domenica 13 gennaio 2019

Sillalorz, peccato che sia appoggiato: Cascata del Pumacciolo

Io così tanto ghiaccio non pensavo ci potesse essere in Appennino: Madonna quanto! Non quanto il Pisgana, però con la fame e la carenza che c'è in giro, cccidenti che abbuffata! Peccato solo che sia quasi tutto appoggiato, ma di quell'appoggiato che fai fatica a trovare una postura corretta per progredire. E quindi fatichi.
In rapida ripresa da un malanno non proprio rapido che mi ha afflitto durante la settimana, saltata l'uscita del sabato, la voglia di uscire dalle sbarre della pianura è tanta e dopo uno scambio di messaggi trovo Luca che mi propone la Cascata del Pumacciolo. Manco so cosa sia, ma conoscendo i suoi gusti direi che ne possa uscire una piacevole giornata di avventura.
Solito classico folle tardo orario di ritrovo alle 7:00 a Parma, e insieme a Misha e Nicola ci dirigiamo verso la Val di Tacca per poi addentrarsi in Val Cedra. Addentrandosi in essa i primi flussi ghiacciati iniziano ad apparire e nonostante non sembri lei, quella più grassa e vistosa anche a lunga distanza è proprio nostra meta.
Comodo parcheggio al sole, e cosa vuoi di più? Come era logico aspettarsi siamo soltanto noi, come non era per nulla logico aspettarsi mentre siamo lì a prepararci arrivano altre due macchine e allora è meglio darsi una mossa perché questi a naso verranno proprio sul nostro stesso itinerario: hanno le picche. Ma guarda te se oggi dei posti solitamente disabitati devono essere così affollati.
Non c'è un sentiero ufficiale per l'avvicinamento. Al primo tentativo di abbandonare la forestale ci sbagliamo subito ma rientriamo presto sui nostri passi, dopodiché seguendo i segni bianchi sugli alberi si individua una traccia che si addentra nel bosco. Ma i segni ben presto finiscono e serve l'abilità dei due fungaioli per districarsi in questo bosco a volte fitto.
Un'erta salita su una rampa che assomiglia a un vecchio letto di Ruscello ci conduce ancora più in alto in direzione di una cascata che però ancora non vediamo. Ma dopo poco ecco che attraverso il marrone degli alberi comincia  a vedersi il bianco azzurro del ghiaccio, a sfondo nero delle rocce.
La vista da sotto è incoraggiante per quanto riguarda le condizioni: se su quello scivolo di ghiaccio ce ne è, si spera che ce ne sia anche ben più su e nei canyon. Ci si prepara prestando un po' di materiale ai due novizi del giochino ice climbing. Sfodero le viti da ghiaccio estraendole dai loro sarcofaghi arancioni dove da troppo riposavano. Visto il grado basso e le caratteristiche appenniniche della giornata, scelgo le Quark come propaggini delle mie braccia, e pure i ramponi sono in modalità più soft con due punte frontali e non monopunta.
Attacca Luca e dopo i primi metri leggermente verticali e la pendenza si abbassa e diventa una sorta di camminata sul ghiaccio, ma coi polpacci che friggono comunque perché dovendo essere piantate le punte, si obbligano le gambe a essere piegate anche quando vorrebbero stare triste: più facile a provarsi che a descriversi. Nicola il freerider segue a ruota.
Riparto, e al secondo tiro si presenta davanti a me un mare di ghiaccio cresciuto su questo scivolo di roccia, tra l'altro con la parte alta al sole: veloce progressione, poche protezioni e verso la fine della corda arrivo alla bastionata rocciosa dove poter far sosta su 3 Friends. A godermi un tiepido sole, spettacolo.
Da qui il ruscello devia nettamente a sinistra per meno di una decina di metri per poi ricominciare a salire: c'è da affrontare la candelina di 2 m, il tratto chiave della via, 2m a 80 gradi. Accidenti a Luca che mi ha fatto spostare dalla tiepida sosta al sole per fargli sicura vicino alla candela. Ma dopo questo paio di metri scoppiettanti il flusso ghiacciato si abbatte nuovamente e quindi resto poco tempo a prendere freddo.
Dalla sosta siamo in vista di un caminetto che permette poi di accedere alla conca dalla quale parte il tratto chiave della cascata: e qui ci raggiunge una comitiva di sei persone tutte slegate che sale tritando più ghiaccio possibile (quelle al parcheggio). Aspettiamo con calma per non fare la fine del mojito senza menta.
A me quel camino non ispira tanto, e per accedervi c'è pure da camminare su un bel tratto ghiacciato (che non sembra molto spesso) con sotto l'acqua, e io sono in versione Pusheen in inverno. Come hanno fatto altri, devio sullo scivolo roccioso sulla sinistra, e recupero a spalla Luca alla base del muretto.
Nicola è Misha continuano a seguirci, loro che hanno il coprifuoco sono un po' più tirati di noi, ma ancora hanno del margine per poter continuare a scalare. Chiedo a Luca se posso proseguire io visto il tiro farlocco precedente e mi dice che non c'è nessun problema. Sì, ho preso coraggio fatto la proposta!
Salendo traverso verso sinistra vado a ricercare il ghiaccio più spesso, che è pure buono. Finalmente i polpacci cuociono ma con un senso. Una dozzina di metri da pseudo cascata e poi ci si riporta quasi a camminare. Di nuovo in parte al sole mi stupisco per la quantità di ghiaccio che c'è. Mamma mia è veramente tanto qui si potrebbe piantare anche una vite da mezzo metro. Una bella sosta con tre viti lunghe non me la toglie nessuno!
