giovedì 13 settembre 2018

37,5h di passione (ma anche di più): Tot Dret


Fino a pochi anni fa credevo certe cose impossibili per me. Ho iniziato a fare trail con la Marcia dei Tori, la corsa di casa. Poi qualche "giretto" più lungo in solitaria, come la Traversata del Baldo. Poi stando via anche di notte da solo, tra cui la cavalcata dello 00 modenese e reggiano. Quest'anno qualche trail lungo (Ultra Trail egli Dei e Amortotto Ultra Trail) frutto anche del riscatto voluto dopo l'infortunio. 

Ma come diceva il ragazzo del Rifugio Aosta "sono un trailer valdostano semplice, vorrei fare il Tor de Geants", il Tor de Geants resta il miraggio, il sogno per ogni corridore di montagna. Per ogni appassionato "veloce" di montagna. E io, ci son dentro. Ma il TOR è troppo ancora per me, troppa preparazione richiesta, e anche una certa spesa economica. Ma quando ho scoperto a primavera l'esistenza della parallela Tot Dret..una lampadina si è accesa.

Una lampadina che è diventata presto un fuoco, e poi un vulcano. Però diavolo, è dura: tanti km, tanto dislivello, tante ore di notte e nel periodo dell'anno in cui la notte inizia a durare più del giorno. Non so se ce la faccio. Corro l'Amortotto Ultra Trail, guadagno altri 4 punti ITRA, e quel diavolo di Andrea mi dice "Beh, se fai una gara da 6 punti, puoi tentare di iscriverti all'UTMB il prossimo anno". E quanti punti varrà mai la Tot Dret?

 A volte basta un click. Il mouse è uno strumento terribilmente potente nella sua semplicità: il pagamento on line di un bene non essenziale ma accattivante, una mail inoltrata alla persona sbagliata, la conferma di iscrizione a qualcosa di folle. Click, "La tua iscrizione è confermata". Ecco, ci sono dentro a piedi pari.

E adesso? Dovrei allenarmi. Cambiare alimentazione, studiare un po' meglio cosa fare e non fare. Cercare il materiale obbligatorio, leggere libri di chi ha affrontato il Tor de Geants per capire come funziona, recepire consigli e assimilare esperienza che non ho. Magari farmi seguire da un esperto per allenarmi meglio e mangiare meglio. Come sempre, tanti buoni propositi per poi ridursi a un "ma va la, devo divertirmi, se finora ce l'ho fatta con questa filosofia, posso farcela anche stavolta".

Inizio a correre le ripetute, unica vera novità nel mio allenamento. Forse ci do dentro un po' più del solito, alternando corsa, bici, nuoto. Ma nessuna prova di corsa di notte specifica, la mia passione primaria resta l'alpinismo e a lui do la precedenza. Almeno fino a un mese prima dello start. La settimana di vacanza di agosto è dedicata (salvo due giorni in cui mi raggiunge Giorgio, Kasnapoff e Harrer) a fare della gamba. E dopo questa settimana, il fioretto dello stop all'alcool fino al 13 settembre.

Ecco, tutto il mio allenamento sta qua. Non so se vantarmi del fatto che ciò mi sia bastato, o vergognarmi perchè potevo fare di più e meglio. Ma credo sempre che l'importante sia divertirsi, soffrire un po' ma non troppo. Certo, finchè le cose vanno bene si fa presto a dire ciò.

L'ansia cresce, la data si avvicina. Il meteo: la speranza di un meteo clemente, senza temporali, senza piogge persistenti, neve ai passi, freddo. Inizio a scrutarlo una settimana prima, la settimana di riposo dagli allenamenti, in cui le corsette servono giusto per tenere arzilli i muscoli. Sembra buono, sole e caldo: di notte si starà bene, di giorno si patirà un po', ma l'afosa pianura padana mi ha temprato.

