Quando le
cose partono storte.. Va beh dai, "storte" è esagerato: diciamo
"strane". Arrivare alla base della parete sulla quale corrono diverse
vie, ancora dubbiosi se salire quella o quell'altra, o magari quell'altra
ancora. Aprire lo zaino, tirare fuori la guida (la guida, non le fotocopie
della relazione, perchè a noi piace portarci dietro tutta la guida), e..scoprire
di averci messo dentro quella sbagliata..
Le
condizioni trovate ieri in Appennino non possono che spingerci a tornare da lui, e la zona del Lago
Santo è la zona giusta: varietà, bellezza del posto, dislivelli contenuti (ieri
ci ho dato, oggi posso risparmiare). Inoltre quella parete la sogno da quando
la vidi l'anno scorso, e oggi dovrebbe esser buona.
Ci
incamminiamo da un parcheggio già affollato, ma io e Stefania abbiamo scelto
una zona ben meno affollata dei classici canali del Monte Giovo. La salita al Rifugio Vittoria è insidiosissima,
mettiamo i ramponi dopo pochi metri, e la frontale può già esser spenta: siamo
in ritardo. Risalito il pendio dopo il rifugio, percorso un tratto di bosco, i
primi raggi di sole infuocano la nostra meta.
Davanti a
noi tre alpinisti che poi continuano verso la parete nord, lasciando la NordEst
tutta per noi: però, da vicino non sembra male, ma a Stefania avanzo un
"magari riusciamo a salire anche senza legarci". Ma il casco sì, poso
lo zaino, tiro fuori ciò che mi serve, la guida..la guida mi serve ma è quella
sbagliata! Che facciamo ora? Oh, io le altre relazioni non le ricordo, ma
quella della Roccia Rossa sì..
Attraversiamo
il vallone per poi risalire il cono valanghivo, col cole che lascia già
scollare un po' di ghiaccio dalle rocce e il sole che lo aiuta, facendo cadere
pezzettini a valle. Stefania m'aveva mandato in avanscoperta per vedere da
vicino se quello scivolo che pareva magro poteva esser salito. Bello ed
estetico, col ghiaccio sulla placca rocciosa, dai si può fare!
Si può
fare..insomma. Ghiaccio sottile e all'uscita neve brutta: una volta che ci sei
in mezzo non puoi fare altro che continuare a salire e sperare di uscirne
presto, ma a lei le dico subito "ti lancio giù la corda dopo". Già,
ma serve una sosta.
Uscito dal
budellino, le pendenze sono sui 55° e totalmente ghiacciate (tanto che provo a
mettere giù una vite, che quasi tiene): impossibile fermarsi, togliersi lo
zaino e allestire tutto, devo continuare a salire un po'. Dai che lì sopra
spiana. No. Dai che lì sopra spiana. No. Cazzo ma non sarò salito troppo per
far arrivare giù la corda alla Ste?
Ghiaccio,
pendenze, mi tocca arrivare alle rocce e sperare in fessure per i friends e un
pelino di addolcimento pendenza per esser meno impiccato sulle punte dei
ramponi. La scalata me la son goduta forte, ma ora viene la parte dura..
Proprio fin sotto la roccia rossa per metter giù un paio di friends,
perdere la frontale che rotola verso valle mentre apro lo zaino, allestire la
sosta. La parete scarica un po' di roba (il forte vento aiuta questo processo)
ma la nostra zona sembra più risparmiata di altre.
Lancio giù
la corda, che scorre benissimo sullo scivolo ghiacciato. La vedo scomparire
dentro il budellino (ci sono un po' di curve) e aspetto. Ma non succede nulla.
Urlo, ma non ci sentiamo. Mi tocca scendere per vedere.. Machard e disarrampico
"in sicurezza", per 25m, fino a vedere che la corda è ben al di sopra
del tratto duro. Mo son cazzi: i 55m della corda non arrivano dove devono.
Recupero la
corda, e comodamente in punta di ramponi (non posso manco appendermi, non sono
sulla verticale della sosta) cerco di allungare "la cosa". Ah niente,
tutti i cordini, moschettoni, friends che ho, li metto in serie per guadagnare
quei metri che mancano, anche se temo ne manchino troppi. Cala la catenella, ma
nulla.
Recupera di
nuovo, ci aggiungo i due rinvii che mi legavano al machard, sostituiti col
moschettone di un friends, ricala. Sento che Stefania mi dice che manca ancora
un po'. Ultima chance, appendersi alla corda per sfruttarne l'elasticità.
