi per mangiare, bere e prepararsi a dovere per la scalata!
Dopo 10minuti scarsi dalla partenza dalla Bocca d’Amola, trovo finalmente un luogo dove si possa stare discretamente comodi, o meglio un luogo dove tra massi incastrati e pendenze lontane, non si rischia di finire di sotto. Un luogo dove porca miseria tira ancora vento. Un luogo dove il sole però ci illumina. Sotto un masso incastrato gigante, un luogo che rappresenta un bel nido d’aquila. Molto romantico, non fosse per il freddo, il vento, e che sono in compagnia di un uomo (e a me piacciono le donne).
Mangia e bevi, fuori frineds nut e cordini che ora c’è tanta roccia pare, e ci sta. Dopo la sosta romantica e non troppo confortevole, parto io, in conserva lunga protetta, e con una sola mezza corda. Vacca che bello. Io sono scarso, ad arrampicare ho un grado basso, a far cascate ho un grado basso, ma quando mi diverto, mi diverto.

Qui le difficoltà non sono certo estreme: III? Però i ramponi, le picche sempre in mezzo alle balle, il cercare l’itinerario, il vento, il freddo, la neve a volte copre i passaggi, i massi instabili, il sapere che non è proprio stagione per questo itinerario.. qui si fa avventura dai (almeno per me). Mi diverto.
Ma penso ancora che se c’è da tornare giù di qua, son uccelli per diabetici. Massi mossi, spuntoni non sempre solidi, una sola mezza corda: se c’è da calarsi, ci si tira in testa di tutto. Non pensarci. Salgo e salgo, mi pare di esser veloce e invece non lo sono davvero. Dopo tanto stare molto sotto la cresta vera e propria, intravedo una sella: bene!
Pensando sia quella dove le difficoltà finiscono, tiro un sospiro di sollievo. Mi pare aver fatto km, in realtà “solo” 120m di corda. Lascio la sella dove è impossibile fare sosta, e siccome il materiale è finito, cerco dove attrezzarne una: un sistema di massi fa al caso mio e mi invento qualcosa. La davanti un bel gendarmone e la vista di una nord spelacchiata e di una cresta che (la prima parte non la vedo) poi pare salire poco pendente anche se incrostata di neve. Sono ottimista.
Arriva Giorgio, son carico, lui mi dice “oh bravo, anche per aver trovato la strada” e io, accidenti a me che gli rispondo “grazie, ma chi ti dice che sia quella giusta?”: bon, me la sono tirata. Cambio della guardia, va avanti lui.
Sembra che passi un’eternità. La sosta purtroppo è all’ombra e al vento. Credevo fossimo alla sella dopo la quale tutto diventa più facile, quindi non capisco proprio come mai il mio amico ci metta tanto: non avanza, sembra quasi torni indietro a tratti. Non posso vederlo, aspetto fiducioso, scruto la cresta rimanente verso la cima (non poca ma “ovvia”), e prego di potermi muovere presto.
Ma la corda non va avanti. Vedo sollevarsi molta neve la davanti, che sia in bilico su una cresta affilata al vento? Provo ad alzarmi e vedere più in la. Eccolo, dai Giorgio va avanti! E invece no. Passo dal muovermi in modo scomposto al ballare per tenermi in movimenti e “caldo”: non serve a nulla. E la corda avanza solo di qualche cm ogni tanto. Inizio a vederla grigia.
Mi rialzo spesso per vedere più lontano. Eccolo Giorgio, proviamo a comunicare, sento “vicolo cieco, non so dove andare”. Porca puttana, tornare giù da qua in doppia ho paura. Inizio a valutare la chiamata al 118 se non riusciamo a proseguire. Chissà quante doppie dovremmo fare a scendere, quanta roba ci tiriamo addosso, uh mamma.
“Vicolo cieco, io da qui non riesco ad andare avanti: ci sono placche inclinate a 60° con un pelo di neve sopra, poi mi pare di vedere un salto di almeno 30m per arrivare alla selletta”, brutte parole da sentire in questo momento, in cui la bellezza di essere da soli su questa montagna diventa.. angoscia di essere soli. Ma dai, ce la possiamo cavare. O no?
Il mio amico sparisce di nuovo, e dopo un certo lasso di tempo in cui spero con tutto il cuore che stia progredendo perché è riuscito a trovare una cengetta o che so io, la corda finisce. Avanzo, mi scaldo, alleluja, spero. Prego. Poi eccolo la, quasi sotto quel gendarme che mi ricorderò per lungo tempo, in sosta.