E compio pure l'errore che aumenta le mie paure. La domenica prima della gara un'escursione con Stefania che doveva esser soft e diventa 18km per 1400m D+: cazzo, devo riposare io! Chissà se ho tutto, se dimenticherò qualcosa. Quanto cibo porto con me? E vestiti e cambi? 

Al controllo materiale stupisco i giudici per due motivi. Uno "ma quanta roba hai da mangiare? Pensi di morire di fame?", e manco han visto le scorte sulle tasche laterali.. Due "questa sistemazione della frontale non l'avevo mai vista!" io la metto nella scatola cilindrica dei chevingum. Dormo un'ora in macchina, di più non riesco. Dal palazzetto dello sport di Gressoney Saint Jean mi muovo verso la piazza dello stesso paese, dal quale partirà alla 21 la Tot Dret 2018. La mia Tot Dret 2018.

Emozionato sì, ma nemmeno troppo agitato. In fondo sto andando a divertirmi, non a un'esecuzione. Un po' nervoso, ma cerco di rilassarmi ascoltando un po' di musica. Guarda che comoda panchina su cui sedermi, mi siedo, poi attaccano a palla le casse della manifestazione e mi tocca cercarmi un posto più tranquillo. Arriva il momento di entrare dentro l'area di partenza, ormai è buio. Sono dentro. Il dado è tratto. 

Mi siedo e continuo ad ascoltare musica, intorno a me la folla di trailer aumenta fino a nascondermi. Non mi sento molto a mio agio, mi sentirò meglio in salita in mezzo a molta meno gente. Le infinite presentazioni, gli slogan, le belle parole del presentatore, poi viene il momento di partire. Ci siamo. Start. 

Come mio solito, non ho nessun interesse a stare nelle prime file, tanto non punto alla vittoria, mi basta arrivare. E devo impormi di risparmiare, amministrare, non bruciare le energie e tenerne da conto. Non stimolare la formazione di vesciche, dolori muscolari o articolari. Calma. Sai cosa? E allora cammino anche questo primo pezzo in piano, tiè. 

Così facendo mi ritrovo alla prima salita ripida infognato in mezzo alla gente: sono un brocco, ma in salita riesco a dire la mia, e qui sto perdendo tempo. Ma almeno riposo. In qualche tornante con uno scatto riesco a guadagnare posizioni, o meglio, ma ad avvicinarmi al mio ritmo. Dopo il Rifugio Alpenzu mi ritrovo a fare due chiacchiere coi primi "amici" della Tot Dret: ok esser da soli, ma in qualche tratto fare due chiacchiere con qualcuno aiuta.

Magicamente al Col Pinter, in piena notte, una piccola delegazione di support ci incita rumorosamente: la forza del Tor de Geants e quindi anche della Tot Dret è il tifo dei valdostani. Forte, costante, sembra che a questo popolo abbiano impiantato il chip del tifo: li trovi che salgono i sentieri alle 3 di notte, oppure che durante una normale conversazione con un altro valdostano interrompono la stessa per un sonoro "alè alè alè bravo bravo alè".

La discesa merita già attenzione di giorno, figurarsi di notte. Devo pensare a frenare e non farmi male. E comincio pure a capire quanto saranno lunghi i km di questa corsa: Saint Jacques non arriva mai.. E quanto sono lunghe le discese! Quanto D- continuo, a lottare con la gravità ma in un altro modo, in quello in cui le articolazioni rischiano e i muscoli devono lavorare ancora di più.

"Benvenuti in Val d'Ayas" ci accolgono i paesani. Sosta breve e si riparte. Continuo sorpasso e sorpassato con una cinese che corre e cammina alternativamente: il mio passo veloce mi consente di poter camminare e superare gente che corricchia, e di risparmiare. Dopo un tratto di asfalto si ricomincia a salire, nel bosco inizialmente, ma una volta che gli alberi si diradano le lucine delle frontali sono sempre più numerose.

