Fino
a pochi anni fa credevo certe cose impossibili per me. Ho iniziato a fare trail
con la Marcia dei Tori,
la corsa di casa. Poi qualche "giretto" più lungo in solitaria, come
la Traversata del Baldo.
Poi stando via anche di notte da solo, tra cui la cavalcata dello 00 modenese e reggiano. Quest'anno
qualche trail lungo (Ultra Trail egli Dei e Amortotto Ultra Trail) frutto anche del riscatto voluto dopo l'infortunio.
Ma
come diceva il ragazzo del Rifugio Aosta "sono un trailer valdostano semplice, vorrei fare il Tor de Geants", il Tor de Geants resta il miraggio, il sogno per ogni corridore di montagna. Per ogni
appassionato "veloce" di montagna. E io, ci son dentro. Ma il TOR è
troppo ancora per me, troppa preparazione richiesta, e anche una certa spesa
economica. Ma quando ho scoperto a primavera l'esistenza della parallela Tot Dret..una lampadina si è
accesa.
Una
lampadina che è diventata presto un fuoco, e poi un vulcano. Però diavolo, è
dura: tanti km, tanto dislivello, tante ore di notte e nel periodo dell'anno in
cui la notte inizia a durare più del giorno. Non so se ce la faccio. Corro
l'Amortotto Ultra Trail, guadagno altri 4 punti ITRA, e quel diavolo di Andrea mi dice "Beh, se fai
una gara da 6 punti, puoi tentare di iscriverti all'UTMB il prossimo
anno". E quanti punti varrà mai la Tot Dret?
A volte basta un click. Il mouse è uno
strumento terribilmente potente nella sua semplicità: il pagamento on line di
un bene non essenziale ma accattivante, una mail inoltrata alla persona
sbagliata, la conferma di iscrizione a qualcosa di folle. Click, "La tua
iscrizione è confermata". Ecco, ci sono dentro a piedi pari.
E
adesso? Dovrei allenarmi. Cambiare alimentazione, studiare un po' meglio cosa
fare e non fare. Cercare il materiale obbligatorio, leggere libri di chi ha
affrontato il Tor de Geants per capire come funziona, recepire consigli e assimilare
esperienza che non ho. Magari farmi seguire da un esperto per allenarmi meglio
e mangiare meglio. Come sempre, tanti buoni propositi per poi ridursi a un
"ma va la, devo divertirmi, se finora ce l'ho fatta con questa filosofia,
posso farcela anche stavolta".
Inizio
a correre le ripetute, unica vera novità nel mio allenamento. Forse ci do
dentro un po' più del solito, alternando corsa, bici, nuoto. Ma nessuna prova
di corsa di notte specifica, la mia passione primaria resta l'alpinismo e a lui
do la precedenza. Almeno fino a un mese prima dello start. La settimana di vacanza di agosto
è dedicata (salvo due giorni
in cui mi raggiunge Giorgio, Kasnapoff e Harrer) a fare della gamba. E dopo questa settimana, il
fioretto dello stop all'alcool fino al 13 settembre.
Ecco,
tutto il mio allenamento sta qua. Non so se vantarmi del fatto che ciò mi sia
bastato, o vergognarmi perchè potevo fare di più e meglio. Ma credo sempre che
l'importante sia divertirsi, soffrire un po' ma non troppo. Certo, finchè le
cose vanno bene si fa presto a dire ciò.
L'ansia
cresce, la data si avvicina. Il meteo: la speranza di un meteo clemente, senza
temporali, senza piogge persistenti, neve ai passi, freddo. Inizio a scrutarlo
una settimana prima, la settimana di riposo dagli allenamenti, in cui le
corsette servono giusto per tenere arzilli i muscoli. Sembra buono, sole e
caldo: di notte si starà bene, di giorno si patirà un po', ma l'afosa pianura
padana mi ha temprato.
