domenica 29 luglio 2018

Un faticoso parto: Tiefenmatten alla Dent d'Herens

Due anni fa non ci provammo nemmeno. Col Corso A1 2016 del CAI di Carpi eravamo lì a metà giugno, ancora tanta neve e la domenica maltempo: impossibile pensare al lunedì di cavalcare questa cresta e cima. Però possibile di vedere già quello che l'avvicinamento al Rifugio Aosta: ore che ti fanno dire "la prossima tra molti anni!".
E invece, siamo qui dopo soli 25 mesi. Smemorati, colmi degli "ormoni del parto", quelli che ti fanno dimenticare subito le sofferenze e i drammi. Oppure semplicemente famelici di alta quota, vogliosi di creste, siccome tre giorni per fare robette più succulente non li abbiamo questo, questo cassetto c'è e si può aprire.
Partiamo male però. Passo a prendere Giorgio e dopo la colazione occorre tornare a casa sua perchè si è dimenticato l'ombrellino (che servirà!). In auto ci diamo il cambio alla guida, mi addormento e mi risveglio al Decathlon di Alessandria: "Mi sono dimenticato gli occhiali da sole, ne compro un paio". Ad Aosta sbagliamo lo svincolo e non prendiamo il tunnel ma ci spariamo città e tornanti nei paesini. Arrivati alla Diga di Place Moulin, a metà preparazione scoppia il temporale.
Finito il temporale, ci avviamo carichi, per arrivare al Rifugio Prayayer che ha ricominciato a piovere: ci fermiamo a prendere un caffe. Lo si sapeva certo, o meglio si sapeva di schiarite e acquazzoni, mentre qui pare pioggia costante. E forte. Temporeggiamo. "Ma metti che verglassi tutto in quota, c'è da spararsi. Weekend a vuoto". Temporeggiamo, ripartiamo che ancora pioviggina un po', ma non possiamo rischiare di arrivare oltre l'orario di cena al Rifugio Aosta.
L'ombrello dura poco per fortuna, smette, ma le nuvole ci "permettono" di non guardare sù e patire meno l'avvicinamento. In pratica non ci servono gli ormoni del parto, riusciamo a fare un cesareo. Ma la schiena pesa, e le gambe risentono del forse eccessivo allenamento dei giorni passati (e di ieri sera: sono un' insaziabile che poi fa indigestione).
Al rifugio troviamo Claudio (ex-corsista) con un amico, che ci informano che domani saremo quasi 10 cordate, e io che temevo fossimo i soli ad aver pensato di salirla. Invece il rifugio è pieno, talmente pieno che io e Giorgio dormiamo separati, uno nel sottotetto con altri quattro, e io nel ripostiglio a fianco cucina: la suite solitaria con tutti i rumori del secondo turno della cena e di quelli che tanto domani non si svegliano alle..

Alle 2. La Colazione per chi fa la Tiefenmatten è alle 2: eh la madonna, non credevo così presto di regola, ma tanto meglio. Grande onore al gestore che si sveglia per farci la colazione, e non come altri che lasciano tutto sul tavolo. Per aspettare che il the si raffreddi, e volendosela prendere con calma, partiamo quasi per ultimi.
Durante la colazione, dalle finestre, il cielo era funestato da nubi: per fortuna quando usciamo è tutto sereno e rimarrà incredibilmente sereno tutto il giorno, nemmeno temporali pomeridiani. E meno male.. Si torna un po' indietro per il sentiero di avvicinamento, si risale la morena, e finalmente si calzano i ramponi e ci si prepara ad affrontare il ghiacciaio.
Cerchiamo di non forzare il passo che sappiamo la giornata sarà lunga, e su questo tipo di itinerari non abbiamo nemmeno una grande esperienza. Fatto sta che poco dopo le 5 siamo all'attacco delle catene del malefico canale detritico, con cordate davanti a noi che salgono o che si apprestano a farlo. "Sasso!", ok, facciamo che aspettiamo di salire senza nessuno sopra di noi.
Bella la catena, nella quale o nelle cui maglie infiliamo un moschettone con un minimo di longe, ma un passaggio in strapiombo e un traverso delicato ci fanno un po' pensare. Però..sbucare al Colle Tiefenmatten Est con la vista della Dent Blanche e Weisshorn alla prime luci.. beh, senza parole.
