martedì 6 gennaio 2015

Ghiaccio in paradiso: Cascata Funicolare (tentativo)

La ciliegina sulla torta: ecco cosa servirebbe prima di ricominciare a lavorare. E sarà dura ripartire dopo un po’ di giorni in montagna o simili (vedi post precedenti), quindi spariamo l’ultima cartuccia cercando di colpire bene! Col buon Nicola si cercano cascate di ghiaccio, e visto il tardo inverno tocca andare in alto, ma vista la poca neve si possono provare flussi che di solito sono soggetti a valanga: Val d’Avio, arriviamo!
A questa valle è legato il ricordo di una delle alpinistiche più faticose e lunghe che abbia mai affrontato: l’Adamello. Sì, banale, ma noi (io, Riccardo, Marco, Erica) eravamo partiti da Malga Caldea, saliti al Paso di Premassone, scesi al Rifugio Gnutti, e il giorno dopo su per la Terzulli, cima, discesa per il Passo degli Italiani (tra l’altro ostico quella volta), Rifugio Garibaldi e infine la macchina. Il secondo giorno fummo in giro per più di 12 ore. Oggi sono più allenato ed esperto, ,ma quella volta fu un’impresa.
Torniamo a noi. Brutta malattia quella per la montagna: si parte alle 2e30, presto? Non per noi, che ormai siamo abituati a sentirci dire dai local “ma starete qui qualche giorno vero?” “no no, tutto in giornata”. Arriviamo anche prima del previsto a Temù, iniziamo a risalire la valle ma a un bivio ci sbagliamo e scendiamo alla teleferica. Dietrofront, su a sinistra, ma una lastra di ghiaccio..
Il Cubo arancione, offeso dalla nomea di “fiorino” che Nicola gli ha coniato, si intraversa scivolando sul ghiaccio su una stradina larga poco più di lui, col precipizio a destra, fermandosi solo grazie a un lieve rigonfiamento trovato dalla ruota posteriore destra. Attimi di panico, ma sangue freddo, mettiamo le catene, ma ci vuol del tempo prima di uscire da questa situazione. Parcheggiamo a valle, nessuna voglia di rischiare di nuovo!
Dalle 5e15, orario dell’intraversamento, alle 6e30 riusciamo a metterci in cammino, almeno 45 minuti persi e li pagheremo cari. Non voglio nemmeno immaginare quanto siamo “bassi”, ma che ce frega, la giornata è lunga e abbiamo messo in conto che lo sarà parecchio, e poi neve non ce ne è, perciò si dovrebbe salire agili. E saliamo, io col mio zainone e Nicola col suo zainetto. Differenza IS vs IA.
La luna possente illumina la neve in alto, noi ci accontentiamo di seguire la strada che sale e che avremmo sperato di fare in auto, tra una risata e l’altra e tra un racconto e l’altro di vari aneddoti: e in realtà, insaziabili, si discute già di altri progetti montani senza ancora aver iniziato quello di oggi! Ma è anche un modo per imporci di salire con calma, non bruciamo già le nostre energie.
Iniziamo a goderci l’alba poco sopra Malga Caldea, poco prima della quale la neve è diventata presente a sprazzi, mentre pozze di ghiaccio sono più presenti e infide, speriamo bene! Intanto già qualche goulotte e flusso e ben visibile, ma noi puntiamo in alto! Solo che, nei tornanti sopra Malga Caldea, una passat 4x4 si sbeffeggia di noi e ci supera. Siamo fregati. Ma siamo anche più “romantici” (siamo partiti da valle..).
Dopo 1h45 di cammino sbuchiamo alla diga del Lago d’Avio, dove stanno i guardiani (cui portiamo una bottiglia di Lambrusco per ringraziarli della cortesia nel darci qualche info e dritta) e dove sta la mitica fontana dove trovai Riccardo sdraiato esanime accaldato e finalmente sfamato della sua sete mentre scendevamo dall’Adamello, nel lontano agosto 2011. Per me quell’immagine resterà indelebilmente “la stanchezza fatta fotografia”, anche più della foto al parcheggio dopo la discesa da Mistica.
La macchina che ci ha superato è già bella e vuota. Nel tentativo di aprire il portone del tunnel paravalanga mi grattugio il pollice destro: roba di poco, è solo che a essere superstiziosi le avvisaglie sono già due! Il tunnel è pittoresco, lungo 1km probabilmente, contornato di “finestrelle” tra i legni che chiudono d’inverno le feritoie ma che ogni tanto concedono una sbirciatina verso le montagne, come il buco della serratura per spiare la tua amica che si fa la doccia nel tuo bagno..
Il tepore roccioso del tunnel finisce dopo la quinta serie di illuminazione, si riapre il portone e ci si trova sul margine est della diga tra Lago d’Avio e Lago Benedetto: che vista! Si possono scorrere le cascate Madonnina, Funicolare, due flussi facili di cui non ho trovato relazione, Sorgente Azzurra, Madre e Pilastro della Malga. Ma il protagonista è lui, l’Adamello laggiù!