E
compio pure l'errore che aumenta le mie paure. La domenica prima della gara
un'escursione con Stefania che doveva esser soft e diventa 18km per 1400m D+:
cazzo, devo riposare io! Chissà se ho tutto, se dimenticherò qualcosa. Quanto
cibo porto con me? E vestiti e cambi?
Al
controllo materiale stupisco i giudici per due motivi. Uno "ma quanta roba
hai da mangiare? Pensi di morire di fame?", e manco han visto le scorte
sulle tasche laterali.. Due "questa sistemazione della frontale non
l'avevo mai vista!" io la metto nella scatola cilindrica dei chevingum.
Dormo un'ora in macchina, di più non riesco. Dal palazzetto dello sport di Gressoney Saint Jean
mi muovo verso la piazza dello stesso paese, dal quale partirà alla 21 la Tot Dret 2018. La mia Tot Dret 2018.
Emozionato
sì, ma nemmeno troppo agitato. In fondo sto andando a divertirmi, non a
un'esecuzione. Un po' nervoso, ma cerco di rilassarmi ascoltando un po' di
musica. Guarda che comoda panchina su cui sedermi, mi siedo, poi attaccano a
palla le casse della manifestazione e mi tocca cercarmi un posto più
tranquillo. Arriva il momento di entrare dentro l'area di partenza, ormai è
buio. Sono dentro. Il dado è tratto.
Mi
siedo e continuo ad ascoltare musica, intorno a me la folla di trailer aumenta
fino a nascondermi. Non mi sento molto a mio agio, mi sentirò meglio in salita
in mezzo a molta meno gente. Le infinite presentazioni, gli slogan, le belle
parole del presentatore, poi viene il momento di partire. Ci siamo. Start.
Come
mio solito, non ho nessun interesse a stare nelle prime file, tanto non punto
alla vittoria, mi basta arrivare. E devo impormi di risparmiare, amministrare,
non bruciare le energie e tenerne da conto. Non stimolare la formazione di
vesciche, dolori muscolari o articolari. Calma. Sai cosa? E allora cammino
anche questo primo pezzo in piano, tiè.
Così
facendo mi ritrovo alla prima salita ripida infognato in mezzo alla gente: sono
un brocco, ma in salita riesco a dire la mia, e qui sto perdendo tempo. Ma
almeno riposo. In qualche tornante con uno scatto riesco a guadagnare
posizioni, o meglio, ma ad avvicinarmi al mio ritmo. Dopo il Rifugio Alpenzu mi
ritrovo a fare due chiacchiere coi primi "amici" della Tot Dret: ok
esser da soli, ma in qualche tratto fare due chiacchiere con qualcuno aiuta.
Magicamente
al Col Pinter, in piena notte, una piccola delegazione di support ci incita
rumorosamente: la forza del Tor de Geants e quindi anche della Tot Dret è il tifo dei
valdostani. Forte, costante, sembra che a questo popolo abbiano impiantato il
chip del tifo: li trovi che salgono i sentieri alle 3 di notte, oppure che
durante una normale conversazione con un altro valdostano interrompono la
stessa per un sonoro "alè alè alè bravo bravo alè".
La
discesa merita già attenzione di giorno, figurarsi di notte. Devo pensare a
frenare e non farmi male. E comincio pure a capire quanto saranno lunghi i km
di questa corsa: Saint Jacques non arriva mai.. E quanto sono lunghe le
discese! Quanto D- continuo, a lottare con la gravità ma in un altro modo, in
quello in cui le articolazioni rischiano e i muscoli devono lavorare ancora di
più.
"Benvenuti
in Val d'Ayas" ci accolgono i paesani. Sosta breve e si riparte. Continuo
sorpasso e sorpassato con una cinese che corre e cammina alternativamente: il
mio passo veloce mi consente di poter camminare e superare gente che
corricchia, e di risparmiare. Dopo un tratto di asfalto si ricomincia a salire,
nel bosco inizialmente, ma una volta che gli alberi si diradano le lucine delle
frontali sono sempre più numerose.
