sabato 30 marzo 2019

Noi sì che Vajos: Vajo dei Colori (AG1 2019)

Ci sono quelle giornate che partono male, magari con preoccupazioni fin da casa; ma che poi filano lisce come l'olio e diventano belle giornate. Questa è una di esse.
Dopo due uscite in Appennino (qui e qui), è ora di cambiare destinazione per la terza uscita del Corso AG1 2019 del CAI di Carpi. Le mete esotiche che bramavo però sono tutte non in condizioni, mentre in Piccole Dolomiti qualcosa si può riuscire a fare. E in un bell'ambiente anche! Approfittando della strada prematuramente aperta (non può esserci rischio valanghe se non c'è neve) arriviamo fino a parcheggiare al Rifugio Campogrosso: Ci incamminiamo che è già giorno.
La cosa che mi preoccupa di più oggi, sono le scariche di sassi, che nelle scorse settimane hanno mietuto parecchie vittime (non nel vero senso del termine!) nei post di facebook. Sì certo, partire senza usare la frontale aumenta il rischio di questo pericolo, ma confido nell'essere veloci e agili. Se poi ci fosse da tornare indietro, si girano i tacchi e amen.
(Ri)partiamo male: nella fretta di fare lo zaino e mille altre cose ieri sera, ho dimenticato bandana e macchina fotografica. E niente, mi toccherà aspettare le foto degli altri per rivivere meglio la giornata: una giornata la cui salita è stata fatta quasi in apnea per uscire presto.
Dal traversone che passa sotto il Giaron della scala e il Pra degli Angeli, notiamo un elicottero giallo che gira nella zona. Mentre narro ai miei compagni di cordata, FrancescoL e AnnaM, come non abbia mai trovato il Vajo dei Colori nelle stesse condizioni nonostante le quattro, cinque o sei volte (alcune qui, qui e qui) che l'ho percorso, l'avvicinamento scorre senza intoppi: non fosse per quell'elicottero giallo che sembra proprio girare e cercare nei pressi della parte bassa del Vajo dei Colori.
Quelle che erano preoccupazioni iniziano a diventare qualcosa di più solido. Dal passo appena dopo il Boale dei Fondi inizio a scendere più rapidamente per vedere più da vicino cosa stia accadendo, e a pochi metri dall'attacco del Vajo dei Colori vedo che l'elicottero recupera qualcuno in barella per poi andar via e tornare a recuperare qualcun altro col verricello. Tutto ciò proprio nella parte bassa del vajo.
Non è proprio un bellissimo. Dico subito ai miei che il primo sasso che vedo scendere torniamo indietro. Però ormai che siamo qua tanto vale andare all'attacco per vedere com'è e magari salire qualche metro per sondare il terreno.
Il gruppo si ricompatta, e anche gli altri istruttori dopo aver sentito dell'elicottero sono ben d'accordo che prima di tutto non è un bell'inizio di giornata, e secondo al primo sasso che scende torniamo indietro.
Al di là di preoccupazione di elicotteri e rolling stone, l'ambiente è come sempre spettacolare. Se quello che abbiamo visto in Appennino erano più che altro pareti con canali poco marcati, il Vajo dei Colori è delimitato da alte e verticali pareti rocciose, che lo rendono un impluvio ben scavato dal tempo. A volte guardandosi indietro sembra quasi vertiginoso, nonostante le pendenze siano scarse.
Incrociando mi inizialmente con la cordata di Fabio con AnnaT e Marco, iniziamo la salita. Tutti quanti ci siamo banalmente legati facendo della bambola e mettendoci a una distanza di una decina di metri. Una legatura quasi inutile, forse addirittura deleteria se non ci si protegge: ma anche questo fa parte della didattica, del vedere diverse situazioni e diverse soluzioni.
Va bene averlo fatto ogni volta in condizioni diverse, ma non credevo di aggiungerne una anche oggi. I tratti che l'ultima volta con Stefania rendevano il vajo tendente a un D piuttosto che a un PD, oggi sono palesemente addolciti dalla neve, e tutta la traccia è ben pestata a gradini che permettono di fare riposare i polpacci.
Se devo essere sincero, il vajo non me lo godo molto. Sono in apnea e non vedo l'ora di uscirne, di essere fuori dai pericoli di questo pazzo clima e di questa roccia marcia. Nonostante ciò, un pochino chiacchieriamo, ma ai primi accenni di stanchezza dei miei compagni di cordata gli rendo noto che (forse un po' troppo brutalmente) se hanno fiato per parlare vuol dire che avrebbero fiato anche per camminare, e quindi di conservarlo per la funzione motoria. Cit. "Io non ho tato, ma non sono cattivo".