È una vista inebriante, ci si ferma a fare qualche foto e ammirare ciò che la montagna concede ai nostri occhi. Siamo privilegiati a essere qui, ce la siamo anche sudata visto l’avvicinamento compiuto, e quindi soddisfatti. Ma dirigiamoci verso quella che speriamo essere l’altra soddisfazione, la cascata! Anche perché davanti a noi abbiamo i tre o quattro dell’auto, che però non vediamo dove siano finiti, e dietro di noi altri tre che vedevamo dai tornanti.
A metà diga ci fermiamo di nuovo a scattare una serie di foto alle varie cascate da una diversa angolazione, mentre Nicola storce già un po’ il naso vedendo quanto gli paia magra la Madre (che ha già salito) e quindi sospetti che la Funicolare non stia meglio. Alla Madonnina manca un metro per congiungersi. Video.
La poca neve rende probabilmente più ostico l’avvicinamento. Occorre addentrarsi in un “boschetto” di cespugli vari, con rami attraverso cui districarsi (prossima volta porto il machete) e massi coperti da qualche cm di neve su cui appoggiare il piede sperando sotto la roccia tenga. Non è facile, ma avventuroso e un po’ faticoso. Slalom tra gli alberi a cercare una debole traccia di chi ci ha preceduto (si spera tracciando la via migliore), poi piccola “apertura” ma si ritorna qualche metro in mezzo alla giungla per poi risalire in campo più aperto verso l’attacco.
Da sotto ormai la cascata non sembra nemmeno più tanto verticale, ma è chiaro che non è proprio in forma. E adesso capiamo pure dove siano finiti gli occupanti della passat che ci ha superato: stanno salendo con le picche, una cordata da tre. Ci prepariamo senza troppa calma visto che abbiamo già visto sulla diga avvicinarsi in questa direzione altri pretendenti: ma non li vedremo più, probabilmente sono andati altrove.
Lasciato giù il mio zaino e riempito solo quello di Nicola, l’esperto parte per il primo tiro, che non sarebbe nemmeno difficile, non fosse per quei 4m a 85° delicati delicati: inutile metter giù viti, si va e basta. A rendere più delicata l’ascensione è lo scarico di ghiaccio della cordata che ci sta sopra, che non è per nulla piacevole anche se inevitabile.
Nicola arriva in sosta, recupera le corde e così mi appresto a salire. Alla fine quei metri che sembravano di cristallo sono meglio di quello che credevo: peggio è la situazione “solidità”, ovvero la cascata piscia un casino! Porca miseria, e il proseguo non sembra meglio.. Salgo l’ultimo tratto più in fretta che posso essendo esposto alle scariche dall’alto, e finalmente sono in sosta riparato.
“Andrea, ecco il bollo giallo”, è quello della relazione del tizio che ha spittato le soste (in realtà di spit ne abbiamo trovato uno qui e uno all’altra sosta da cui ci siamo calati..), che credevamo essere solo un’indicazione sul pdf, invece c’è pure sulla roccia! E la sosta è un nuovo balcone sulle montagne di fronte a noi, Corno Baitone in primis. Anche il pendio sopra la Madre è interessante, tutto al sole e con pendenza perfetta per valanghe.
Butto uno sguardo su, il tiro non sembra difficile, ma quelli sopra scaricano, il traverso iniziale sembra delicato.. Non sono troppo convinto e Nicola quindi riparte, anche se in cuor nostro si insinua già l’idea che non riusciremo a finire la via: troppo esile e pericolosa con qualcuno sopra. E vedendo che il capocordata sopra di noi si avventura sul del misto per far la sosta e su dei cavolfiori appanna attaccati al resto, mmm.
Nicola sale mentre io mi concentro a guardare quelli sopra che fanno e avvisarlo se arriva giù qualche pezzo sostanzioso. Oh, mica che siano degli assassini quelli sopra di noi, fa parte di questa attività il rischio che si sta davanti stacchi qualcosa e ti arrivi addosso: poi sta nella sua abilità essere il più delicato possibile per evitare ciò (diciamo che il loro capocordata è delicato, i secondi un po’ meno..).
Non lo vedo più, ma dopo un po’ lo sento che mi chiama a mollare tutto. Bah, mi pare sia stato corto questo tiro, ma va beh, lo sa quel che fa. Parto io, mannaggia che paura la roba che scende dall’alto, mi sento anche bene e prestante, non fosse per lo sguardo che deve osservare su. Svelto svelto, viti da svitare permettendo, eccomi in sosta: già da lontano mi pareva di vedere un friend, cosa poco rassicurante.
Infatti Nicola deve essersi fermato troppo presto, anche se qui due chiodi ci sono, non molto belli ma ci sono. Anche un cordone con mallo di calata, ma non sembra molto rassicurante. “Andrea finchè non sei ancora in sosta, dai un’occhiata su se vedi qualcosa sulle rocce” e mio malgrado uno spit a 15-20m lo vedo “allora vai su tu e fai sosta la”, mannaggia, mi ha fregato.