Non
spingo troppo, ma recupero posizioni senza rimanere imbrigliato nella folla
come all'inizio. La notte è un'amica avvolgente: un po' ti coccola nei suoi
spazi piccoli (il buio non ti permette di vedere la vastità) ma un po' ti
opprime e imprigiona per lo stesso motivo. Il Rifugio Gran Tourmalin mi ristora
e scalda col the caldo, ma ho già visto il proseguo della salita grazie alla
pista di frontali.
Le
stelle, quante. Ne ho passate di notti fuori, ma non so se ricordo una stellata
simile. C'è da fermarsi e perdersi a contemplare e perdersi in tutti questi
puntini bianchi. Il silenzio. Senza un filo di vento mi fermo a sentire il
nulla, a non sentire. Sensazione strana avere uno dei nostri sensi che non
percepisce nulla non perchè non funziona, ma perchè non c'è nulla. Fantastico.
Col
di Nana e discesa, più piacevole di prima, tantochè quasi non la ricordo: deve
esser passata fluida. Valtournenche sarebbe una base vita per il Tor de Geants, ma non
per noi. Mangio poco, forse troppo poco: vado avanti a dolci senza prendere
pasta o simili. Va beh, sto bene così. Si riparte, e dopo poco passiamo una
donna, è la seconda del Tor de Geants. Passiamo, plurale, sono in compagnia di due
ragazzi con cui scambio un po' di chiacchiere, anche se non mi sembrano
cordiali come quelli prima del Col Pinter.
Salendo
verso il Rifugio Barmasse ho sognato che potesse essere in gestione alla famiglia di quel Barmasse, e
magari trovarci dentro quel Barmasse. E magari trovarlo a fare il tifo per me,
scattare una foto con lui con la didascalia "per una volta i ruoli si
scambiano: Herve a fare tifo per Andrea". Ma il gestore è a letto, e due
finanzieri ci servono vivande e cibo. Pazienza.
Riparto,
da solo, una zona semi piana ci conduce lentamente verso l'alba. Faccio appena
in tempo a vedere la sagoma dell'imponente Cervino prima di abbandonare queste
zone: la faccio notare al ragazzo davanti a me, nuova ma breve compagnia del
viaggio. La luce, la vista sconfinata, è un bello stacco rispetto a ciò che è
stato stanotte: vedere tutto fa comprendere ancora di più quanto manca, quanto
lontane siano le cose, ma anche dosarsi in base a cosa ti aspetta.
Non
è che a casa abbia studiato bene il percorso. Ho guardato le altimetrie, letto
le brevi descrizioni, ma chi se le ricorda. Unica grossa cosa è stata rifare la
tabellina dei cancelli per vedere che margine potessi avere in base a una certa
velocità di crociera. Ecco tutto il mio studio.
I
4km che il cartello indicava al Ristoro Gordza dovevano esser errati, si sono
sbagliati. Me ne convinco, arrivo al laghetto accolto da un paio di ragazza che
da brave valdostane col chip quando mi vedono interrompono i loro discorsi per
il consueto "Alè Alè alè!". Un ragazzo zoppica, prova a fare
stretching, ma mentre sono alla seconda crostatina sento la sua ragazza che lo assiste
dirgli "vengo fin qua in macchina o ce la fai almeno a scendere al
parcheggio?". Ignora tutto, vai avanti.
Inizia
il caldo. Mi cambio? Avevo deciso di cambiarmi e mettermi qualcosa di asciutto
dal sudore a Valtournanche, ma poi ho pensato fosse meglio aspettare la luce
del giorno. Ora c'è, però mi sento bene, potrei continuare ancora un po'.
Salitella nell'afa del bosco, Col Fenetre, e discesa ripida a mille tornanti,
dove la bacchetta interna in curva si puntella come a sciare.
