sabato 8 febbraio 2020

Un inconsueto Monte Prado: Canale a Z

Le rocambolesche avventure le venerdì pomeriggio a districarsi tra malati e cene, ci porta alla composizione del trio Andrea, Federico, Luca, e a finire in Appennino con ramponi e piccozza. L'inconsueto comincia già con l'avvicinamento: Luca vuole salire in macchia fino alla sbarra, quasi una bestemmia per le mie gambe. Solo una volta tentammo di farlo per questioni di corso, e tra l'altro, non finì neppure benissimo
L'altro aspetto inconsueto è l'orario di partenza: con Luca abbiamo contrattato di ritrovarci alle 6:30 a Gatta, il che vuol dire che la frontale posso pure lasciarla a casa. Con queste premesse, e dopo aver percorso l'interminabile strada ghiaiata è un po' sconnessa che porta alla sbarra di Rio Lama, ci incamminiamo con la proposta, sempre di Luca, di imitare i fungaioli che tagliano tutti i sentieri possibili per tirare dritto verso la Valle dei Porci senza passare per il passo di Lama Lite.
Inconsueta e anche la quantità di gente che c'è in giro con le nostre stesse mire: al parcheggio c'era già una macchina e ne è arrivata un'altra con quattro persone, e infine nella Conca dei Porci conteremo almeno altre 16 persone divise in varie cordate, che vista la (nn) quantità di canali in condizioni a disposizione porteranno ad avere la fila sia sul Canale a Z che sulla Clessidra. L'erboso avvicinamento ci costringe a tallonare e lavorare di punta sul paleo rinsecchito per raggiungere finalmente la zona delle nevi continue. Messi i ramponi ci dirigiamo verso d'attacco del Canale a Z: titubanti fino all'ultimo se salire questo o la clessidra alla fine optiamo per questo perché già altre cordate si dirigono verso la clessidra, col dubbio di un paio di tratti secchi che ci toccherà superare in qualche modo.
Parte Federico. Il primo tiro non presenta particolari difficoltà: uno scivolo di neve ghiacciata continua a 45-50 gradi, che si impenna un pochettino solo verso la fine raggiungendo la base del muretto chiave della via. Ma l'essersi legati alla base è stato provvidenziale perché nella zona della sosta non saremo stati sufficientemente comodi. E pensa se la picozza mi fosse caduta lì invece che all'attacco: non l'avrei ritrovata più. Cosa succede a dimenticare le longe a casa: tutt'oggi sarò "zoppo" a dover stare attento costantemente di non perderle.
E mentre in sosta ci scambiamo le corde in modo da far passare davanti Luca, un'altra cordata giunge alle nostre spalle. Luca parte per quello che potrebbe essere il tiro chiave, visto che dopo pochi metri incontra un muretto di neve deforme con un fronte che si sta staccando e scivolando giù (non certo oggi che la neve è tutta bella dura, ma se dovesse venire una bella botta di caldo qua si stacca tutto). Picca picca rampone rampone, picca picca rampone rampone e il parmigiano (o parmense?) sale, scomparendo ai nostri occhi quando la pendenza si abbatte. Speriamo solo che riesca a superare quel tratto di erba e mirtilli che si vedeva da basso, sennò rischia di toccare a me.
E invece no, 55 metri di tiro non bastano per superare il tratto di giardinaggio. E in effetti quel tratto mi ricorda qualcosa: io infatti questo canale devo averlo già percorso tempo fa senza sapere che fosse lui, e proprio quel tratto che oggi è completamente in erba, l'altra volta che era mezzo in erba mi aveva dato da fare. Nascondendomi tra l'altro la sorpresa una volta superatolo: pendio ripido con poca neve e tanti mirtilli su cui arrampicare. Beh, ma Luca sai cosa c'è? Fatti te anche questo tratto, poi fai sosta più su e io faccio l'ultimo tiro per portarci fuori dal canale. E Luca da vero iron-appenninista non si fa scappare l'occasione di andare a picozzare e ramponare terra ghiacciata, incastrarsi nelle mirtillaie, ma soprattutto piantare sto fenomenale warthdog (che per estrarlo durerò più fatica che ad arrampicare). 
Io e Federico osserviamo la fantasiosa sosta del nostro amico: fantasia che ha i giorni contati visto che anche lui sta per tuffarsi nella famiglia caiana. Io invece osservo lo scivolo nevoso che mi spetta di tirare. Nettamente migliori le condizioni rispetto all'altra volta, ma è già piuttosto chiaro che non riuscirò a mettere giù nemmeno una protezione: c'è solo neve, ma di certo non abbastanza per mettere giù un fittone, anche perché mi serviranno per fare sosta. E infatti va così, salita tutta d'un fiato con un momento di pausa verso la fine quando l'uscita si impenna per gli accumuli presenti, pregando che la qualità della neve non peggiori, come di solito fa a ogni uscita di un canale. Preghiere che vanno in porto, neve ottima in tutto il tratto, sbuco ed è sole. Pianto due fittoni che secondo me oggi potrebbero reggere anche una 500 (magari quella di una volta, non il modello nuovo).
Intanto Federico arriva e mi esclama "cavolo, non mi ricordavo che fosse così", frase che io interpreto come un "Beh, ma dai, è alpinismo, e oggi non c'è neanche da patire così tanto freddo" ma lui mi fredda con un "stavo parlando della andare in montagna". Ed eccoci tutti fuori, ci ritroviamo sui pendii finali che formano la cuspide del panettone Monte Prado, tra tintinni di materiale e vociferare di altre cordate. Si trotterella verso la cima dove ci adagiamo per una paciosa sosta culinaria. L'idea poteva essere di spostarsi al Sassofratto e fare un canale facile in slego, ma gli orari rischiano di essere troppo tirati.
Preso un po' di sole, scendiamo per il Vallone situato tra Monte Prado e Sassofratto osservandone rispettivamente il versante Est e il versante ovest, per poi proseguire a caso seguendo il ruscello e poi andare a incrociare il sentiero. Pensando di far prima giungiamo fino al Rifugio Segheria per poi risalire verso il parcheggio. Chissà se oggi 10 km li abbiamo fatti: ma 10 o non 10, la birra media (da 0,2?!) a Villa Minozzo ci aspetta.

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