Ed ecco la cresta davanti a noi. Roccia merdosa come tutta quella che abbiamo visto finora in valle, sulle pareti, sul ghiacciaio (quella scesa..), ma si immaginava. Però dai, se si sale e se salgono così in tanti. Che poi dire merdosa è esagerato, ma infida sì, eccome se è infida.
Cambio e lascio passare avanti Giorgio, mentre dedico ancora qualche minuto di ammirazione al paesaggio glaciale che si sta svegliando intorno a noi. La prima parte della cresta non presenta difficoltà eccessive, molti tratti si cammina e nemmeno su sezioni affilate (certo che se uno cade, non c'è mica tanto scampo se l'altro non riesce a fermarlo).
Qualche passaggio da pensarci un po', ma confido che il mio amico abbia messo qualche protezione. Certo, non che confidi che possa reggere la caduta di uno dei due con conseguente caduta anche dell'altro strattonato, ma almeno psicologicamente aiuta. La vista di Monte Bianco, Grand Combin e Gran Paradiso e tantissimi altri 4mila illuminati dai raggi del sole, scaldano insieme al sole stesso.
Poi i passaggi iniziano a essere più numerosi, anche qualche tiro di corda e sezioni molto più affilate. Della serie che se vuoi provare a camminare sulla striscia bianca della strada vai, perdi l'equilibrio e non ti succede nulla: qui.. Il primo gendarme lo superiamo stando a sinistra, ma già pensiamo che "mommerda, scendere da qui disarrampicando dopo sarà mica facile!".
Proseguiamo con una cordata davanti, mentre scorgiamo le prime esser già verso la fine del pendio nevoso successivo. Pace, ci mettiamo il tempo che ci vuole, speriamo solo essere al riparo dai temporali previsti al pomeriggio. La roccia non è sempre solidissima, ma le mani servono e devono aggrapparsi coi guanti a ciò che si trova.
Una camminata sui detriti segna la fine della parte rocciosa, anche se lassù si vede bene che ce ne sarà ancora. Cambio assetto: si rimettono i ramponi, ci si arma di piccozza, lasciamo la mezza corda doppiata ma con Giorgio che si fa un po' di bambola, e ripasso davanti io per risalire quello che dalle relazioni pareva un tranquillo pendio nevoso.
Ah le aspettative. Siamo stancucci, e le pause a riprendere fiato sono numerose. La neve è piuttosto dura e la pendenza necessita di scavigliare bene a modo. Per fortuna il panorama sprona a salire per vedere quanto ancora ben di Dio possiamo ammirare da lassù. Lassù, ma quanto ancora sù?
Fine neve, riparte la roccia. Cordate già si stanno calando (e ci han pure bombardato mentre finivamo il pendio bianco), e la guida con la sua cliente è già pronta a scendere la parte nevosa: le chiedo se servono ramponi per questa ultima parte e mi dice di no, ma per gli ultimi 10m alla vetta si.
Altro cambio assetto per tornare alla modalità roccia, e parto. Comodi i fittoni a U rovesciata che si trovano ogni 20-25m, consentono di mettere un comodo rinvio senza preoccuparsi di proteggersi ulteriormente. In fondo siamo su del I, II: ciò che mi preoccupa sono le scariche che possono provocare chi sta sopra di noi e io stesso verso Giorgio. Mi sbrigo per arrivare alla cresta finale.
Si esce dal caminetto che dalla parete deposita in cresta, e sbam: il cervino, Maestoso, isolato, impervio. Ma oggi già questi molti meno metri di roccia ci stanno dando del filo da torcere, lasciamo perdere quel montarozzo cupo.
Proseguo in cresta, affilata, a cercare la via data dai segni dei ramponi. ma sbaglio un tratto, finisco troppo a sinistra sotto il filo di cresta, pare di essere quasi in piena parete nord (e all'incirca..). Ti guardi giù e ti caghi sotto. Afferri la roccia che vorresti stringere e ti caghi sotto. Il piede su questa lastra, sol che regga. Finalmente ne esco, porco cane era lì la via facile!
Recupero Giorgio con una sosta improvvisata e riparto. ma quanto è lunga! Ho paura di guardare che ore sono.. Altra cresta, affilata, tratti da scendere, meglio non guardare giù. Ma un'occhiatina suddai.. Finalmente anche questa sezione finisce, ecco l'ultima neve! 35m dove è meglio rimettere i ramponi, ed è vetta.