Ma
dov'è il prossimo ristorooooo? Il piano mi uccide dentro visto che mi sembra
tempo perso a rimando della fatica della salita. Almeno questi prati sono quasi
tutti all'ombra. Al Rifugio Magia decido che è ora di iniziare a fare scorte di energie mangiando del
formaggio. Sempre soste brevi, sui cancelli sono bene in anticipo, sto cominciando a commettere l'errore:
pensare in grande.
Se
proseguo di questo passo potrei arrivare addirittura in meno di 30 ore, magari
a mezzanotte sono a Courmayeur, posso docciarmi e dormire fino alle 8 per il
primo bus. Spettacolo, torno a casa presto e mi godo pure la giornata. Via
questi pensieri, sta calmo che è ancora lunga, e all'Ultra trail degli Dei hai
visto come si faccia presto a passare dalle stelle alle stalle.
E
infatti al Rifugio Cuney arrivo a fatica, il mio passo in salita non è più
brillante come prima. Mi fermo e con calma mi rifocillo. Ci mancavano pure le
nuvole, sta a vedere che prendiamo l'acqua che palle! Ma intanto meglio mettere
gli occhiali da sole. E non ho ancora messo la crema per il sole: mi tira il
culo tantissimo, ma sapendo che mi scotto facilmente mi ero promesso di
metterla. E invece vince il tiramento: vedi come la paghi (e invece no).
Il
Bivacco Clermont non arriva mai. Bei posti, ma non si apprezzano a pieno oggi.
Dal Col Vessona la vista è sconfortante: nessuna traccia di Oyace, e i km del
mio gps sono molto più lunghi del previsto: dal Cuney a Oyace conterò 10km in
più rispetto ai previsti, qualcosa non va ma non mi sconforto. La gente mi
supera in discesa, allegra, mentre io vorrei solo del pari per non soffrire le
discese. Ma la stessa gente la supero nell'odiosa salita calda nella polvere.
Ma dimmi te se c'era proprio da passare di qua e poi scendere su asfalto.
A
Oyace parlo e ascolto coi miei commensali, ora che ho deciso sia ora di
mangiare pure della pasta. Li sento discutere del caldo, di una salita al sole
maledetta, ma orami siamo qua, e anche se il vantaggio sui cancelli si è
ridotto (o meglio, non si è incrementato) bisogna andare. Calma, andare con calma.
Mi accodo a un signore che ha ben più esperienza di me, uno che viaggia,
nonostante in salita ansimi come un trattore quando io invece respiro normale.
Ma gli sto dietro, sfrutto la sua andatura per non esagerare con la mia.
Non
giovani ci accolgono al loro ristoro, dove un ragazzo che si era aggiunto alla
nostra combricola si accascia e dorme su un letto improvvisato. Io non ho
sonno, e posso procedere verso il Col Brison: gli altri due son partiti senza
dirmi nulla. Sali e scendi, sali e scendi, raggiungi un colle e vedi il
prossimo. Da questo si vede il prossimo, madonna.
Discesa
lunga, psicologicamente dura visto che la direzione iniziale del tracciato
sembra allontanarmi dalla destinazione, che vedevamo dal colle e in linea
d'aria pareva vicina ("vicina" relativamente agli spazi di questa
corsa). Basta, a Ollomont mi cambio, e in più siccome mi rendo conto che mi
sono fatto dei viaggi sul fatto di metterci 30 ore, voglio pure riposarmi:
meglio risparmiarmi e arrivare in fondo anche in 40 ore piuttosto che bruciarsi
a mandare tutto in vacca.
Arrivo
alla base vita, unica base vita del nostro percorso. Cos'è una base vita? Un
luogo riparato dove l'organizzazione porta la borsa che gli hai consegnato
(dove si possono mettere indumenti di ricambio, rifornimenti di cibo, scarpe di
riserva, ecc), dove puoi mangiare un pasto caldo (questo anche in altri ristori
comunque) e dove ci sono brande per dormire quanto vuoi (in altri ristori ti
fanno dormire massimo 2h). Sai cosa? La voglio sfruttare la base vita.