Salgo il più svelto possibile per limitare il tempo di esposizione ai bombardamenti, metto giù un paio di viti subito da bravo istruttore, poi lascio li per cercare di arrivare in sosta presto. Eccolo lo spit, ma è da solo, e per arrivarci c’è poco ghiaccio e tanta roccia, un diedrino breve ma dove occorre usare le mani sulla roccia e la picca in dry. Spit e chiodo (che lavora in estrazione!)
“Vieni Nico”, e quelli sopra che erano partiti davvero veloci, hanno rallentato visto la precarietà della struttura. Una cordata invece sta salendo la Madre. Vedo il mio amico, che narcisista chiede pure una foto prima di arrivare a farmi compagnia in questa non troppo comoda location. Che fare che non fare: sopra sembra davvero delicato il ghiaccio, bagnato spolto, si vede che è necessario andare anche su roccia, di dubbia qualità. Una 20ina di metri sono ancora salibili bene, ma se la sosta è poi più in alto come si fa?! Chi ci sta sopra scarica, e probabilmente tra poco si calerà in doppia. Basta, scendiamo.
Di certo siamo stati un posto magnifico, abbiamo effettuato un avvicinamento di tutto rispetto (1000m di salita, il minimo sindacale come trekking), due tiri e mezzo di corda li abbiamo fatti, e a valle ci aspetta pure una bella mangiata: insomma la giornata è fatta.
Iniziamo a preparaci per la doppia usando alla bene e meglio sia lo spit che il chiodo, aspettando anche che il bombardamento dall alto si attenui. Sono sicuro che con questa calata possiamo arrivare fino alla prima sosta, d’altronde sono sicuro che questa è la vera seconda sosta (la terza chissà dov’è), e infatti Nicola arriva giù, controlla che la corda scorra per il recupero, e poi scendo io.
Attrezziamo un’altra doppia, anche qui cercando di sfruttare tutti gli ancoraggi, e la discesa è pure carina in mezzo a un diedrino. Anche la cordata sopra si sta calando, e si vede (normale..). Tac eccoci alla base, e ora recuperare la corda..e Nicola mi maledice. Mi aveva già detto di portare la corda nuova, ma io no, porta sfiga, e così questo canapone risalente all’estate 2010 ma che di km, roccia e ghiaccio ne ha visti, bello ghiacciato offre una certa resistenza a scorrere nelle anelle delle maglie rapide e essere recuperato.. Con un po’ di fatica, ecco tutto giù.
La missione attuale è cercare di andare sulla diga a godersi un po’ di sole, ma mi sa che con la nostra non velocità e la rapidità con qui la palla nucleare gira, troveremo solo ombra: e infatti. Mentre terminiamo lo spogliarello dagli attrezzi e giacche, i tre arrivano a portata di voce e ci chiedono “ma non salite? Scendete per colpa nostra?” e Nicola “si, anche”. Ripeto, non sono degli assassini, fa parte di questo tipo di attività il bombardamento dall’alto. Magari ci rode un po’ che noi ci siamo fatti un discreto avvicinamento in più e solo per questo siamo finiti dietro di loro.
Ma tant’è, torniamo in mezzo alle sterpaglie che invocano machete, questi metri aumentano il grado di difficoltà del luogo, e aumentano la pienezza della giornata. Già, perché vedere un uomo tramutarsi in gracco incastrato in mezzo a deboli rametti, non ha prezzo. Forse il suo intrappolamento ha un po’ di mie colpe, ma a me sembrava davvero che il sentiero passasse li giù e non qui su. Gracco anche per i versi che emette, uno spettacolo. Video. E con questi due minuti di risate, la giornata è davvero compiuta.
Finita la giungla, finite le difficoltà, tornata la voglia della prossima scalata. E ad ammirare questo ben di Dio, ce ne è motivo! Il sole se ne è andato, noi scattiamo altre mille foto, esploriamo la Malga di Mezzo, e nel mentre i tre ci raggiungono. Due chiacchiere in cordialità, l’offerta (rifiutata) di un passaggio fino alla nostra auto, e ormai la consueta risposta “ma siete matti? Tutta questa strada in giornata e per stare qui solo un giorno?!”, voi siete local, non potete capire.
Tunnel, di nuovo, e fuori di nuovo, a fare due chiacchiere coi guardiani e poi giù per l’infinita strada verso Malga Caldea, ancora col naso all’insù a guardare, scrutare, sognare flussi ghiacciati. Vicino a Malga Caldea un’altra cordata ci raggiunge, due parole e poi loro si fermano alla loro auto, che è già qui, la nostra ben più giù! Solo alle 16:41, poco più di 10 ore dopo averla abbandonata, la troveremo.
Ad accoglierci un’ottima birra Nicola made, formaggio e pane Nicola made, e panforte. A scalare saremo scarsi, ma quando si tratta di picnic post giornata in montagna! Gran bella giornata passata in compagnia e in uno splendido scenario. Ne voglio ancora.

Qui altre foto.
Qui video dalla diga tra Lago d’Avio e Lago Benedetto.
Qui video del gracco intrappolato.
Qui report.

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