Senza raggiungerlo decidiamo il da farsi: “Giorgio quindi? Da come me la descrivi nemmeno io ci riesco, poi se non te la senti da primo, nemmeno da secondo in conserva te la puoi sentire, e se c’è da fare una doppia che poi non riusciamo a tornare indietro, siamo fregati. Ci mettiamo in trappola.” Però cazzo, se non mi recuperavi ma tornavi in sosta, perdevamo meno tempo.. Affiora un pelo di nervosismo.

Torno sui miei passi, fino a dove avevo fatto sosta, e la rifaccio questa sosta, tirando già fuori dallo zaino l’occorrente per fare le doppie, e abbandonare del materiale. Recupero il mio amico, chissà che ore sono. “Gio, ce la facciamo o chiamiamo i soccorsi?” sono un po’ teso e preoccupato. La fatica psicologica oggi la sento, ma mi ribecco subito quando il mio amico mi “conforta” con un “ma no dai, ce la facciamo: saranno poi 4 doppie per arrivare al masso incastrato dove ci siamo legati”.

4?! Pensavo 10! A vedere quanto è più in basso la Bocca d’Amola poi! Va bene, calma e sangue freddo, inizia la ritirata. In realtà saranno 3 da quasi 30m per arrivare quasi al masso, poi 1 altra per giungere quasi alla Bocca d’Amola, e altre 2 per lasciare quella porta oggi maledetta: 5 doppie per 3 cordoni, 3 fettucc2, e 2 chiodi. Abbiamo solo una corda da 60m.
I cordoni che Riccardo mi ha dato l'altro giorno diventano d’oro. Ho una paura tremenda che sia noi mentre scendiamo, che la corda mentre la recuperiamo, saranno fonte di sassaiole in testa: il primo che scende butta giù le cose più instabili, ma sono tante. E ogni masso che butti giù, viene su odore di bruciato quasi..
La prima doppia già non è facile: scendo io, c’è da traversare un po’ alla fine e da risalire verso quello spuntone che un paio d’ore fa ho guardato con sospetta preveggenza “che bello spuntone da doppia”. E su questo va la seconda doppia capitanata da Giorgio. Al recupero della corda della seconda doppia, questa fa un giro strano in mezzo a dei massi e si incastra. Porca puttana anche questa.

Almeno abbiamo corda a sufficienza in modo che il mio amico possa risalire assicurato a disincagliarla. Sale con poca fatica il mio amico, arriva alla corda e la fa scendere: ma disarrampicare non si fida a farlo fino giù, quindi giù un altro cordino e una maglia rapida per essere calato in moulinette. E anche questa è fatta. Dai che ce la caviamo.

Non stiamo bevendo e mangiando nulla, ciò non va bene, ma ora pensiamo alla pelle, pensiamo alla ritirata. Il balcone romantico non è lontano, ma è molto di lato rispetto alla discesa delle corde. E laggiù vedo il saltino di misto del pendio di neve iniziale che non vorrei disarrampicare. Qualsiasi Dio sia in ascolto, ti prego fa sì che ora mi calo e trovo qualche roccia affiorante in mezzo alla neve per metter giù qualcosa e fare un’altra doppia per superare quel salto.
Un masso affiora, percorso da una bellissima e sinuosa fessura verticale: la fessura più bella che io abbia mai visto. Un po’ larga, è vero, ma i chiodi entrano che è un piacere, non “cantano” a pieno, ma la veritcalità della struttura fa ben sperare sulla tenuta complessive della sosta. Grazie a questa fessura, riusciamo a superare il tratto ripido e quello di misto fino a depositarci sul pendio di neve a 40° che poi in breve ci porta alla Bocca d’Amola.
È quasi fatta. Quasi. C’è da scendere questo pendio che già in salita ci ha dato il suo bel da fare, soprattutto a Giorgio che ha optato per una linea un po’ “complicata”. Bevutina veloce, poi meglio continuare che non so che ore siano, ma mi sa che sta diventando lunga. Sono le 15 passate, la ritirata è iniziata alle 11e30.