Arrivo
che c'è ancora poca gente, sono le 18:20 circa. Prendo la mia borsa e mangio,
senza esagerare. Ho deciso di dormire un po' qui, ne approfitto e riparto più
riposato: anche perchè al Malatrà vorrei arrivare per vedere l'alba sul Monte
Bianco, non in piena notte! Scambio due parole con Emilio che mi sta di fronte
e che mi accompagnerà per tutto il tratto finale, accendo il telefono per dare
un'occhiata la meteo, qualche messaggio alla morosa. Un'occhiata al meteo.
Finito
di mangiare mi cambio (niente doccia, non ho accappatoio, ma una lavatina col
mini asciugamano sì). Due vesciche negli unici punti dove non ho messo Fissan:
le buco e ci metto il compeed (evitiamo l'errore dell'Ultra Trail delgli Dei!). Scroscio d'acqua sul
tendone, meno male non sono partito subito, a differenza di Emilio. Chiedo
dov'è la stanza o tendone per dormire.
Amara
sorpresa: noi sfigati della Tot Dret per dormire abbiamo a disposizione ben 6
brande (siamo partiti in più di 260) in un angolo della sala mensa a poche
decine di cm da chi mangia, e con ben 3 coperte (3 coperte in tutto, 3 brande
sono senza).
Mi
incazzo.
Mi
garantisci una base vita e questo è quello che trovo? Mi tocca sdraiarmi su una
panca, chiedo una coperta almeno e mi rispondono che "le hanno tutte nella
stanza riservata al Tor de Geants". Riservata al Tor de Geants.. "Io capisco che non sia
direttamente colpa tua, ma fai presente all'organizzazione che mi sono
lamentato e sono incazzato!". Mi sdraio. Dopo poco una ragazza volontaria
mi porta il suo pile. Gentilissima. Dopo pochi minuti mi portano una coperta.
Ma ve..
Con
questo casino, nonostante nelle ultime 28h abbia dormito solo 1h, dormo forse
10min dei 30 che mi ero prefissato. Mi sveglio e chiamo l'aiuto da casa per
farmi infondere un po' di incoraggiamento. A dire il vero, di testa, sto bene.
Stanco il giusto fisicamente, ma di testa zero problemi. Chiaro, vorrei una
birra media, un letto comodo e altre comodità, ma di continuare ne ho voglia.
Riparto
alle 20:30 ormai è buio, e ahimè dopo poco inizia a piovere. Mi bardo bene che
non voglio inzupparmi, ma mi inzuppo di sudore. Piove bene, mi accodo a due
persone che pare sappiano la strada da seguire. Poco distante un temporale si
avvicina coi suoi fulmini..dai cavolo resisti.
Al Rifugio Champillon non piove
più, ristoro veloce sperando di asciugare qualcosa e riparto, sfruttando la
pista che mi fanno i due di prima che in breve raggiungo. Sì, li sfrutto, mi
metto in scia. E che c'è di male? Tanti lo hanno fatto con me, io lo faccio con
loro. Temporale finito ma in lontananza slampa..spero non finirci dentro e che
non ne arrivino altri. Posso farcela cazzo.
Solita
eterna discesa anche dal Col Champillon, e al buio. Cambio frontale e Dio
benedica quella di Nicola che fa davvero luce, non come la mia o quella di
Giorgio: power! Go! Scendo più sereno ora, e illusomi di dover arrivare molto
giù, il ristoro di Pontelle Desot è una bella sorpresa. Meno i 12km quasi in
piano che seguono: attacco la musica nel cellulare, metto le cuffiette,
bastoncini, e via di tricipiti a spingere anche con le braccia come se non ci
fosse un domani. Ma vista l'ora, è già domani.
Sono
a Saint-Rhemy en Bosses. Nessuna traccia di Emilio. Me la prendo con calma. Mi
manca poco, non fregarti con l'irruenza e la smania di un giovincello: hai
l'età per essere maturo e capire che è inutile tirare adesso. Riposa. Mangio,
sosto, riparto. Arrivare al Rifugio Frassati si dimostra meno duro di quello che temevo, ma in un tratto di scarsa
pendenza mi coglie un po' di sonno: devo cantare a vanvera inventandomi un
testo per non scivolare nella trappola. Poi il terreno si impenna e la fatica
risolve tutto.