Non spingo troppo, ma recupero posizioni senza rimanere imbrigliato nella folla come all'inizio. La notte è un'amica avvolgente: un po' ti coccola nei suoi spazi piccoli (il buio non ti permette di vedere la vastità) ma un po' ti opprime e imprigiona per lo stesso motivo. Il Rifugio Gran Tourmalin mi ristora e scalda col the caldo, ma ho già visto il proseguo della salita grazie alla pista di frontali.

Le stelle, quante. Ne ho passate di notti fuori, ma non so se ricordo una stellata simile. C'è da fermarsi e perdersi a contemplare e perdersi in tutti questi puntini bianchi. Il silenzio. Senza un filo di vento mi fermo a sentire il nulla, a non sentire. Sensazione strana avere uno dei nostri sensi che non percepisce nulla non perchè non funziona, ma perchè non c'è nulla. Fantastico.

Col di Nana e discesa, più piacevole di prima, tantochè quasi non la ricordo: deve esser passata fluida. Valtournenche sarebbe una base vita per il Tor de Geants, ma non per noi. Mangio poco, forse troppo poco: vado avanti a dolci senza prendere pasta o simili. Va beh, sto bene così. Si riparte, e dopo poco passiamo una donna, è la seconda del Tor de Geants. Passiamo, plurale, sono in compagnia di due ragazzi con cui scambio un po' di chiacchiere, anche se non mi sembrano cordiali come quelli prima del Col Pinter.

Salendo verso il Rifugio Barmasse ho sognato che potesse essere in gestione alla famiglia di quel Barmasse, e magari trovarci dentro quel Barmasse. E magari trovarlo a fare il tifo per me, scattare una foto con lui con la didascalia "per una volta i ruoli si scambiano: Herve a fare tifo per Andrea". Ma il gestore è a letto, e due finanzieri ci servono vivande e cibo. Pazienza.

Riparto, da solo, una zona semi piana ci conduce lentamente verso l'alba. Faccio appena in tempo a vedere la sagoma dell'imponente Cervino prima di abbandonare queste zone: la faccio notare al ragazzo davanti a me, nuova ma breve compagnia del viaggio. La luce, la vista sconfinata, è un bello stacco rispetto a ciò che è stato stanotte: vedere tutto fa comprendere ancora di più quanto manca, quanto lontane siano le cose, ma anche dosarsi in base a cosa ti aspetta.

Non è che a casa abbia studiato bene il percorso. Ho guardato le altimetrie, letto le brevi descrizioni, ma chi se le ricorda. Unica grossa cosa è stata rifare la tabellina dei cancelli per vedere che margine potessi avere in base a una certa velocità di crociera. Ecco tutto il mio studio. 

I 4km che il cartello indicava al Ristoro Gordza dovevano esser errati, si sono sbagliati. Me ne convinco, arrivo al laghetto accolto da un paio di ragazza che da brave valdostane col chip quando mi vedono interrompono i loro discorsi per il consueto "Alè Alè alè!". Un ragazzo zoppica, prova a fare stretching, ma mentre sono alla seconda crostatina sento la sua ragazza che lo assiste dirgli "vengo fin qua in macchina o ce la fai almeno a scendere al parcheggio?". Ignora tutto, vai avanti.

Inizia il caldo. Mi cambio? Avevo deciso di cambiarmi e mettermi qualcosa di asciutto dal sudore a Valtournanche, ma poi ho pensato fosse meglio aspettare la luce del giorno. Ora c'è, però mi sento bene, potrei continuare ancora un po'. Salitella nell'afa del bosco, Col Fenetre, e discesa ripida a mille tornanti, dove la bacchetta interna in curva si puntella come a sciare.

Ma dov'è il prossimo ristorooooo? Il piano mi uccide dentro visto che mi sembra tempo perso a rimando della fatica della salita. Almeno questi prati sono quasi tutti all'ombra. Al Rifugio Magia decido che è ora di iniziare a fare scorte di energie mangiando del formaggio. Sempre soste brevi, sui cancelli sono bene in anticipo,  sto cominciando a commettere l'errore: pensare in grande.