Arriva invece il momento di Misha e Nicola di scendere. Noi invece proseguiamo sulla colata che va verso sinistra, e viste le difficoltà che si abbattono in modo continuo (non sono presenti muretti) Luca parte in conserva finché si può. Sarà anche facile ma questa cascata-sentiero ghiacciato ha dei tratti davvero estetici. Poi il fascino di fare del ghiaccio in Appennino non ha prezzo.
Vedo il mio compagno di cordata a distanza, a distanza di 60 m. Sembra prestarsi a salire un nuovo muretto ghiacciato ma in realtà anche questo è piuttosto facile e abbattuto. Una volta superato lo si prosegue per alcuni metri per poi fermarsi alla base del l'ultimo muretto.
Siccome prima ho chiesto io di saltare l'alternanza per godermi il tiro, adesso non posso che restituire il favore. Si vede che questa parte di cascata è stata un po' al sole, varie parti pisciano, ma per il resto il ghiaccio è piuttosto buono. Luca sale con disinvoltura e poi scompare alla mia vista segno che la pendenza è di nuovo bassa.
Cavoli, alla fine ne stiamo macinando di ghiaccio. Spetta me l'ultimo tiro, facile ma estetico con una bella parte dentro un canyon. Canyon che tra l'altro nasconde alla vista un pezzo del ruscello. Praticamente termino la cascata nel suo punto d'origine, ovvero un lago senza nome steso in mezzo all'erba.
Mentre recupero il mio amico mi guardo intorno. La vista sull' Appennino di questo periodo è sempre fortemente desolante senza neve. Ci prendiamo una sosta per mangiare e bere qualcosa, ma l'ottica è comunque di proseguire, la giornata può essere ancora lunga o meglio può essere allungata.
Col sole in faccia non l'avevo notato, ma spostando lo sguardo verso sinistra faccia a monte c'è dell'altro ghiaccio da percorrere, è data l'ingordigia che abbiamo perché non andarci? Alè, via ma stavolta senza corda e in scioltezza punto tanto dopo un 70-80 m il giochino finisce definitivamente.
Ma è pur vero che non siamo ancora sul crinale! E allora come andarci? Beh siccome L'idea era comunque di salire in cima al Monte Sillara, e siccome tutto a sinistra si scorge un facile canale innevato, perché non passare di lì? Mini ravanata in mezzo alle mirtillaie semicoperte di neve e in mezzo a un po' di ghiaioni di arenaria appenninica, e ci siamo dentro.
70-80 m a 40-45 gradi ci permettono però di infiggere gli arnesi metallici dentro ottima neve. Ma anche di scoprire un bel venticello man mano che si sale, venticello che ti investe in pieno una volta sulla cresta della cima prefissa. Non è che ce lo godiamo tanto il panorama..
In realtà però in cima non si sta così male, quindi mentre ci rifocilliamo a dovere possiamo con calma sistemare un po' il materiale, guardare il panorama, sognare progetti, sognare il mare, vedere le Apuane, piangere dell'Appennino secco, scrutare le Alpi. Vabbè dai, però ora scendiamo che la discesa è comunque tutta da inventare.
Insidioso il sentiero che scende verso nord ovest, con tratti di neve talmente ghiacciata da non riuscire a scavare fossette con le scarpe (i ramponi ce li siamo tolti per essere più comodi). Vedo in lontananza Luca che scivola su una lastra di neve, mi appresto quindi a dare ancora più attenzione a dove posizionare i piedi, e invece slip, scivola anch'io e vado a sbattere giusto il ginocchio che non dovrei sbattere contro qualcosa di durissimo. Stelline che volano intorno alla testa e con qualche sospirone. Calma, torno inseguire la lepre del crinale Parmense.
Scendiamo a sbafo per le mirtillaie e cercando di evitare il più possibile le lastre di neve, e una volta giunti presso il laghetto da cui si origina la cascata, cerchiamo la via in mezzo al bosco sulla destra faccia a valle. Da buoni alpinisti ci complichiamo la vita a cercare un passaggio su rocce scoscese quando invece si poteva scendere un po' più in alto nel bosco scosceso. In mezzo a popolazioni millenarie di foglie riusciamo a giungere alla base della cascata non senza però aver notato altri flussi ghiacciati intorno a noi. Però sì, sempre piuttosto facili.
Bene, ora non siamo più nello scosceso ma siamo ancora in completo sentiero di avventura: riuscirai fungaiolo a ritrovare la strada di prima? No, perché vuole vedere se si passa anche di là, e ci ritroviamo così a vagare in un altro tratto di bosco, e a scendere dentro il letto di un torrente. Alla fine ci ritroviamo nel pianoro dove c'era una baracca. E da lì, a seguire gli accenni di traccia che ci riportano verso la macchina.
Parecchie sono le volte che voltiamo lo sguardo indietro per vedere se in mezzo al bosco ci fosse qualche altro scivolo di ghiaccio da esplorare per una prossima volta. Alla fine questo anfiteatro non sembra così diverso da quello del Valorz (anche qui c'è pure la Mamma!), dove diversi flussi ghiacciati scendono a formare uno dei più conosciuti parchi giochi per gli amanti dell' Ice Climbing.
Ed è così che coniamo la seconda perla della giornata, soprannominando questo posto il "Sillalorz", chiara unione di "Sillara" e "Valorz". La prima perla che mi riviene in mente soltanto ora, è stata ispirata dalla vista dell'ovest dell'Alpe di Succiso e dalla sua una particolare forma, ahimè scarica di neve: "Che palle questo inverno, c'è più più zucchero sul pandoro di un diabetico!".

Qui altre foto.
Qui relazione.
Qui report.

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