Al
rifugio ritrovo Emilio, che non sta benissimo. Ziocanta, ci saranno 30° dentro
questo rifugio, non ci si può stare. Il rifugista mi fa uno dei puoi bei
complimenti che potessi ricevere in quel momento "hai la faccia serena, si
vede che stai bene, dai che ce la fai". Emilio parte, io poco dopo, lo
raggiungo, e da questo momento finiremo tutto il resto del percorso insieme.
In
salita ne ho ancora da vendere, ma lo aspetto. Chiacchierando passa molto di
più e posso imparare anche qualcosa. Inoltre, non me ne voglia se leggerà
queste parole, mi pare di aiutarlo, di sostenerlo. La salita al Malatrà non è
tutta la tragedia che dipingevano, ma di certo è scoscesa e su terreno brutto.
E al colle non è ancora l'alba, cacchio, troppo presto.
Si
vabbeh ma mica rimaniamo qui, giù. Il Massicico del Monte Bianco mi guarda, le
Grand Jorasses di profilo: sogni proibiti, ma in questo momento ne ho un altro.
Discesa, ristoro imprevisto e veloce, risalita verso un altro colletto, e poi
discesone. Ma io di correre in discesa non ne ho voglia, se possa evito. Finchè
non iniziano a superarci in tanti, il terreno si fa quasi piano, e allora
Emilio mi dice "dai, neanche una corsetta? magari così alle 10 ci siamo a
Courmayeur".
Maledetto.
Inizio a correre, a spremere le mie ultime energie, anche mentali. Il Rifugio Bertone non arriva mai,
sempre dietro un'altra curva secondo quello smemorato di Emilio. Il quale mi
promette anche una discesa iper rapida, gradoni dal Bertone al paese: bene! Un
veloce boccone al rifugio e poi giù, ma..su sentiero normale.
Pendenza
classica, tanta gente che sale e che incita, caldo, sole, polvere. Inizio il
conto alla rovescia in formato secondi talmente non ne posso più di scendere.
Salita? Sì, in salita andrei ancora! Asfalto, dai ormai ci siamo, mancherà
poco. No, sono ancora fuori dal centro. Case, ora ci sarò. No. Sembra che siamo
sbucati dalla parte opposta dell'arrivo accidenti, e io continuo a correre come
un pirla nella speranza che siano gli ultimi 100m. E non posso certo smettere
con tutti questi che mi guardano e applaudono.. Emilio pochi secondi davanti a
me.
Una
certa folla e delle transenne mi fanno capire che l'arrivo è vicino. Un momento
che ho sognato per 37,5 ore è giunto e sta volando via in così pochi secondi.
Che ho sognato per 37,5h; beh, sono parecchi mesi che lo sogno, diciamo da
quando ho fatto click. Sbagliando, avevo lacrime e commozione già al 40imo km,
quando sentivo (speravo) di farcela. Le avevo anche più dopo, e le trattenevo
sempre perchè dovevo stare calmo e non dire gatto finchè non ce l'hai nel
sacco. E adesso che potrei lasciarmi andare, quasi nulla. Non so, mi sembra
tutto così irreale.
Mi
chiedono di firmare il poster della manifestazione: sono un finisher.
"Finisher", questo timbro di cui tanto ho letto o sentito parlare con
orgoglio per quelli che finiscono il Tor de Geants e che speravo toccasse anche a me un
giorno. Ecco quel giorno. Ed ecco pure la mia felpa che lo attesta.
Intervistano Emilio, io tra me e me penso a qualcosa di furbo e ad effetto da
dire se mi chiedessero qualcosa anche a me. Ma non mi viene in mente nulla di
geniale, e per fortuna non mi chiedono nulla.