Dopo tanto tempo un nuovo 4mila si aggiunge al mio CV, e che 4mila. Guardo l'ora e mi rendo conto che ci abbiamo messo 7,5 ore: un po' tante. Ma d'altronde non è che siamo proprio avvezzi a questo genere di salite, e non siamo in formissima. Beh, ora godiamoci il panorama e poi scendiamo. Tornare a ritroso sui nostri passi sarà un altro parto.
Un godimenti di giusto il tempo di qualche foto: torniamo alla roccia e mentre ci ricambiamo assetto mangiamo e beviamo. Occorre razionar e il tempo, che è poco e scendere non sarà facile. Occorre anche razionare l'acqua: nonostante i 4l complessivi, l'abbiamo quasi finita e abbiamo una sete della madonna.
La discesa della cresta non è nemmeno malaccio, fila più liscio di quello che temevo (niente variante in parete nord!), e arrivo alla catena sopra la serie di fittoni a U rovesciata. Da qui meglio andare giù in doppia che secondo me facciamo prima e rischiamo meno. E così parte il valzer: male all'inizio per una manovra che invece che far risparmiare tempo ne fa spendere di più.
Si migliora, ma ora che sulla nostra testa ci sono gli altri 5 ho paura della loro poca delicatezza. Quando poi vedo che invece che fare doppie corte le fanno con due mezze corde, mi salgono i cinque minuti. Senza voler fare il professore che non sono: doppia lunga vuol dire nodo, nodo che si incastra e che tirando poi per scastrarlo rischi di buttar giù rocce. Ma anche senza incastro, 60m invece che 30 vuol dire il doppio della corda che recuperandola può aggrovigliarsi a massi, strisciare su ghiaia, e di nuovo far scendere massi. Ziocanta.
Ci sbrighiamo per scappare da questa situazione, rieccoci sul pendio, ramponi e picca e via andare. La caduta sassi è ancora un rischio. Non fosse per il maledetto blade runner e il suo antizoccolo che non funziona una fava, si potrebbe quasi correre ed esser rapidissimi. Invece non posso, ogni passo devo picchiare con la picca il rampone per togliere l'insidia della palla di neve sotto il piede che mi fa scivolare. E se scivolo qui, ci ripescano 600m più sotto dopo qualche bel salto veritcale.
Veloci anche su questo tratto, molto bene, ora resta da scendere la cresta rocciosa principale. "Giorgio, te la senti di tornare avanti?" "Sì dai ok", bene. Ero molto preoccupato di questo tratto da scendere: a salire non è stato banale, scendere è sempre più difficile che salire. E invece fila abbastanza bene: qualche palpitazione certo.
Vedo la corda che a volte non avanza, aspetto e cerco uno spuntone dove fare una protezione veloce. Giorgio si protegge, ma di nuovo non è che faccia molto affidamento a questi friends e cordini sparsi. Qualche tiro, e poi di nuovo siamo al primo gendarme. Che facciamo? "Io non sarei tanto tranquillo di scendere da dove sono salito" "Beh dai, allora passo avanti io, saliamo sopra il gendarme e facciamo una doppia".
Passettone atletico ed eccomi in cima al gendarme. Doppia predisposta con un vecchio chiodo e alcuni cordini intorno a massi, speriamo bene. Va benone, scendo in doppia disarrampicata ed eccoci sulla cengia comoda. Dai che le difficoltà sono finite o quasi!
Ripassa davanti il mio amico. Pochi passi da disarrampicare, per la maggiori parte ora si può quasi camminare (anche se spesso sul filo di cresta): ma non caliamo l'attenzione, qui non si può sbagliare. Laggiù scorgo le catene. Giorgio è quasi vicino a esse. Si mette in sicura su esse. Fatta!
Sospirone di sollievo. Mi godo il panorama ora più che in cima. La corona imperiale dei 4mila svizzeri, la Dent Blanche ora bella illuminata. Il Gran Paradiso con qualche nuvola (mentre da noi un cielo ancora limpidissimo, meno male!), il Monte Bianco e la Verte. Il ciccioso e tormentato Glacires des Grand Murailles. Qualche doppia e siamo su ghiacciaio. Rifugio e bere..