Se proseguo di questo passo potrei arrivare addirittura in meno di 30 ore, magari a mezzanotte sono a Courmayeur, posso docciarmi e dormire fino alle 8 per il primo bus. Spettacolo, torno a casa presto e mi godo pure la giornata. Via questi pensieri, sta calmo che è ancora lunga, e all'Ultra trail degli Dei hai visto come si faccia presto a passare dalle stelle alle stalle.

E infatti al Rifugio Cuney arrivo a fatica, il mio passo in salita non è più brillante come prima. Mi fermo e con calma mi rifocillo. Ci mancavano pure le nuvole, sta a vedere che prendiamo l'acqua che palle! Ma intanto meglio mettere gli occhiali da sole. E non ho ancora messo la crema per il sole: mi tira il culo tantissimo, ma sapendo che mi scotto facilmente mi ero promesso di metterla. E invece vince il tiramento: vedi come la paghi (e invece no).

Il Bivacco Clermont non arriva mai. Bei posti, ma non si apprezzano a pieno oggi. Dal Col Vessona la vista è sconfortante: nessuna traccia di Oyace, e i km del mio gps sono molto più lunghi del previsto: dal Cuney a Oyace conterò 10km in più rispetto ai previsti, qualcosa non va ma non mi sconforto. La gente mi supera in discesa, allegra, mentre io vorrei solo del pari per non soffrire le discese. Ma la stessa gente la supero nell'odiosa salita calda nella polvere. Ma dimmi te se c'era proprio da passare di qua e poi scendere su asfalto.

A Oyace parlo e ascolto coi miei commensali, ora che ho deciso sia ora di mangiare pure della pasta. Li sento discutere del caldo, di una salita al sole maledetta, ma orami siamo qua, e anche se il vantaggio sui cancelli si è ridotto (o meglio, non si è incrementato) bisogna andare. Calma, andare con calma. Mi accodo a un signore che ha ben più esperienza di me, uno che viaggia, nonostante in salita ansimi come un trattore quando io invece respiro normale. Ma gli sto dietro, sfrutto la sua andatura per non esagerare con la mia.

Non giovani ci accolgono al loro ristoro, dove un ragazzo che si era aggiunto alla nostra combricola si accascia e dorme su un letto improvvisato. Io non ho sonno, e posso procedere verso il Col Brison: gli altri due son partiti senza dirmi nulla. Sali e scendi, sali e scendi, raggiungi un colle e vedi il prossimo. Da questo si vede il prossimo, madonna.

Discesa lunga, psicologicamente dura visto che la direzione iniziale del tracciato sembra allontanarmi dalla destinazione, che vedevamo dal colle e in linea d'aria pareva vicina ("vicina" relativamente agli spazi di questa corsa). Basta, a Ollomont mi cambio, e in più siccome mi rendo conto che mi sono fatto dei viaggi sul fatto di metterci 30 ore, voglio pure riposarmi: meglio risparmiarmi e arrivare in fondo anche in 40 ore piuttosto che bruciarsi a mandare tutto in vacca.

Arrivo alla base vita, unica base vita del nostro percorso. Cos'è una base vita? Un luogo riparato dove l'organizzazione porta la borsa che gli hai consegnato (dove si possono mettere indumenti di ricambio, rifornimenti di cibo, scarpe di riserva, ecc), dove puoi mangiare un pasto caldo (questo anche in altri ristori comunque) e dove ci sono brande per dormire quanto vuoi (in altri ristori ti fanno dormire massimo 2h). Sai cosa? La voglio sfruttare la base vita.