Semplicemente,
è tutto finito. Spesso si dice che il viaggio è più emozionante della meta, e
anche la pianificazione del viaggio. Mai frase fu così sensata come oggi. Mi
sembra così di autosminuirmi, di non essere sufficientemente felice di ciò che
ho fatto. Ma se mi fermo un attimo a riflettere sulle due intere notti passate
fuori, sulle discese al buio, sul caldo, sulla vastità dei paesaggi, sull'aver
attraversato mezza Val d'Aosta..mado', che ho fatto?!
Entriamo
al piccolo ristoro, Emilio mi saluta: ha fretta, credeva di finire prima e deve
andare a casa. "Sai, credo che questa potrebbe essere l'ultima che faccio.
Ne ho fatte già tante in passato, probabilmente abbastanza, e non tutta questa
fatica non controbilancia più le mie gioie". E io? Beh, io ne ho fatte
poche, questa l'ho finita senza essere distrutto fisicamente. E da Courmayeur parte
un'altra ultra trail piuttosto bellina.
Mi
informo su come arrivare al palazzetto per fare doccia, mangiare, dormire e
aspettare il bus per Gressoney. Torno al ristoro e chiedo una birra,
"quant'è?" "Nulla, ne puoi prendere quanta vuoi"
"Signora, occhio, è un mese che non bevo per prepararmi a questa gara,
diventa una situazione pericolosa se faccio fede alla sua frase!".
Al
palazzetto una bella doccia non me la toglie nessuno. Due docce, che devo esser
bello sporco. Un massaggio, durante il quale sono certo di addormentarmi sul
lettino, e credo che la massaggiatrice se ne sia accorta. Il tempo di un pranzo
quasi come si deve (accompagnato da un'altra birretta) in questo spazio enorme
stranamente silenzioso: un'area dove pare regnare un'unica cosa, la fatica e la
stanchezza.
Sarebbe
il momento dei ringraziamenti, o meglio di riconoscimenti. Ringraziare devo
ringraziare solo me, corpo e fisico, sono io che ho fatto e sono arrivato fino
in fondo. Ma devo riconoscere e apprezzare il supporto che mi hanno dato le
persone vicine a me: la pazienza nel sopportare le mie levatacce per gli
allenamenti e le cene tardi per gli stessi motivi (anche se a onor del vero non
ho nemmeno esagerato in tutto ciò). Gli amici che "No, questo weekend non
arrampico, devo riposarmi e allenarmi nella corsa..". Quelli con cui mi
sono allenato e mi hanno sostenuto, nonostante quei "Cazzi tuoi"
"Complimenti anche solo per il coraggio di esserti iscritto"
"Occhio ai cancelli!". Quelli che mi hanno insinuato la passione per
il trail, e una persona in particolare che ora non c'è più e che sarebbe fiera
di me, nonostante non mi sia allenato e curato come lui mi avrebbe imposto.
La
vita, che mi permette di fare ciò e che cerco di onorare vivendola a fondo.
Martedì pomeriggio mi hanno messo questo
braccialetto al polso: numero 2226. Uscendo ho pensato "Ma guarda,sembra
il bracciale dell'ospedale. Sì,dell'ospedale psichiatrico! Sana follia a
iscriversi a una gara come la Tot Dret,spero arrivare in fondo". Ridevo
(risata isterica a tratti). Ma quasi immediatamente ho poi pensato che sono
fortunato a potermi iscrivere a una gara del genere:persone che hanno un
braccialetto simile sono davvero all ospedale,e non per un appendicite. Amici e
parenti che non ci sono più,o non più come prima. Altri che se la passano male.
Persone giovani la cui vita viene all'improvviso stravolta da un -oma. Sono
davvero fortunato. Perciò ora dacci dentro, divertiti, impegnati, suda, vivi,
non piagnucolare, anche in onore e rispetto a quelli che vorrebbero,ma non
possono. E non per scelta loro:a questi è toccata una gara più dura,un
sorteggio senza iscrizione.
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