Il groviglio iniziale si è sciolto e le cordate sono sparpagliate a distanza di qualche decina di metri una dall'altra. Nel vajo ci siamo solo noi, anche se vedo delle peste recenti: qualcuno deve aver attaccato a orari più consoni dei nostri.
Superato il tratto di ferrata, che di solito è quello che dà più problemi, inizio a sentirmi più tranquillo, anche se la strada è ancora lunga. A destra e sinistra si diramano i mille altri vaji dalle mille altre difficoltà, ma tutti belli (brutti) secchi. Chissà se il prossimo anno qualcuno di questi riuscirò a salirlo..
Ed eccola su ti appare l'uscita. Cerco di consolare Francesco indicandogliela, non manca molto. A sinistra la deviazione per l'intramosca, mentre noi proseguiamo a destra. Non guardo l'ora ma credo che non stiamo andando così male come tempi.
A poche decine di metri dalla bocchetta posso quasi tirare un sospiro di sollievo e tornare un pochino più amabile ai miei compagni di cordata, raccontare qualche aneddoto e far notare in che bell' ambiente siamo immersi. E con quale roccia marcia intorno.
Proprio gli ultimi metri si impennano, ma con tutto grandinato come se fosse una scala, anche le mani lavorano in appoggio. Una volta fuori a farla da padrone è un caldo afoso estivo. Recupero FrancescoL e AnnaM e dopo un'ora e mezza possiamo stringerci la mano e congratularci per la salita: sono solo le 10:00, ottimo lavoro!
Attendiamo tutte le altre cordate, quella di FabioSca con AnnaT e Marco, quella di Ivan con AndreaG, quella di FedericoR con Soana e Luciano, quella di Tommaso con Emanuela e FabioSe. Man mano colonizziamo Bocchetta Mosca apparecchiandola come alle migliori feste. Solo Ivan poveretto si sdraia moribondo: il ragazzo oggi non ha una salute da pesce.
Si vede che il sole e il tepore piacciono a tutti: rimaniamo a cincischiare più di mezz'ora. A un certo punto mi tocca richiamare tutti sull'attenti e fagli presente che magari potremmo anche avviarci. AndreaG e FabioSe in disparte che se la chiacchierano vengono quindi avvicinati da tutto il resto della ciurma, in un chiaro assetto da pressing della serie "Oh ragazzi, se non l'avete capito stiamo aspettando voi".
Un lungo serpentone sì dirige verso Bocchetta dei Fondi, traversando totalmente tutto il versante sud di Cima Mosca, per poi intraprendere la salita finale che suona di piccola mazzata. E mentre tutti noi rimettiamo i ramponi, il pesce malaticcio scende verso la sua salvezza: il Rifugio Campogrosso dove poter stare al sole a mangiare e banchettare nella speranza che forze e salute tornino a lui.
Noi altri invece scendiamo con calma, forse troppa calma, distratti anche da un gruppo di camosci che ci attraversano la strada e poi fuggono in direzione del canalino est di Cima Mosca: scommetto riusciranno a salire anche senza piccozza e ramponi. Loro sì che hanno il 4x4 e l'assetto invernale inside!
Tornati sul sentiero percorso stamattina, posiamo armi e bagagli per la fase didattica della giornata, ovvero la ricerca in valanga da parte di un gruppo numeroso. Armati di ARTVA, o di pala, o di sonda, o di parole, si tenta di salvare i poveri ARTVA seppelliti da FedericoR. Tutti vengono estratti, con qualche diatriba tra leader e ricercatori. Psicologicamente non è un'esercitazione facile, ed è solo un'esercitazione!
Tornando sui nostri passi, tra una chiacchiera e l'altra, contro ogni previsione siamo alla macchina piuttosto presto, e senza aver visto nemmeno un masso venirci dolcemente incontro: che successo! Ma soprattutto, che fortuna! Non resta che festeggiare ampiamente al Rifugio Campogrosso, dove il caldo è tale che più che fine marzo sembra a fine giugno. E meno male che Emanuela mi presta gli occhiali da sole altrimenti avrei dovuto pranzare ad occhi chiusi.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui la guida del guru dei Vaji del Carega.

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