Arrivo che c'è ancora poca gente, sono le 18:20 circa. Prendo la mia borsa e mangio, senza esagerare. Ho deciso di dormire un po' qui, ne approfitto e riparto più riposato: anche perchè al Malatrà vorrei arrivare per vedere l'alba sul Monte Bianco, non in piena notte! Scambio due parole con Emilio che mi sta di fronte e che mi accompagnerà per tutto il tratto finale, accendo il telefono per dare un'occhiata la meteo, qualche messaggio alla morosa. Un'occhiata al meteo.

Finito di mangiare mi cambio (niente doccia, non ho accappatoio, ma una lavatina col mini asciugamano sì). Due vesciche negli unici punti dove non ho messo Fissan: le buco e ci metto il compeed (evitiamo l'errore dell'Ultra Trail delgli Dei!). Scroscio d'acqua sul tendone, meno male non sono partito subito, a differenza di Emilio. Chiedo dov'è la stanza o tendone per dormire.

Amara sorpresa: noi sfigati della Tot Dret per dormire abbiamo a disposizione ben 6 brande (siamo partiti in più di 260) in un angolo della sala mensa a poche decine di cm da chi mangia, e con ben 3 coperte (3 coperte in tutto, 3 brande sono senza).

Mi incazzo.

Mi garantisci una base vita e questo è quello che trovo? Mi tocca sdraiarmi su una panca, chiedo una coperta almeno e mi rispondono che "le hanno tutte nella stanza riservata al Tor de Geants". Riservata al Tor de Geants.. "Io capisco che non sia direttamente colpa tua, ma fai presente all'organizzazione che mi sono lamentato e sono incazzato!". Mi sdraio. Dopo poco una ragazza volontaria mi porta il suo pile. Gentilissima. Dopo pochi minuti mi portano una coperta. Ma ve..

Con questo casino, nonostante nelle ultime 28h abbia dormito solo 1h, dormo forse 10min dei 30 che mi ero prefissato. Mi sveglio e chiamo l'aiuto da casa per farmi infondere un po' di incoraggiamento. A dire il vero, di testa, sto bene. Stanco il giusto fisicamente, ma di testa zero problemi. Chiaro, vorrei una birra media, un letto comodo e altre comodità, ma di continuare ne ho voglia.

Riparto alle 20:30 ormai è buio, e ahimè dopo poco inizia a piovere. Mi bardo bene che non voglio inzupparmi, ma mi inzuppo di sudore. Piove bene, mi accodo a due persone che pare sappiano la strada da seguire. Poco distante un temporale si avvicina coi suoi fulmini..dai cavolo resisti.

Al Rifugio Champillon non piove più, ristoro veloce sperando di asciugare qualcosa e riparto, sfruttando la pista che mi fanno i due di prima che in breve raggiungo. Sì, li sfrutto, mi metto in scia. E che c'è di male? Tanti lo hanno fatto con me, io lo faccio con loro. Temporale finito ma in lontananza slampa..spero non finirci dentro e che non ne arrivino altri. Posso farcela cazzo.

Solita eterna discesa anche dal Col Champillon, e al buio. Cambio frontale e Dio benedica quella di Nicola che fa davvero luce, non come la mia o quella di Giorgio: power! Go! Scendo più sereno ora, e illusomi di dover arrivare molto giù, il ristoro di Pontelle Desot è una bella sorpresa. Meno i 12km quasi in piano che seguono: attacco la musica nel cellulare, metto le cuffiette, bastoncini, e via di tricipiti a spingere anche con le braccia come se non ci fosse un domani. Ma vista l'ora, è già domani.

Sono a Saint-Rhemy en Bosses. Nessuna traccia di Emilio. Me la prendo con calma. Mi manca poco, non fregarti con l'irruenza e la smania di un giovincello: hai l'età per essere maturo e capire che è inutile tirare adesso. Riposa. Mangio, sosto, riparto. Arrivare al Rifugio Frassati si dimostra meno duro di quello che temevo, ma in un tratto di scarsa pendenza mi coglie un po' di sonno: devo cantare a vanvera inventandomi un testo per non scivolare nella trappola. Poi il terreno si impenna e la fatica risolve tutto.