Sotto di noi però le rocce che affiorano sono solo detriti. Un bel masso alla bocca consente una sosta dalla quale Giorgio mi cala in moulinette: cerco da far sosta, ma non trovo nulla, “Giorgio, magari mi cali per 60m e te scendi disarrampicando, che devo dire?”. Ma lasciare questa sorta la mio amico non mi piace molto. Traverso nettamente a sinistra ed ecco un menhir di granito dietro il quale una debole fessura lo separa dal suo vicino: debole a sufficienza per un cordino. Sono giusto arrivato a metà corda lassù, perfetto.

Il mio amico scende in doppia, e da qui di nuovo in doppia. “Giorgio con questa arrivi alla base del pendio, te avviati pure finchè c’è luce che ci penso io a recuperare la corda e poi ti raggiungo: magari scesa la morena ripida ci fermiamo a mangiare e bere”.
Scende lui, scendo io. Fine. Fine della ritirata. E che ritirata: di quelle che valgono più del raggiungimento di una cima, di quelle che il Mars di vetta e la birra di fine gita sono più che meritate. Di quelle che.. che bello essere vivi e interi!
Vedo il mio amico che vaga come un anima errante per i pendii di neve sotto di me, guardo la Bocca d’Amola, per noi oggi Bocca dell’Inferno, la Cresta Est non la vedo bene da qui, ma mi girerò spesso ad osservarla e “capirla”: dove abbiamo sbagliato? Tiro fuori la banana da mangiare mentre faccio su le mie cose. Banana di cemento: che razza di freddo deve esserci. Non lo sappiamo ancora, ma le bottiglie nello zaino sono congelate per metà.
Giorgio laggiù, da solo, in mezzo a questa immensità, dopo questi pericoli, dopo essercela cavata, è un’immagine felice e triste allo stesso tempo. Una sensazione strana. Peccato per la cima, ma evviva per esser integri. Da soli siam saliti, da soli ce la siamo cavata, da soli ci ritroviamo a scendere. Soli con le montagne: il Brenta davanti a noi, la Presanella dietro di noi.
Un tramonto sul Brenta, di nuovo (ieri gli dissi “Giorgio, vedrai che lo vediamo anche domani il tramonto”), e tanti e tanti sguardi indietro alla Presanella, alla Bocca d’Amola, alla Cresta Est, a quel gendarme che da questo versante non si vede bene come dall’altro. Ma è lì. È lì, e voglio rivederlo da vicino quando la stagione sarà più “appropriata”.
Non ci si ferma, lo spuntino è rimandato, la bevuta pure. È più tardi di quello che pensavo e le luci ci stanno abbandonando. Raggiungo il mio amico, via le picche e dai coi bastoncini che aiutano ad affondare meno. Sempre più buio, e siamo ancora dentro la valle. Gli occhi si abituano e adattano con gradualità all’imbrunire, e riusciamo a scorgere il percorso e la traccia anche a buio. Superiamo la zona acquitrinosa (nascosta dalla poca neve, quindi temibile per crolli di ponti). E sbuchiamo in “vista” del rifugio. Rifugio è la parola adatta oggi.
Ma ora le frontali servono, altrimenti finiamo troppo in basso, cosa che in effetti quando accendiamo la luce artificiale verifichiamo che stavamo facendo.. Alle 17e30 siamo al sicuro, al coperto. Sono a metà tra il detonato e l’euforico: oggi troppe emozioni e stati d’animo contrastanti e contemporanee. Robe strane.

Mangiamo e beviamo (quel che possiamo, perché l’acqua è mezza ghiacciata, e si fa davvero fatica a mandarla giù), rifacciamo gli zaini con tutto ciò che avevamo lasciato al Bivacco Invernale, zaini che tornano pesanti, ma le nostre teste sono più leggere ora. Prima di “mollarci” troppo, ci tiriamo su per scendere fino all’auto, sotto una nuova stellata magnifica: una Bellezza con la B maiuscola, la Gioia di vivere con la G maiuscola, e datemi anche una V maiuscola per dire “la Gioia di Vivere questa Bellezza”.

Una stretta di mano, i complimenti reciproci. Non è stato facile uscire da questo cul-de-sac. Dopo l’ultima doppia avevo quasi le lacrime di felicità, quelle che di solito verso in cima, ma che oggi la ritirata compiuta ha reso ben più “giustificate”. Ora non resta che la voglia di una birra, di una doccia calda, di un letto confortevole nel quale sentirsi al sicuro. E, non ci crederete, la voglia di tornare in montagna già domani.

Qui altre foto.
Qui e qui report.

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