Raggiungo il mio amico, siamo all'ombra e col vento, mii che freddo adesso! Predisponiamo la doppia (di maglie rapide nelle catene ce ne sono parecchie) che scendere in questo troiaio sarebbe rischioso e faticoso. Prima doppia porta sotto il traverso infido, al riparo pure da ciò che scarica chi sta su. E che scarica anche la corda recuperata: madonna che polverone..ricco di sostanza solida!
Un'altra doppia e siamo sulla neve! Sììììì! Ora c'è solo da sperare che reggano i ponti di neve sui crepi: sono quasi le 16.. Cambio assetto, l'ultimo di oggi: ramponi, piccozza, cordata, bambola, nodi a bambola, cordino da ghiacciaio. Ripasso avanti io, che con questa neve, questi ramponi, questi zoccoli, scivolo di sicuro!
Estenuante discesa a battere la picca quasi ogni passo i ramponi per togliere il pericoloso zoccolo. Qualche scivolata che si arresta presto per fortuna. Un caldo atomico. Una morena che non arriva mai, dopo il muretto ce ne è ancora, dietro quel cambio di pendenza, pure. Ma arriva!
Il piano ora è che: Giorgio fa la cacca, si tiene la corda, io scendo, lascio lo zaino all'incrocio col sentiero e poi me ne vado al Rifugio Aosta a riprendere le cose lasciati lì, prendere dell'acqua e chiamare a casa per avvisare che non torniamo a cena. Senza zaino volo..
Fatto tutto e bevuto un buon litro di acqua (e il genepy offerto dal gestore "Hai salito la cima? E allora genepy homemade!), ritorno all'incrocio dove Giorgio mi aspetta. Sono le 17, prendiamola comoda che tanto tardi facciamo tardi. Rientrare all'1 o alle 3 ormai cambia nulla.
Riappesantito lo zaino, si scende. Si scende e si sale ogni tanto. Quanto è tardi: percorriamo la valle all'ombra per il sole che si è coricato dietro i monti alla nostra destra. Qualche sguardo indietro per salutare le asperità del territorio vissuto, e pochi avanti per non vedere quanto manca. "ma quanto è lunga questa discesa!" "Eh caro Giorgio, il bello è che lo sapevamo! io comunque con la Valpelline ho chiuso, prossima vita!".
Testa bassa e andare. Ginocchia cotte, spalle pure. Testa a dura prova. Minuti, ore, voglia di una doccia, di mangiare, bere, sdraiarsi. Siamo in ballo da più di 15 ore. Una pausa intermedia, poi giù fino al Prarayer, la fontana: un'altra pausa che dura pochi secondi data l'infestazione di zanzare affamate. La forestale a lato della Diga di Place Moulin, km di falso piano.
Si parla poco: la stanchezza si sente, la mente si cerca di tenerla più vuota possibile in modo che le gambe vadano avanti senza pensare. non guardare avanti per non vedere quanto manca. Massì dai, è lunga, e allora? Allenamento. E in ogni caso, le cose belle vanno sudate, la pagnotta guadagnata con la fatica ha un sapore diverso. Che cavolo, l'abbiamo salita la Dent d'Herens!
Praticamente la discesa è un parto gemellare: il primo esce una volta che raggiungi il sentiero che da valle porta al rifugio. Ma poi il restante è l'altro gemello ritardatario. Tutto finisce alle 20e45, all'auto, dove buttiamo tutto a terra e ci togliamo subito gli scarponi. GODO!!!! Nuova stretta di mano, la terza: la prima in cima, la seconda in discesa rimesso piede su ghiacciaio, e una ora.
Ora il più è tornare a casa senza ammazzarsi per colpi di sonno. Ci si alterna, si dorme entrambi in qualche piazzola, autogrill, quel che si trova appena la palpebra del guidatore fa fatica a stare su, e quella del copilota dormiente non vuole tirarsi su. Arrivo a casa alle 4, sistemate un po' di cose e fatta la doccia mi infilo a letto (che caldo) alle 4e30. E fatico a prendere sonno: ma l'adrenalina non poteva tornare prima?!

NB: da Facebook leggo che tra la cresta e il pendio nevoso ci sono delle doppie attrezzate da 25-30m (la seconda da 15). Soluzione non verificata ma che se veritiera è nettamente comoda

Qui altre foto.
Qui la guida.
Qui report.

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