Al rifugio ritrovo Emilio, che non sta benissimo. Ziocanta, ci saranno 30° dentro questo rifugio, non ci si può stare. Il rifugista mi fa uno dei puoi bei complimenti che potessi ricevere in quel momento "hai la faccia serena, si vede che stai bene, dai che ce la fai". Emilio parte, io poco dopo, lo raggiungo, e da questo momento finiremo tutto il resto del percorso insieme. 

In salita ne ho ancora da vendere, ma lo aspetto. Chiacchierando passa molto di più e posso imparare anche qualcosa. Inoltre, non me ne voglia se leggerà queste parole, mi pare di aiutarlo, di sostenerlo. La salita al Malatrà non è tutta la tragedia che dipingevano, ma di certo è scoscesa e su terreno brutto. E al colle non è ancora l'alba, cacchio, troppo presto. 

Si vabbeh ma mica rimaniamo qui, giù. Il Massicico del Monte Bianco mi guarda, le Grand Jorasses di profilo: sogni proibiti, ma in questo momento ne ho un altro. Discesa, ristoro imprevisto e veloce, risalita verso un altro colletto, e poi discesone. Ma io di correre in discesa non ne ho voglia, se possa evito. Finchè non iniziano a superarci in tanti, il terreno si fa quasi piano, e allora Emilio mi dice "dai, neanche una corsetta? magari così alle 10 ci siamo a Courmayeur".

Maledetto. Inizio a correre, a spremere le mie ultime energie, anche mentali. Il Rifugio Bertone non arriva mai, sempre dietro un'altra curva secondo quello smemorato di Emilio. Il quale mi promette anche una discesa iper rapida, gradoni dal Bertone al paese: bene! Un veloce boccone al rifugio e poi giù, ma..su sentiero normale.

Pendenza classica, tanta gente che sale e che incita, caldo, sole, polvere. Inizio il conto alla rovescia in formato secondi talmente non ne posso più di scendere. Salita? Sì, in salita andrei ancora! Asfalto, dai ormai ci siamo, mancherà poco. No, sono ancora fuori dal centro. Case, ora ci sarò. No. Sembra che siamo sbucati dalla parte opposta dell'arrivo accidenti, e io continuo a correre come un pirla nella speranza che siano gli ultimi 100m. E non posso certo smettere con tutti questi che mi guardano e applaudono.. Emilio pochi secondi davanti a me.

Una certa folla e delle transenne mi fanno capire che l'arrivo è vicino. Un momento che ho sognato per 37,5 ore è giunto e sta volando via in così pochi secondi. Che ho sognato per 37,5h; beh, sono parecchi mesi che lo sogno, diciamo da quando ho fatto click. Sbagliando, avevo lacrime e commozione già al 40imo km, quando sentivo (speravo) di farcela. Le avevo anche più dopo, e le trattenevo sempre perchè dovevo stare calmo e non dire gatto finchè non ce l'hai nel sacco. E adesso che potrei lasciarmi andare, quasi nulla. Non so, mi sembra tutto così irreale. 

Mi chiedono di firmare il poster della manifestazione: sono un finisher. "Finisher", questo timbro di cui tanto ho letto o sentito parlare con orgoglio per quelli che finiscono il Tor de Geants e che speravo toccasse anche a me un giorno. Ecco quel giorno. Ed ecco pure la mia felpa che lo attesta. Intervistano Emilio, io tra me e me penso a qualcosa di furbo e ad effetto da dire se mi chiedessero qualcosa anche a me. Ma non mi viene in mente nulla di geniale, e per fortuna non mi chiedono nulla. 