Problem solving alle stelle. Provo. Sento che deve aver afferrato il "capo della corda-catena", e
infatti il mio machard è bloccato!
Ma devo
risalire per farle sicura con la piastrina (quella l'ho tenuta). Ma non riesco
a salire, tira troppo, e ciccia, mi slego e via su veloce! Inizio a recuperare,
finalmente dei segnali che preannunciano il ricongiungimento della cordata. La
vedo sul pendio neve-ghiacciato, sale coi polpacci in fiamme, con la catenella
a penzoloni.
Arrivata in
sosta "io e te dobbiamo parlare", azz. Non mi dirà mai di cosa, ma il
giorno dopo per messaggio mi confesserà "penso a come è andata ieri, e
nonostante tutto ho la scimmia!". Però Stefania capisce che non sono
serenissimo: nonostante lei rida io sono piuttosto serio, anche se adesso posso
rilassarmi.. Che bell'inizio di via! E anche lei perde del materiale verso il
basso: a questo punto è deciso, una volta sù torniamo giù per la normale a
sperare di recuperare vite da ghiaccio e frontale.
Imbastita a
dovere la zona della sosta, preso tutto il materiale (i cari buoni e vecchi
fittoni all'imbraco che fanno effetto campanaccio delle mucche), riparto per il
secondo tiro, sgusciando in traverso a sinistra della roccia rossa, per poi
risalire il tratto più ripido del tiro, e con neve peggiore.. Calma e sangue
freddo, riporto le mie propaggini metalliche a mordere con forza l'acqua
solida. Madonna che specchio!
Il pendio
spiana leggermente, mantenendo la pendenza giusta per ghisare i polpacci. Spero
solo di riuscire ad arrivare in una zona comoda per fare sosta, ma ahime temo
di no. Beh, i primi 5-6m di tiro sono in traverso comodo, posso guadagnare quelli
muovendoci in conserva.
Le pause
forzate in cui la mia compagna di cordata disattrezza la sosta o compie altre manovre
che non consentono alla corda di continuare a salire, e quindi mi obbligano a
fermarmi, sono da maledizione: polpacci che implorano pietà, e io non posso
fare nulla.
Lassù vedo
il pendio spianare, magari su neve più morbida. Mi rassegno al fatto che ci
muoveremo in conserva protetta, anche se avrei sperato farle salire il tratto
più duro sorretta da una sosta (che vuol pure dire, con me sorretto da una
sosta).
Spiana il
terreno, pure bene, ma Stefania è ormai fuori dalle difficoltà. Una sosta con
piccozza piantata e recupero a spalla è più che sufficiente. Eccola che arriva!
Esausta per lo sforzo insolito degli arti inferiori, con le punte dei ramponi
che mordendo bene, ma solo loro, obbligano a un gran lavoro muscolare.
"Dai
Ste, anche se ormai non restano più che 30°, portami fuori tu": parte e
sale, dopo poco pure io, e infine siamo sulla cresta ovest del Monte Giovo. Ma
non prima di essermi perso ad ammirare pendenze e cornici della parete posta
proprio sotto la croce: uno scivolo che mi fa sognare, che mi fa sperare di
tornare qui presto..
Il vento
sferza, ma ormai siamo relativamente al sicuro. Impressionanti crepe sulla
superficie, come nelle cascate di ghiaccio. Fatte su le cose, lei va verso la
cima mentre io devio alla ricerca di qualche muro di neve dove sfogare gli
ormoni che si sono caricati a dovere. Ne trovo uno misero, sopra il quale un
bel pratone di giochi di neve e ghiaccio fa riflettere di quanto può esser
divertente la natura.
In vetta
troviamo altre persone, dopo una pausa confermiamo di scendere per la normale:
tocca andare a vedere se riusciamo a recuperare qualcosa di quello che abbiamo
perso. Peccato, avrei chiuso con la classica traversata Giovo-Rondinaio ma amen.
Che poi
anche la discesa non è comoda: questo ghiaccio che impregna tutto rende ogni
passo da dosare bene anche sui 30°. I ramponi vanno sferzati per piantarsi, le
caviglie non godono di certo: primi metri a faccia a monte, e poi
concentratissimi nello scendere. Sempre ammirando la parete dei sogni..
Traverso
verso l'attacco della via, ma non vedo nulla. Perlustro io in alto, lei in
basso, ma sto perdendo le speranze.. Lei trova la mia frontale, ma io non la
sua vite.. Meglio che nulla. Che poi se fosse stato nulla mi darei pure
incazzato perchè tanto valeva stare in giro di più!
Qui altre
foto.
Qui report.
Qui la
guida.
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