Semplicemente, è tutto finito. Spesso si dice che il viaggio è più emozionante della meta, e anche la pianificazione del viaggio. Mai frase fu così sensata come oggi. Mi sembra così di autosminuirmi, di non essere sufficientemente felice di ciò che ho fatto. Ma se mi fermo un attimo a riflettere sulle due intere notti passate fuori, sulle discese al buio, sul caldo, sulla vastità dei paesaggi, sull'aver attraversato mezza Val d'Aosta..mado', che ho fatto?!

Entriamo al piccolo ristoro, Emilio mi saluta: ha fretta, credeva di finire prima e deve andare a casa. "Sai, credo che questa potrebbe essere l'ultima che faccio. Ne ho fatte già tante in passato, probabilmente abbastanza, e non tutta questa fatica non controbilancia più le mie gioie". E io? Beh, io ne ho fatte poche, questa l'ho finita senza essere distrutto fisicamente. E da Courmayeur parte un'altra ultra trail piuttosto bellina.

Mi informo su come arrivare al palazzetto per fare doccia, mangiare, dormire e aspettare il bus per Gressoney. Torno al ristoro e chiedo una birra, "quant'è?" "Nulla, ne puoi prendere quanta vuoi" "Signora, occhio, è un mese che non bevo per prepararmi a questa gara, diventa una situazione pericolosa se faccio fede alla sua frase!".

Al palazzetto una bella doccia non me la toglie nessuno. Due docce, che devo esser bello sporco. Un massaggio, durante il quale sono certo di addormentarmi sul lettino, e credo che la massaggiatrice se ne sia accorta. Il tempo di un pranzo quasi come si deve (accompagnato da un'altra birretta) in questo spazio enorme stranamente silenzioso: un'area dove pare regnare un'unica cosa, la fatica e la stanchezza.

Sarebbe il momento dei ringraziamenti, o meglio di riconoscimenti. Ringraziare devo ringraziare solo me, corpo e fisico, sono io che ho fatto e sono arrivato fino in fondo. Ma devo riconoscere e apprezzare il supporto che mi hanno dato le persone vicine a me: la pazienza nel sopportare le mie levatacce per gli allenamenti e le cene tardi per gli stessi motivi (anche se a onor del vero non ho nemmeno esagerato in tutto ciò). Gli amici che "No, questo weekend non arrampico, devo riposarmi e allenarmi nella corsa..". Quelli con cui mi sono allenato e mi hanno sostenuto, nonostante quei "Cazzi tuoi" "Complimenti anche solo per il coraggio di esserti iscritto" "Occhio ai cancelli!". Quelli che mi hanno insinuato la passione per il trail, e una persona in particolare che ora non c'è più e che sarebbe fiera di me, nonostante non mi sia allenato e curato come lui mi avrebbe imposto.

La vita, che mi permette di fare ciò e che cerco di onorare vivendola a fondo.


E sdolcinata finale, l'ultimo post sul mio profilo Instagram sulla Tot Dret 2018:
Martedì pomeriggio mi hanno messo questo braccialetto al polso: numero 2226. Uscendo ho pensato "Ma guarda,sembra il bracciale dell'ospedale. Sì,dell'ospedale psichiatrico! Sana follia a iscriversi a una gara come la Tot Dret,spero arrivare in fondo". Ridevo (risata isterica a tratti). Ma quasi immediatamente ho poi pensato che sono fortunato a potermi iscrivere a una gara del genere:persone che hanno un braccialetto simile sono davvero all ospedale,e non per un appendicite. Amici e parenti che non ci sono più,o non più come prima. Altri che se la passano male. Persone giovani la cui vita viene all'improvviso stravolta da un -oma. Sono davvero fortunato. Perciò ora dacci dentro, divertiti, impegnati, suda, vivi, non piagnucolare, anche in onore e rispetto a quelli che vorrebbero,ma non possono. E non per scelta loro:a questi è toccata una gara più dura,un sorteggio senza iscrizione.

Nessun commento:

Posta un commento